2020-06-12
Conte ha bisogno di un avvocato
Conte Giuseppe (Cosimo Martemucci:SOPA Images:LightRocket via Getty Images)
Oggi i pm di Bergamo sentiranno il premier per chiedergli come mai non ha istituito la zona rossa ad Alzano e a Nembro: in teoria è un testimone, ma rischia di finire indagato per epidemia colposa. Nei guai anche Luciana Lamorgese. Perché l'esercito fu richiamato? Tutta colpa del manuale. Maledetto libretto di istruzioni: è quello che è mancato al presidente del Consiglio durante l'epidemia di coronavirus. Lo ha confessato lui stesso ai giornalisti l'altra sera, nella sua chiacchierata a ruota libera fuori da Palazzo Chigi, prima di prendersi gli insulti della folla radunata tra via del Corso e piazza Colonna. «Non c'era un manuale da seguire nella gestione della crisi, ma decisioni da prendere giorno per giorno», ha riportato tra virgolette Repubblica. Oggi i pm di Bergamo in trasferta a Roma gli chiederanno conto di quelle decisioni giorno per giorno, che però agli inizi di marzo, quando il virus non era ancora completamente dilagato nella Bergamasca e dunque si poteva contenere evitando molte morti, non furono prese. Giuseppe Conte sarà sentito in qualità di testimone, ma qualcuno ipotizza che a seguito dell'interrogatorio possa essere addirittura indagato. «Il premier difende le scelte, ma teme l'avviso di garanzia», titolava ieri il quotidiano diretto da Maurizio Molinari. Lui, il capo del governo, dice di essere tranquillo e ufficialmente liquida l'incontro con i magistrati con un «ben vengano tutte le indagini». Tuttavia, sui giornali trapela l'irritazione per una convocazione che arriva a ridosso degli Stati generali, la passerella che Conte aveva immaginato per celebrare il suo successo e la fine del «lockdown». L'iniziativa della Procura rischia infatti di segnare l'intera gestione dell'emergenza con un'accusa infamante: epidemia colposa. Tradotto, l'esecutivo non ha fatto quello che doveva per garantire la salute degli italiani e la conseguenza sono state centinaia, se non migliaia, di vittime.Conte, da avvocato qual è, prepara la sua difesa dicendo che le decisioni le potevano prendere anche le Regioni, in questo caso la Lombardia. Un modo, se non di scaricare su altri le proprie responsabilità, quanto meno di dividerle e attenuarle: se fosse stato così evidente che si dovevano chiudere Alzano e Nembro, i due paesi alle porte della Val Seriana ma a due passi dal capoluogo orobico, dichiarandoli zona rossa, perché non lo ha fatto Attilio Fontana, che pure avrebbe potuto? L'azzeccagarbugli che è in Conte ha già imparato a memoria l'articolo 32 della legge del 23 dicembre 1978, numero 833, richiamato dal decreto legge 6/2020, e lo reciterà davanti ai pm per sostenere la tesi di non aver commesso alcun errore, tantomeno omissioni. Nessun ritardo, nessun tentennamento, lui era a Palazzo Chigi, ma dormiva perché toccava ad altri vigilare. Che la Costituzione assegni allo Stato centrale, e dunque al governo pro tempore, l'intervento in caso di pericolo grave per l'incolumità e stabilisca che la compressione dei diritti dei cittadini (come per esempio dichiarare lo stato di emergenza e impedire agli italiani di uscire di casa) può essere decisa solo dai vertici della Repubblica e per motivi straordinari è ovviamente un dettaglio ininfluente per il docente di diritto che regna a Palazzo Chigi.Ma a prescindere dalle questioni costituzionali su cui il presidente del Consiglio si impegnerà - come spesso gli capita - a negare l'evidenza, c'è un altro elemento che depone a suo sfavore ed è ciò che ha firmato il direttore dell'Istituto superiore di sanità. Il professor Silvio Brusaferro il 3 marzo siglò un verbale del comitato tecnico scientifico in cui sta scritto che l'assessore al Welfare della Lombardia e il suo direttore generale per la sanità chiedevano di chiudere la zona di Alzano e Nembro. Se Giulio Gallera chiedeva al governo di disporre le zone rosse nella sua regione è evidente che si dava per scontato che la decisione dovesse prenderla Conte. Peraltro, lo stesso Brusaferro il 5 marzo, cioè due giorni dopo, sollecita l'esecutivo, chiedendo la chiusura dei due Comuni bergamaschi. Ma Conte non decide, perché preferisce pensarci un po' su, chiedendo una riflessione supplementare, con il risultato che fino al 9 non si fa nulla e in sei giorni il virus è libero di circolare e contagiare altre persone. Oltre alla sequenza dei verbali e delle lettere, c'è poi un altro elemento a sfavore della tesi di Conte e sono le forze dell'ordine. Per dichiarare una zona rossa non basta un'ordinanza regionale, servono polizia, carabinieri e militari, in quanto se si vogliono chiudere le strade e impedire alle persone di uscire sono necessari i posti di blocco. Le Regioni, come è noto, non dispongono dell'esercito e neppure di personale addetto all'ordine pubblico, che dipendono rispettivamente dal ministero della Difesa e dal Viminale. È per questo che i pm vogliono sentire anche il ministro Luciana Lamorgese. Visto che a Bergamo erano arrivati in forze agenti e militari, chi diede l'ordine di fare dietrofront e non bloccare l'area? Sì, insomma, ci siamo capiti. Il governo sale sul banco dei testimoni, ma rischia di trovarsi su quello degli imputati. Altro che passerella a Villa Pamphili.