2022-09-27
La Chiesa spaesata alla prova della destra
Il cardinale Matteo Maria Zuppi (Getty Images)
Dal rimpianto di Zuppi per la caduta di Draghi ai richiami contro i nazionalismi, i vescovi faticano a sintonizzarsi sui bisogni dei fedeli. Nessuna reazione al voto, ma sono i «temuti» sovranisti ad avere il programma che offre più garanzie sui temi etici.«Spaesati». Questo, dicono, è il sentimento che si registra in casa Cei dopo il risultato elettorale. In attesa di dichiarazioni ufficiali delle gerarchie ecclesiastiche, di certo il cardinale Matteo Maria Zuppi, capo dei vescovi, era stato chiaro fin da subito. «La caduta di Draghi penalizza i poveri, ora la politica la smetta con gli inganni», aveva tuonato il 24 luglio scorso. Poi, il 20 agosto: «Ritengo che sarebbe stato buon senso evitare (…). Oggi serve molta competenza, determinazione, visione. E umiltà». Non dovrebbe essere peccato intravvedere in queste parole una certa simpatia del cardinale di Bologna per l’ex premier Mario Draghi. Peraltro nel 2019, quando ancora non era un porporato, intervenendo al seminario nazionale di studi e formazione promosso da Mcl, Zuppi mandava a dire ai «sovranisti» che «in realtà sono degli indipendentisti che di certo non fanno bene al Paese». Al Meeting di Rimini, circa un mese fa, lo stesso Zuppi aveva ricordato che «i nazionalismi non servono alle comunità». Per il voto dei cattolici un richiamo alla libertà di coscienza nello spirito della laicità, nessun riferimento ai sepolti principi non negoziabili, difesa della vita, famiglia naturale e libertà di educazione.Eppure proprio su questi principi, almeno stando ai programmi elettorali, il centrodestra che ha vinto le elezioni qualche garanzia in più rispetto al precedente governo e alla coalizione di centrosinistra sembra offrirla. Giorgia Meloni nel programma cita addirittura Giovanni Paolo II per rilanciare la famiglia, dice di non voler toccare la 194 ma di voler finanziare la sua parte «dissuasiva», e vorrebbe fare dell’utero in affitto un reato universale. Non molto? Dipende dai punti di vista: ma insieme ai suoi compagni di viaggio del centrodestra, difficilmente si metterà a correre per un ddl Zan, o per la legalizzazione della cannabis, il matrimonio egualitario, il fine vita, così come ad esempio si leggeva nel programma del Pd di Enrico Letta.Secondo le voci che si rincorrono dalle sacre stanze questa differenza, invece, sarebbe percepita con maggiore curiosità di là dal Tevere, nella Terza loggia dove si trova la Segreteria di Stato vaticana. Qui la vittoria del centro destra e di Fdi sarebbe stata accolta con una certa «laica» curiosità, senza particolari pregiudizi. I vescovi italiani avevano ricevuto il messaggio di «non immischiarsi con la politica» durante queste elezioni, tanto che qualcuno accenna che, oltre alle tirate di Zuppi per la «politica alta» e la «responsabilità», ci fosse al massimo una certa curiosità per il Terzo polo Calenda-Renzi, ma oltre proprio no. Semmai qualche rappresentante della Comunità di Sant’Egidio, da cui peraltro proviene il cardinale Zuppi, poteva candidarsi con il Pd con tanta laicità, ma il centro destra era off limits.L’abile cardinale di Bologna ha certamente cercato qualche dialogo con esponenti del mondo di centrodestra, ma è lecito pensare a una qualche pacca sulla spalla sui principi più che a una possibilità di cammino comune sul metodo. Ma ormai tutto questo conta poco: adesso c’è un risultato elettorale chiaro, che costringerà i vescovi a cercare un canale che paradossalmente verrebbe più facile sui temi etici, ma che a furia di predicare laicità potrebbe risultare più difficile. Il nuovo governo che verrà trova una Chiesa italiana impegnata nel cammino sinodale: un percorso in cui, lo ha detto lo stesso Zuppi, «l’ascolto aiuterà a rispondere alle vere domande, non a quelle che pensiamo noi». È l’atteggiamento indicato per ascoltare il popolo e anche comprenderlo, accompagnarlo, guidarlo. Gli endorsement più o meno diretti verso Draghi e tutto ciò che rappresenta mostrano, però, che la Chiesa fatica a sintonizzarsi sull’ascolto del popolo. Le elezioni di domenica hanno colpito duro tutti coloro che su Draghi avevano scommesso, l’«agenda Draghi», se esiste, gli italiani l’hanno bocciata, ritenendola non in grado di rispondere ai suoi bisogni più profondi, quelli su cui forse la Chiesa italiana dovrebbe sintonizzarsi proprio per il suo compito di missione e evangelizzazione. Invece, le gerarchie in questi anni hanno più volte tuonato contro il «populismo»: ancora ieri il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, rimarcava la necessità di un centro che bilanciasse il rischio di «un bipolarismo populista» che invece di unire il popolo lo divide e che «non corrisponde mai con le idee del popolo, ma con quelle di una parte di esso».Rispondere alla vere domande, aveva detto Zuppi, «non a quelle che pensiamo noi». Ecco, la Chiesa italiana potrebbe davvero ripartire da qui, dal cercare di comprendere le istanze del popolo che in parte non va a votare e in altra parte vota chiaramente per una parte politica. Prima di teorizzare di «populismi», non sarebbe male saper riconoscere le volontà popolari. L’ex parroco di Trastevere, cardinale Zuppi, è certamente dotato di sufficiente fiuto politico per non chiudersi le porte. Qualcuno potrebbe chiamarlo un approccio democristiano: ma è sempre meglio che risultare irrilevanti.
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