2024-05-30
La corte dei censurati immaginari riparte con la litania sul regime
Roberto Saviano (Imagoeconomica)
Monta il caso dell’esclusione di Roberto Saviano dalla delegazione italiana a Francoforte. L’Associazione editori: «Nessuno ce lo aveva proposto». Ma l’intellighenzia, da Sandro Veronesi a Francesco Piccolo, si autoesclude e poi frigna.C’è una grande domanda che i più evitano di porsi e a cui sarebbe interessante dare una risposta seria e articolata. Per quale motivo Roberto Saviano deve per forza essere chiamato a rappresentare l’Italia alla Buchmesse, l’imponente fiera del libro di Francoforte? In virtù di quale diritto divino il suo nome deve obbligatoriamente comparire nella lista degli invitati? C’è una legge non scritta che obblighi il ministero della Cultura a offrirgli tutti i pulpiti disponibili? C’è un precetto religioso a noi sconosciuto in base al quale l’autore di Gomorra deve essere portato in processione affinché i lettori di tutta Europa possano adorarlo? Se esiste qualcosa di simile sarebbe bene esplicitarlo, onde evitare in futuro dibattito grotteschi sulla censura (inesistente) e sul fascismo di ritorno (non pervenuto).Il caso Buchmesse è l’ennesimo psicodramma sorto ai tempi della destra di governo e accuratamente alimentato dallo scrittore campano, il quale deve aver molto sofferto il fatto che Antonio Scurati gli abbia per qualche settimana coperto le stimmate e soffiato il ruolo del martire. Sintesi dei fatti: Saviano andrà a Francoforte perché, lo ha detto lui stesso, già mesi prima della presentazione del programma italiano «prima i traduttori tedeschi, poi i librai, poi la tv Zdf e infine gli editori» gli hanno rivolto cortesi inviti. Il dramma nasce dal fatto che non sia stato inserito fra i componenti della delegazione italiana. Il motivo dell’esclusione lo ha reso noto il commissario governativo Mauro Mazza: «Abbiamo scelto di dare voce a chi finora non l’ha avuta». Da lì, il delirio. Saviano è tornato immediatamente a occupare le pagine dei giornali indossando la maschera che più gli si addice: quella del perseguitato politico. I colleghi scrittori ben volentieri hanno assunto il ruolo di comprimari nella farsa della persecuzione, e subito è ricominciata la giostra attorno al dilemma morettiano: mi si nota di più se vado o se non vado?Il poeta Franco Buffoni ha dichiarato che non sarebbe andato per solidarietà. Il romanziere Sandro Veronesi ha ottenuto spazio sui quotidiani per annunciare la sua defezione: «Le ragioni balorde e ridicole con cui il commissario Mazza ha giustificato l’esclusione di Roberto Saviano non mi permettono di accettare l’invito che ho ricevuto», ha detto. «Continua questa pratica di ingerenza del presidente del Consiglio e dei suoi più fidati collaboratori, accompagnata da putiniana ipocrisia, su decisioni che non devono seguire logiche politiche. Se si renderà necessario per il mio lavoro andrò a Francoforte privatamente». Antonio Scurati ha rifiutato l’invito italiano, e ha ribadito di averlo fatto «mesi orsono» perché «non intendo fare parte di questa delegazione». Come a dire che i duri e puri antifascisti devono disertare se non vogliono essere complici. Mancherà anche Paolo Giordano, ma non si capisce bene perché: Saviano dice che lo aveva deciso «tempo fa, per diverse ragioni, immaginando anche che ci sarebbe stata una selezione a mio svantaggio». Bella questa: la defezione preventiva, mi chiamo fuori perché prevedo una censura. Che poi censura non è visto che Saviano andrà a Francoforte e avrà enorme risalto (come lui stesso riconosce). Francesco Piccolo ha atteso il deflagrare della polemica per unirsi ai dissidenti immaginari. «Io accetto pienamente il potere di una parte politica che non condivido; la parte politica si comporta secondo lealtà, sensatezza, consapevolezza e basi culturali solide. E non usa il suo potere (frutto di circostanze presenti) per decidere su (in questo caso) scrittori che lavorano da molto tempo prima delle circostanze presenti e dai commissari straordinari del momento», ha scritto in una lettera a Repubblica. «Ritengo semplicemente che l’Italia non possa non essere rappresentata anche dall’autore di Gomorra, un libro tradotto in tutto il mondo (e a seguire tutti i suoi altri). Non mi sento legittimato a rappresentare un gruppo di lavoro se manca qualcuno che evidentemente doveva esserci». Tutto molto suggestivo: alcuni autori italiani non andranno e ottengono per questo maggiore visibilità. Altri invece andranno alla fiera tedesca, ma vogliono andarci da perseguitati, sentendosi un po’ vittime di un regime che non c’è. Vogliono il successo ma anche un pizzico di eroismo per sentirsi utili e coraggiosi. È la solita fiera delle vanità, condita da una potente dose di opportunismo ipocrita. Non risulta, per dire, che nel 2023 ci siano state paginate e paginate di indignazione per l’esclusione di Carlo Rovelli voluta dal sinistrorso Riccardo Franco Levi. In quel caso si trattava di una censura esplicita: Rovelli si era espresso sulla guerra in Ucraina contestando la linea prevalente atlantista, e per questo Levi gli scrisse che lo avrebbe depennato dalla lista degli invitati. Però difendere Rovelli era più difficile, essendo un putiniano impresentabile. Quest’anno, invece, è tutto più semplice perché si può accusare di putinismo il governo come fa Sandro Veronesi. Immaginiamo che altri vip delle lettere nostrane si uniranno al gruppetto dei contestatori assenteisti, e ne siamo felici per loro. Soprattutto per Saviano, il quale dichiara alla Stampa: «Mi inorgoglisce. Sono fiero di non essere stato invitato da quello che ritengo il più ignorante governo della storia italiana. E mi fa sorridere quanto siano inefficaci questi ostracismi: più censurano e bloccano, più la società culturale e civile si fa sentire, e va dalla parte opposta agli schemini punitivi e alle azioni di rivalsa».Già, questo è il governo più ignorante perché non invita lui a una fiera. Non fa una piega. Poi uno va a vedere la lista degli invitati e scopre che per lo più si tratta di autori impegnati, gente che spesso e volentieri firma per Repubblica o prende posizione tendendo a sinistra. Dunque il governo è ignorante anche perché invita questi, da Dacia Maraini a Nicola Lagioia passando per Emanuele Trevi, Chiara Valerio, Alessandro Barbero eccetera? Resta inevasa la questione iniziale: perché Saviano deve essere invitato per forza? Perché vende un po’ di copie? Beh, allora si dovrebbe pretendere l’invito anche per Fabio Volo, che sta sempre in cima alle classifiche, o per Geronimo Stilton, il topone che per altro firma su Repubblica. E perché allora non si dovrebbe invitare anche Roberto Vannacci, dato che è stato il caso letterario più clamoroso dei mesi passati?Giova ricordare, tra l’altro, che Saviano non ha prodotto libri nuovi di recente, se si esclude una sorta di auto antologia sempre a tema mafia. Non solo. Tramite comunicato l’Associazione italiana editori ha fatto sapere che «come spiegato dal presidente Innocenzo Cipolletta, la scelta degli autori ospiti a Francoforte è frutto di una procedura, fatta di un proficuo dialogo e confronto con i singoli editori e agenti letterari italiani, a partire proprio dalle loro proposte. Tra le proposte sulla base delle quali si è costruito il programma mancano ovviamente molti autori tra i quali, almeno fino ad oggi, Roberto Saviano. L’Aie non avrebbe mai permesso e non permetterà mai ingerenze esterne rispetto alla volontà degli editori». In sostanza, pare che dagli editori non sia giunta la richiesta di invitare Roberto a promuovere volumi. In ogni caso, la triste verità è che alle fiere e ai grandi eventi, così come nei luoghi di potere, sono invitati e celebrati soltanto coloro che fanno parte delle consorterie culturali, con rarissime e radiose eccezioni. Se il governo di destra ha una colpa è quella di non aver del tutto sbriciolato questo sistema usando la mazza invece del martelletto per misurare i riflessi. Le culture alternative e realmente critiche, di destra e di sinistra, e le voci davvero urticanti non sono presenti perché stanno, ontologicamente, fuori da questi grotteschi giochini di misera politichetta letteraria. L’indignazione su Francoforte non nasce perché qualcuno ha mutilato il pensiero libero, ma perché i tenutari del bordello culturale si sono sentiti toccati sul vivo, e cioè nel loro potere di dettare legge su un mondo di cui si ritengono dominatori. Non hanno a cuore il giardino delle lettere ma il loro orticello, lo spazio che gestiscono da decenni come ras del quartierino. E allora, ecco un consiglio non richiesto al governo destrorso: invitateli sempre, invitate solo loro alle rassegne e ai premi. Dopo tutto, come diceva Thomas Bernhard, vincere un premio equivale a farsi cagare in testa. E i grandi autori italici hanno diritto a stare nell’elemento che prediligono.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)