2024-07-21
Chiamare Chan per nome è razzismo. La Corea denuncia il Como alla Fifa
Hwang Hee-Chan (Getty Images)
L’attaccante asiatico accusa un difensore lariano (prontamente preso a pugni) che però ha solo esclamato «Pensa di essere Jackie Chan». Azione legale da Seul. È un delirio, come per il coro argentino sui francesi. La Corea del Sud ha denunciato il Como alla Fifa per razzismo. Già così è abbastanza surreale, più di Raphaël Varane che ha vinto quattro Champions e un Mondiale e sta per firmare un biennale coi lariani neopromossi in Serie A dopo 21 anni d’assenza. Ricapitoliamo i fatti. Marbella, tardo pomeriggio di lunedì 15 luglio: mentre il sole allenta la presa sulla costa andalusa Como e Wolverhampton - squadra di Premier League inglese - si fronteggiano a porte chiuse nella classica amichevole estiva per fare rodaggio. A metà secondo tempo Daniel Podence, attaccante dei britannici, becca un rosso diretto per aver mollato un cazzotto in faccia a un difensore dei lombardi. Motivo? Avrebbe fatto giustizia sommaria in nome del compagno di reparto sudcoreano, Hwang Hee-Chan (segnatevi il nome), che ha lamentato «accuse razziste» da parte del giocatore del Como. La partita finisce 1-0 per gli inglesi, ovviamente ormai non frega più nulla a nessuno ma l’indomani l’ennesimo caso di razzismo nel calcio italiano fila dritto sul New York Times. Cosa ha detto il calciatore comasco a Chan? Gli inglesi non lo riferiscono, parlano genericamente di «razzismo». Per le successive 24 ore il Como viene schifato sui social network dal Commentatore Unico Globale, finché dal lago decidono di fare chiarezza con un comunicato, visto che la compagine britannica preferisce non fornire dettagli. Scrive Mirwan Suwarso, rappresentante indonesiano - segnatevi anche questo - del gruppo proprietario del Como: «Il club non tollera il razzismo e ne condanna ogni sua forma. Abbiamo parlato a lungo col nostro difensore per capire cosa abbia detto». La frase incriminata - mai smentita dagli inglesi in seguito - non è un insulto razziale: «L’atleta ha riferito di aver detto a un suo compagno “ignoralo, pensa di essere Jackie Chan”». Ossia il divo di arti marziali quasi omonimo dell’attaccante. Una frase scaturita a margine di qualche scontro in campo, non rivolta direttamente al coreano, che però ha turbato profondamente Chan (Hwang Hee, non Jackie, che per ora è rimasto tranquillo). Il Como si dice certo che non ci fosse intento denigratorio e che il riferimento sia semplicemente «al nome del giocatore». Dal Wolverhampton nessuna replica ma il caso non si è chiuso, anzi. Ieri la federcalcio della Corea del Sud ha scritto alla Fifa una missiva in cui esprime «seria preoccupazione per gli atti razzisti subiti da Hwang Hee-Chan». Nella lettera si chiede di agire e «sradicare il razzismo». Ovviamente, in ossequio al pensiero unico che dà sempre precedenza alle reazioni pavloviane piuttosto che ai fatti, il Como è diventato la squadra del Kkk (con tanto di fotomontaggio dei giocatori incappucciati) e Podence è un eroe civile perché chi viene accusato di razzismo va menato il prima possibile, fa niente se a ben guardare ha solo detto che Valentino Rossi «pensa di essere Vasco Rossi». Manco «sembra Vasco Rossi», che sarebbe un cenno ai tratti somatici, ma «pensa di essere», un riferimento palese agli atteggiamenti e non all’individuo. Il razzismo nel calcio non si può risolvere con metodi da inquisizione spagnola. Esiste la realtà e bisogna tenerne conto. I media stanno mettendo in croce Enzo Fernández, calciatore argentino del Chelsea, il quale dopo aver vinto la Copa America assieme a Messi e Lautaro Martinez si è fatto filmare sul bus mentre cantava un coro rivolto ai giocatori francesi (sconfitti dall’Albiceleste nell’ultimo Mondiale): «Giocano per la Francia ma i loro genitori sono dell’Angola. La loro madre è del Camerun, il loro papà è della Nigeria ma il loro passaporto dice “francese”». Secondo la polizia digitale dell’antirazzismo sono deliri da suprematisti bianchi, invece è la realtà. Che può non piacere ma è quella che è: la nazionale francese è una delle più multietniche. Mbappé, l’uomo simbolo, ha padre del Camerun e mamma nordafricana. Come lui, gran parte della rosa ha parenti africani. Benzema, fuoriclasse di ascendenza magrebina, rifiutò di cantare la Marsigliese a testimonianza di un senso d’appartenenza a corrente alternata. Il coro dei sudamericani dice che i calciatori francesi hanno genitori africani: un dato di fatto. Si dovrebbe poter affermare senza timori, in un mondo intellettualmente libero. Invece online gira la lista dei giocatori argentini «che non erano sul bus», dunque non vanno insultati, mentre per gli altri c’è la gogna. I transalpini compagni di club di Fernández si sono rivoltati contro di lui, il Chelsea prepara azioni disciplinari poiché, signori, qua c’è del razzismo. Ma questo è cavarsi gli occhi davanti alla realtà. L’ha riassunta per tutti Victoria Villarruel, vicepresidente della Repubblica argentina: «Siamo un paese sovrano e libero. Non abbiamo mai avuto colonie o cittadini di seconda classe. Non abbiamo mai imposto a nessuno il nostro modo di vivere, non tollereremo nemmeno che lo facciano a noi. Nessun paese colonialista ci intimidirà per una canzone o per aver detto verità che non vuole ammettere. Basta fingere indignazione, ipocriti». Ecco, basta. Nota finale per i cacciatori di altarini: chi scrive tifa orgogliosamente Como sin dai pantani della Serie D. Siccome è la realtà, non serve fingere altrimenti.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.