
La direttrice del sistema per i rifugiati svela il «modello Riace»: opacità sulla gestione e nessuna risposta ai (molti) richiami. Il sindaco agiva secondo le sue regole, fossero queste compatibili o meno con le leggi dello Stato.Salvate Mimmo Lucano. Non dalle grinfie (immaginarie, se si è seguita bene la vicenda) di Matteo Salvini, ma da sé stesso. Al termine dell'udienza del Tribunale del riesame di Reggio Calabria, il sindaco di Riace si è di nuovo lasciato andare a uno dei suoi comizi dai toni ispirati: «Riace rappresenta un'idea che va contro la civiltà della barbarie. Anche senza contributi pubblici andiamo avanti lo stesso, da soli, perché negli anni abbiamo costruito dei supporti all'integrazione che oggi fanno la differenza. Faremo non uno Sprar ma un'accoglienza spontanea così com'era cominciata, senza soldi pubblici».Un uomo solo contro la marea razzista montante, contro lo Stato italiano, contro la barbarie, contro tutti. Eccolo qui, quel «delirio dovuto alla sovraesposizione» ravvisato dal prefetto Mario Morcone, presidente del Consiglio italiano per i rifugiati e già direttore del dipartimento che si occupava dei richiedenti asilo sotto Marco Minniti. Chi ha toccato con mano la realtà del «metodo Riace», infatti, appare decisamente più cauto dei vari Roberto Saviano nel parlare di «reato d'umanità». Lucano agiva secondo le sue regole, fossero queste compatibili o meno con le leggi dello Stato. La cosa non sembra soggetta a contestazioni. Un'ulteriore conferma arriva da un'altra fonte autorevole: Daniela Di Capua, direttrice del Sistema centrale Sprar del ministero dell'Interno. Parlando con Redattore sociale, sito non certo sospettabile di simpatie salvianiane, la Di Capua mette una serie di puntini sulle i che andrebbero ricordati a tutti quelli che evocano lo Stato autoritario nel raccontare le circostanze che hanno portato alla fine del «modello Riace». Tanto per cominciare, si fa giustizia di una leggenda metropolitana: quella secondo cui il perfido Salvini avrebbe chiuso il progetto Sprar nella cittadina calabrese solo per infierire sul dissidente già messo agli arresti. «Innanzitutto», spiega la direttrice del Sistema Sprar, «va detto che questa decisione non ha nulla a che fare con la vicenda penale che riguarda Mimmo Lucano. La chiusura del progetto ha a che fare con alcune criticità e irregolarità riscontrate negli anni. Si tratta di una vicenda iniziata due anni fa». L'arresto del sindaco e la revoca del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, quindi, non hanno legami fra loro, se non, ovviamente, per il comune denominatore della voglia di passare sopra a leggi e regolamenti. La Di Capua spiega che i controlli sui vari progetti fanno parte della routine del suo ufficio. Si verifica che sia tutto a posto e, in caso di irregolarità, si fa presente al Comune cosa occorra cambiare. «Di solito», aggiunge, «dopo poco tempo le cose si risolvono, ma se ciò non accade torniamo a visitare il progetto. Quando poi nonostante tutto le criticità permangono e vengono reiterate, vengono assegnate al progetto delle penalità. Per esempio una penalità grave riguarda la mancata consegna del rendiconto. Su Riace è successo questo». Lucano, per esempio, si era inventato la moneta locale. Per uno che sta rifondando dalle basi la civiltà, cosa volete che sia battere moneta. Lo Stato italiano, tuttavia, era meno d'accordo: «Abbiamo spiegato che secondo la legge dello Stato non si poteva fare, che in caso si poteva utilizzare questa moneta come se fossero buoni pasto ma il sistema andava aggiustato. Non siamo stati ascoltati», spiega la direttrice del Sistema Sprar. Ma, a quel punto, i funzionari del Viminale non hanno infierito. Riace, infatti, godeva di una sorta di bonus. Non infinito, però: «Il ministero, proprio perché si trattava di Riace, e il progetto era molto conosciuto, ci ha chiesto di andare a spiegare come fare: siamo andati cinque volte in due anni, non avevamo mai fatto tanta assistenza in loco per aiutare un progetto. Ma il Comune non si è mosso. Dopodiché il ministero ha avviato la procedura: ha scritto al Comune evidenziando le penalità riscontrate, chiedendo le controdeduzioni prima di avviare la procedura di revoca. Ma niente, Mimmo Lucano ha di nuovo mandato deduzioni non risolutive alle questioni contestate. Per questo oggi la chiusura è un atto dovuto».Altro che «reato d'umanità»... Men che mai regge il folle riferimento ai vagoni piombati fatto per gli immigrati di Riace distribuiti in altri progetti Sprar: «Ho sentito parlare di trasferimenti, addirittura di deportazioni. Anche in questo caso stiamo seguendo la procedura ordinaria: quando un progetto chiude, per esempio in caso di revoca o rinuncia, bisogna trasferire le persone per loro tutela», spiega la direttrice del Sistema Sprar. Il trasferimento non è peraltro obbligatorio: i migranti possono decidere di restare, sapendo però che escono dal progetto Sprar. «Di certo», chiosa la Di Capua, «non arriverà nessun pullman a deportarli, come è stato detto». Qualcuno vada a dirlo ai fan di Lucano già saliti sui monti per organizzare la resistenza: la guerra è finita. Anzi, non è mai iniziata, se non quella di Lucano stesso allo Stato.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





