
Berlino tiene in pugno Austria, Olanda e il resto del blocco nordico: queste nazioni spingono per una politica decisamente rigorista proprio perché è ciò che serve alla Germania. Roma dovrebbe mettersi alla testa del gruppo degli «Stati positivi» e fare pressione.Molti segnali indicano che Parigi e Berlino sentano la priorità di difendere un'architettura europea e dell'eurozona di loro vantaggio condizionante nel momento in cui questa si è sostanzialmente modificata per rispondere all'emergenza economica e difficilmente potrà tornare come prima attraverso un processo consensuale tra nazioni. Per tale motivo hanno comunicato congiuntamente l'impegno a rendere le istituzioni europee generose verso chi ha bisogno per legittimare una stretta successiva che ripristini il potere condizionante del modello pre virus. Per la Germania il problema è che se la Bce restasse permanentemente nella configurazione di garante illimitato degli eurodebiti, allora il suo potere condizionante esercitato attraverso le istituzioni ordinative dell'Ue sparirebbe. Per esempio, se la Bce compra parte del debito emesso dall'Italia perché mai Roma dovrebbe ricorrere alla procedura del Mes? Berlino tiene a briglia l'Italia calibrando la pressione dell'Ue, così come offre alla Francia il permesso speciale di non rispettare i vincoli europei di bilancio in cambio di concessioni politiche e industriali riservate, tra cui il chiudere un occhio sulle piccole banche tedesche a conduzione partitica che restano fuori dalla vigilanza europea e sulla qualità discutibile dei bilanci di quelle grandi, qui in complicità con quelle francesi. Pertanto Berlino a un certo punto dovrà ripristinare il divieto alla Bce, statutario, di comprare debiti degli Stati, perché in caso contrario perderebbe il potere condizionante. Ma durante l'emergenza ha anche il problema di sostenere la domanda di merci tedesche nel mercato europeo. La soluzione, appunto, è mixare generosità diretta con rigorismo indiretto, aizzando le nazioni autodenominatesi «frugali» ad opporsi a tale generosità, in un gioco delle parti ben orchestrato. Ma i «frugali» - Olanda, Austria, Danimarca e Svezia - sono in realtà nazioni ricattabili dalla Germania, o che comunque hanno bisogno di relazioni industriali privilegiate. L'Olanda ha bisogno di copertura per giustificare un regime fiscale opaco, l'Austria sia di questo sia di concessioni nel business, come Copenhagen e Stoccolma. Il fronte del Nord è in realtà l'area di satelliti - coccolati e condizionati - che la Germania sta preparando sia per una sua area di influenza in caso di rottura dell'Ue sia per operazioni entro questa. Perché l'Italia non ricatta l'Olanda o attacca il segreto bancario austriaco? Sarebbe bombardata dalla Germania e non difesa dalla Francia, pur Parigi offrendo il suo aiuto in cambio di sudditanza. Tipici giochi europei di una Francia per cui l'Ue a sua guida è un moltiplicatore della forza nazionale troppo piccola per essere globale e dalla Germania che la imita in modi meno pubblici, ma silenziosamente più efficaci.Tuttavia, la strategia franco-tedesca sta trovando ostacoli. La Commissione, correttamente, stima che il fondo europeo anticrisi debba essere molto più generoso ed arrivare a 1.000 miliardi, e oltre qualora servisse (servirà). Non per bontà: se così non fosse perché mai uno Stato dovrebbe conferire al bilancio Ue i suoi soldi? Se li terrebbe. Così come la Bce difende quotidianamente la sua postura di garante illimitato non per amore e non solo per la missione statutaria di difendere la stabilità dell'euro, ma perché se non emulasse la sovranità monetaria di una nazione, monetizzando e sterilizzando il debito, allora le nazioni dovrebbero necessariamente riprendersi la sovranità monetaria stessa. Infatti sarà molto difficile che tutte le nazioni accettino di ripristinare l'architettura europea pre virus dopo aver sperimentato la libertà di bilancio e di aiuti di Stato, nonché la sospensione di vincoli ordinativi dell'Ue e una Bce che, finalmente, si comporta da garante illimitato. Pertanto c'è una novità sottovalutata dai centri strategici di Francia e Germania: i funzionari delle istituzioni europee hanno compreso che se queste non si comportano bene compensando con le giuste risorse e misure i danni enormi e duraturi della crisi alla fine vi sarà una ribellione contro le istituzioni stesse e questi, volgarizzando, perderanno il lavoro. Quindi, pur l'Ue incompleta, c'è abbastanza Europa che capisce la necessità di modificare il modello per renderla comoda per tutti, attutendone l'ordinamento depressivo e repressivo-condizionante. La Germania vorrà ripristinarlo, la Francia meno, ma seguirà la prima per mantenere la diarchia.Quindi c'è un potenziale conflitto tra l'Europa positiva e quella negativa franco-tedesca. Se così, l'Italia deve schierarsi a difesa dell'indipendenza della Bce, sostenere la Commissione e rifiutare finanziamenti troppo condizionanti nonché cercare alleanze con gli altri europei, anche nell'europarlamento, per mettersi a capo dell'Europa positiva contro quella negativa in sede di tavolo intergovernativo, per arrivare a un compromesso in cui Francia e Germania trovino nel modello post crisi sì comodità, ma non il potere condizionante che finora hanno esercitato. Roma è debole, ma la strategia «Europa contro Francia e Germania» qui abbozzata è possibile e sarebbe un moltiplicatore di forza negoziale. I partiti si sono accorti di tale opportunità strategica e vedono i motivi di convergenza nazionale per coglierla? www.carlopelanda.com
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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