2025-01-13
«Vi spiego perché la Chiesa parla ancora di indulgenze»
Nel riquadro il teologo Antonio Staglianò (Ansa)
Il teologo Antonio Staglianò: «Chi le demonizza riprende la vecchia polemica protestante, ma il Giubileo le collega alla conversione. Il Paradiso della tecnica è un aldiquà eterno, cioè un inferno».Il 2025 è l’anno del 25° Giubileo della Chiesa cattolica. Il primo fu indetto nel 1300 da Bonifacio VIII, pontefice eletto il 24 dicembre 1294, dopo l’abdicazione di Celestino V. Tra i temi centrali, c’è quello del rapporto con l’Aldilà. Ne riflettiamo sul significato con monsignor Antonio Staglianò, presidente della Pontificia accademia di teologia e appena nominato rettore della «chiesa degli artisti», a Roma, in piazza del Popolo. Classe 1959, nato a Isola di Capo Rizzuto, è figlio di un carpentiere del settore edilizio e di una casalinga. È teologo, con conseguimento del dottorato alla Gregoriana, ma anche filosofo, con laurea all’università della Calabria. È stato vescovo di Noto. «Sono stato ordinato sacerdote il 20 ottobre 1984 e poi nominato viceparroco della cattedrale di Crotone e, nello stesso tempo, insegnavo teologia all’Istituto teologico calabro».Come fu l’impatto con la parrocchia? «Quando ero giovane, le parrocchie erano molto più vivaci di adesso. Mi occupavo della formazione delle catechiste e soprattutto della pastorale giovanile, e quindi il problema era come trasmettere ai giovani la fede. Ma i giovani venivano in chiesa…».E adesso?«I giovani, adesso, quasi per nulla. I giovani hanno altre vie, si trovano sulle piattaforme social, nei campi di calcio…». L’anno giubilare si concentra su remissione dei peccati, penitenza, riconciliazione, conversione. Quali sono le opportunità?«Questo Giubileo si apre all’insegna della speranza. Il motto scelto dalla lettera d’indizione di papa Francesco è “Pellegrini di speranza”. Questa speranza non è generica, astratta, ma è una visione del futuro dischiusa da un cristianesimo che vuole recuperare una fraternità universale che si sta perdendo. Viviamo in contesti culturali esageratamente individualistici, che Bauman ha definito di “retrotopìa”, Sloderdijk chiama di “profonda solitudine”, Morin di “pensiero cieco”, di “coscienza infranta”. Abbiamo di fronte le stragi delle guerre, milioni di profughi, città distrutte, corpi di bambini dilaniati dalle bombe. Fenomeni disumani che richiamano il senso vero di un Giubileo che voglia aprire la speranza del mondo battendo le strade di amore, giustizia, solidarietà, per un’unica comunità di destino degli esseri umani. I cattolici si devono impegnare per il recupero di tutto ciò che abbiamo perduto nella società dell’iper-mercato, per essere umani, vicini alla sofferenza di malati, prigionieri, oppressi, la categoria di persone cui si dirigeva il primo grande Giubileo, inaugurato da Gesù di Nazareth quando entrò nella sinagoga dicendo “Lo spirito del Signore è su di me per portare una buona notizia” da dare agli oppressi e ai poveri, oggi diremmo anche agli impoveriti, una speranza e un futuro di liberazione. È un Giubileo non per le pratiche religiose, ma per cambiare la vita».Papa Francesco, oltre alla Porta Santa della Basilica di san Pietro, ne ha aperta una anche in un penitenziario. «Ha aperto una Porta Santa al carcere di Rebibbia e, come lui stesso ha detto, ha voluto trasformare il carcere in una basilica, perché le porte sante si aprono nelle basiliche, a partire da quella di san Pietro e in tutte le cattedrali e basiliche del mondo. Quello di Rebibbia è un segno con un’alta potenza simbolica. Quello delle carceri è un esempio di grande sofferenza, pensando anche alle condizioni, spesso disumane, legate al sovraffollamento. Una delle opere di misericordia corporale attraverso le quali il cristiano-cattolico va in Paradiso è anche quella di andare a far visita ai carcerati».L’anno giubilare è anche quello delle indulgenze. Chiaramente non si tratta di un fatto formale. Cosa vuol dire indulgenza? «L’indulgenza non ha a che fare con il perdono dei peccati, perché i peccati sono perdonati da Dio attraverso il sacramento della confessione. L’indulgenza, invece, si dirige alla remissione delle pene temporali connesse ai peccati. Ad esempio, per usare un’immagine, se entri a gamba tesa e fai male al tuo avversario, sei punito, mediante il cartellino giallo o rosso. Poi, ti avvicini all’interessato e gli chiedi scusa: l’interessato può perdonarti, ma il dolore gli resta. Dal versante di chi commette il peccato, come abortire un figlio, se ci si va a confessare perché assolutamente pentita per ciò che ho fatto, il peccato è perdonato dal sacramento della confessione. Però resta una traccia profonda, perché l’aborto è un gesto terribile nell’esperienza di una donna. La remissione dell’indulgenza cade su queste pene temporali. L’indulgenza è una grazia particolare, messa a disposizione dalla Chiesa per tutti, grazia meritata da Gesù Cristo che, morendo in croce, ha realizzato per il mondo un tesoro infinito di grazia che la Chiesa stessa elargisce, a determinate condizioni. Quali sono queste condizioni?«Sono simboleggiate dall’attraversare la Porta Santa, dall’essersi confessati e aver chiesto perdono, una normale confessione in qualsiasi chiesa, dal pregare per il sommo pontefice. Ma queste condizioni sono segni. Di cosa? Della volontà di cambiare vita. Non sono gesti puramente liturgici. L’esperienza cristiana è di grande libertà. Confessarsi bene significa pentirsi davvero dei propri peccati affidandosi alla misericordia di Dio per poter cambiare vita, diventare un cuore di carne».Questi peccati, tuttavia, potrebbero ripresentarsi…«Sì, ma dovrebbe esserci il desiderio, dal profondo del cuore, di non commetterli più. Se, poi, li si commetterà ancora, per la fragilità dell’animo umano, ci si potrà confessare di nuovo. Ma non si tratta di giocare. Se davvero voglio attraversare la Porta Santa, devo fare un cammino di discernimento penitenziale per cambiare vita». La questione del fare offerte in denaro legate alle indulgenze. Viene alla memoria lo scandalo legato alla Riforma protestante. «Sicuramente oggi il linguaggio sulle indulgenze è divenuto un po’ equivoco. Si dice lucrare le indulgenze, comprarle. Cominciamo col dire che, rispetto al passato, “acquistare” resta un termine equivoco, perché sembra si parli di monetizzare le indulgenze. Ai tempi della Riforma, una certa predicazione un po’ falsante ha deviato dal significato autentico, dicendo tipo “tu, dal Purgatorio, salti in Paradiso se metti denaro nel tesoro del tempio”. Quindi oggi c’è, nel nostro linguaggio, un tentativo di demonizzare tutta la pratica delle indulgenze perché evocanti lo scandalo di simonia e mercificazione». Spieghiamo ai lettori. «In realtà, la questione dell’offerta di denaro per le indulgenze va nella direzione della conversione della propria vita. Attraversare la Porta Santa, confessarsi, dire il Credo, rimanda al desiderio di cambiare la propria vita. E dove si cambia? Si cambia uscendo da quella schiavitù che si è ingenerata nella società dell’iper-mercato, per cui si pensa di valere qualcosa solo perché si ha denaro in tasca. Il denaro è diventato il generatore simbolico di tutti i valori per cui, alla fin fine, si chiede al cristiano che il suo rapporto con il denaro cambi. Il fatto che il donare, il mettere a disposizione le proprie risorse per i poveri, passi attraverso la Chiesa o attraverso altri canali, è una cosa su cui insistere perché dà un segnale che la mia conversione è davvero avvenuta, che il mio cuore di pietra, insensibile nei confronti degli immiseriti della terra, è diventato un cuore di carne, capace di solidarizzare, di fare come il buon samaritano, che incontra l’uomo incappato nei briganti, lo conduce alla locanda e lascia del denaro per offrirgli ricovero».Ci si chiede, talvolta, se i fondi donati vadano davvero a chi ha bisogno. «Ci si può chiedere se ci si può fidare ancora della Chiesa affinché i soldi messi a disposizione per opere di carità vadano davvero ai poveri. Su questo non ci possono essere dubbi o equivoci. Certo, potrebbe esserci chi si comporta scorrettamente. Ma è un ladro! Si appropria del denaro altrui. Perciò deve convertirsi, attraversando la Porta Santa e restituendo il maltolto. Tuttavia papa Francesco ha dato segnali chiari che la Chiesa è povera per i poveri - e quindi ci possiamo fidare».Quello della morte terrena è un aspetto rimosso anche dai cristiani. Tuttavia, è centrale. «Sì, c’è il cuore pulsante dell’annuncio cristiano. Gesù ci ha rivelato il volto santo di Dio, sempre e solo amore, e che voi siete esseri mortali ma non morirete mai, “io sono la Resurrezione e la Vita, chi crede in me vivrà in eterno”. Evadere il tema della morte è coerente con l’impostazione tecnocratica e super-commerciale delle nostre attuali società. È coerente anche con la post human condition, che pensa a un Aldilà come sopravvivenza sempre nell’aldiquà, riperpetuando quella forbice che sempre più si allarga tra i poveri, sempre più poveri, e i ricchi, sempre più ricchi. Con il metaverso di Zuckerberg, in questo paradiso artificiale ci andranno soltanto gli schiavi del denaro. Paradossalmente i poveri saranno salvati dalla loro miseria. In quel metaverso c’è solo pura alienazione. Emanuele Severino lo aveva detto: “Il Paradiso della tecnica è l’inferno degli umani”. E noi, all’inferno, non vogliamo proprio andarci».Lei è convinto sostenitore della pop-theology. Quale canzone potrebbe essere eloquente per il Giubileo 2025? «Ce n’è una di assolutamente geniale, Gesù, di Renato Zero. Pone le questioni attuali di oggi, devastazione della terra, guerre, il progresso che ha spento ogni luce. E dice: “Gesù, non ti somigliamo più”. “Aiutaci, fratello, / se un’altra volta puoi / perché questo fardello è insopportabile […] Perdonaci”. Questa canzone pop potrebbe accompagnarci in tutto il Giubileo».
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