2025-09-07
Il Colle scambia l’Ue per un’isola di pace e si scorda Belgrado
Sergio Mattarella (Getty Images)
Il Quirinale riscrive la storia dell’Unione: «Non ha creato conflitti». Eppure, dal 1999 a oggi, non fa nulla per farli finire.La verità è che i veri reazionari stanno con Sergio Mattarella. Con la difesa disperata di un ordine globale che non si sta sgretolando: si è già sgretolato. «Il mondo ha bisogno dell’Europa», proclama intanto il presidente della Repubblica, nel video per il Forum di Cernobbio di ieri.«Per ricostruire la centralità del diritto internazionale che è stata strappata. Per rilanciare la prospettiva di un multilateralismo cooperativo. Per regole che riconducano al bene comune lo straripante peso delle corporazioni globali - quasi nuove Compagnie delle Indie - che si arrogano l’assunzione di poteri che si pretende che Stati e organizzazioni internazionali non abbiano a esercitare». È un manifesto politico della restaurazione, condito da un turbinio di falsi storici: «L’Unione europea si è affermata come un’area di pace e cooperazione […]. Non ha mai scatenato un conflitto, non ha mai avviato uno scontro commerciale». E da dove arrivavano le bombe che l’Europa, insieme alla Nato, sganciava sulla Serbia nel 1999, quando Mattarella era vicepremier?Il segreto dell’adulterazione sta nelle definizioni: l’Ue, sostiene il capo dello Stato, «ha agevolato intese e dispiegato missioni di pace». Capito? È sufficiente chiamarle così e il gioco è fatto, la Costituzione pacifista è salva come l’autodeterminazione ai tempi del Covid, quando - verdetto calato sempre dal Colle - non bisognava invocare la libertà per non vaccinarsi.Il pensiero dell’inquilino del Quirinale è rivolto ai giganti americani di Big tech: le novelle Compagnie delle Indie, che si sostituiscono all’autorità politica oppure la dirigono, sono Elon Musk e Google, all’indomani della multa comminata dalla Commissione di Bruxelles, che ha innescato minacce di ulteriori dazi da parte di Donald Trump. Perché va bene essere atlantisti, però soltanto se ci si può agganciare alla filiera dem. Quella che prima ha imposto la sua pace all’Europa disarmata, dilaniata, minacciata dai sovietici; e poi l’ha trascinata in nuove guerre, dal Kuwait ai Balcani al Medio Oriente, fino all’Ucraina, reinventando la minaccia russa. Ha trovato dalla sua una dirigenza Ue alla ricerca spasmodica di un nemico esterno: alla fine, c’è sempre bisogno di quello per legittimarsi. Altiero Spinelli lo sapeva e perciò profetizzava lo scontro totale con Mosca.Mentre alcune cancellerie brigano per spedire truppe al fronte - truppe di pace, eh! - e Ursula von der Leyen, contro la volontà di alcuni dei principali azionisti dell’Unione, si impegna a esacerbare le frizioni con la Russia, ci vuole parecchia fantasia per parlare dell’Ue latrice di «stabilità, benessere, crescita, fiducia». Dopo i bimbi greci, le banche cipriote, le riforme coatte sotto la mannaia dello spread, i golpetti a Kiev per conto di amministrazioni Usa di sinistra che in verità ci disprezzavano. «Com’è possibile che l’Europa oggi venga considerata da alcuni un ostacolo, un avversario se non un nemico?». Già. Com’è possibile? Sovranisti puzzoni.A Washington il realismo riporta in auge la geopolitica, la dottrina delle sfere d’influenza. La versione di Mattarella resta quella, ideologica, dell’internazionalismo liberale. Ai limiti dei mantra sull’esportazione della democrazia, allorché il presidente loda la capacità dell’Europa di «proiettare i suoi valori oltre i suoi confini» e invita le democrazie a «trovare in sé motivazioni e iniziativa per non soccombere alla favola di una superiorità dei regimi autocratici». Saggio proposito. Che però si potrà attuare soltanto riconoscendo i limiti degli altri miti occidentalisti. Denunci il neoimperialismo dei magnati e del Maga e non vedi che, dietro la centralità del diritto internazionale, si cela il grimaldello della vecchia egemonia a stelle e strisce? Negli anni Novanta, l’America l’ha esercitata; poi, gli eventi l’hanno sepolta. Oltreoceano ormai l’hanno capito; e Mattarella ne è infastidito. Tanto che invoca «il coraggio di un salto in avanti verso l’unità» nell’Ue, cioè il superamento del principio dell’unanimità. Peccato che quelli che lui chiama «artefatti, presunti, interessi nazionali» spesso siano l’unica barriera che ci separa dal delirio masochistico: cosa accadrebbe se, condannando all’irrilevanza le banderuole ungheresi e slovacche, prevalesse sempre e comunque la linea di Kaja Kallas e della Von der Leyen? Senza più diritti di veto, non si certificherebbe il dominio, ancorché conflittuale, di francesi e tedeschi? Ossia, la natura davvero imperialistica dell’Ue, dentro la quale ci sono un centro che comanda e prospera e una periferia che obbedisce e viene drenata?Più che il capo dello Stato, pare il capo del Pd. La sua è la medesima posizione espressa venerdì da Paolo Gentiloni: l’Europa «unica» e la fusione tra presidenza della Commissione (l’organo tecnocratico) e del Consiglio (l’unico elemento di vera democrazia, dove contano le nazioni che rispondono agli elettori). E quindi, cosa si fa con le autocrazie? Multilateralismo, fingendo che Pechino non ne approfitti? Oppure muro contro muro?A tal proposito, paiono più oculate persino le parole di Massimo D’Alema, all’epoca del Kosovo principale di Mattarella, il quale ne fu il vice a Palazzo Chigi e poi divenne ministro della Difesa nel suo esecutivo. «Stiamo vivendo la fine dell’egemonia occidentale», constata l’ex premier, intervistato dalla Stampa sulla controversa trasferta in Cina. «Dobbiamo costruire un nuovo ordine, che non sia l’egemonia di qualcun altro», bensì «un ordine multilaterale, sostenibile, di coesistenza tra mondi diversi». A patto di accettare un dettaglio: dentro quei mondi diversi varranno pure regole diverse dalle nostre, con buona pace - è il caso di dirlo - del primato del diritto internazionale.Lo spirito dei tempi spinge in quella direzione, verso uno scacchiere che potrebbe rivelarsi persino più saldo e duraturo di quello scaturito dalla Guerra fredda. Niente più poliziotti del mondo. Tornare al 1991 è restaurazione, utopica quanto il precedente del 1815. Ma forse, al Colle, la realtà gli fa un Baffino.
Antonio Decaro (Imagoeconomica)
Il premier indiano Narendra Modi (Getty Images)