True
2022-06-03
C’è l’ok alle sanzioni. Ma Orbán piega l’Ue anche sul patriarca
Viktor Orbán (Ansa)
Gli ambasciatori dell’Unione europea a Bruxelles (Coreper) hanno approvato ieri pomeriggio, durante la riunione convocata dalla presidenza francese che si è eccezionalmente svolta a Lussemburgo, il sesto pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia. Per evitare nuove tensioni con l’Ungheria di Viktor Orbán, dal pacchetto è stato escluso il patriarca Kirill (Cirillo I), al secolo Vladimir Michajlovic Gundjaev. La decisione di togliere dall’elenco il multimilionario religioso russo è sorprendente, visto che qualche ora prima della riunione, il premier magiaro, attraverso il suo portavoce Zoltan Kovac, aveva fatto sapere che «l’Ungheria si atterrà ovviamente alla decisione congiunta dell’Unione europea per quanto riguarda le sanzioni al patriarca di Mosca Kirill», aggiungendo che la posizione ungherese «era nota da tempo e nessuno al vertice di Bruxelles si era opposto». L’Europa, alla fine, è riuscita ad approvare il documento, ma il leader ungherese è il vero vincitore del braccio di ferro, visto che ha ottenuto tutto quello che voleva.
Infatti, oltre allo stralcio della posizione del patriarca, Orbán porta a casa il sì allo stop agli acquisti del greggio di Mosca ma solo a partire da gennaio 2023 che, dettaglio non secondario, riguarderà solo il prodotto importato via nave, con «esclusione temporanea» dell’oleodotto Druzhba che rifornisce via terra Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, le quali avranno così tutto il tempo di uscire dalla dipendenza dalle forniture russe. L’esenzione, però, non riguarderà il petrolio distribuito attraverso la sezione settentrionale dell’oleodotto Druzhba, che scorre in Germania e Polonia e in una dichiarazione i due Paesi «si impegnano a fermare comunque le forniture del petrolio russo». In ogni caso, alla fine, tutto questo farà molto male ai russi, perché quando si arriverà a pieno regime si fermerà il 90% degli acquisti comunitari.
Nel documento finale si parla anche dell’eventualità che avvengano «interruzioni improvvise delle forniture di petrolio tramite oleodotto». In questo caso potranno essere introdotte delle «misure di emergenza che permettono ai Paesi senza sbocco sul mare di comprare altro petrolio». Non sono chiari i termini dell’esenzione temporanea, che secondo quanto si è appreso al termine della riunione, dovranno essere affinati la settimana prossima. Riassumendo: coloro che sono coperti dall’esonero potranno continuare a comprare il petrolio, gli altri no. Non è chiaro se nel documento finale ci sia il divieto di riesportazione del greggio russo in arrivo tramite oleodotto e quello di rivendita di prodotti raffinati dal greggio russo. Misure che nella bozza finale erano inserite con la dicitura: «Entreranno in vigore dopo otto mesi e per la Repubblica Ceca dopo 18 mesi».
In un discorso alla nazione, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, aveva dichiarato: «Abbiamo i dettagli sul sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione europea contro la Russia per questa guerra. Il pacchetto è stato concordato. La sua approvazione e l’entrata in vigore richiederanno del tempo. Ma gli elementi chiave del pacchetto sono già chiari. I Paesi europei hanno deciso di limitare in modo significativo le importazioni di petrolio dalla Russia. E sono grato a tutti coloro che hanno lavorato per raggiungere questo accordo. Il risultato pratico è meno decine di miliardi di euro, che la Russia non potrà ora utilizzare per finanziare il terrore».
Nel pacchetto adottato dall’Ue non ci sono solo questioni petrolifere, ma anche i media di regime: Rossiya Rtr/Rtr Planeta, Rossiya 24 e Tv Centre international, oligarchi e ufficiali delle forze armate ritenuti responsabili di crimini di guerra a Bucha. A essere colpita dalla scure europea c’è Sberbank, una delle più grandi banche russe, che viene disconnessa dal sistema Swift, un fatto che il board della banca ha così commentato: «La decisione dell’Ue non influirà sulle operazioni interne. Sberbank lavora normalmente. Le principali restrizioni sono già in vigore. La disconnessione da Swift non cambia la situazione attuale nei regolamenti internazionali. Le transazioni nazionali non dipendono da Swift e saranno eseguite dalla banca in modalità standard». Si tratta della decima banca russa colpita dalle misure dell’Ue, mentre resta ancora fuori Gazprombank, la banca controllata del gigante energetico russo Gazprom, che serve all’Ue per continuare a pagare le forniture di gas, nonostante i noti problemi in merito all’apertura di un secondo conto in rubli. Sempre per quanto riguarda il mondo degli affari, nessun consulente, contabile o esperto finanziario dell’Ue potrà assumere mandati da entità finanziarie russe. In serata, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha espresso tutta la sua soddisfazione: «Grazie alla presidenza francese dell’Ue oggi è stato concordato un altro forte pacchetto di sanzioni contro Putin e il Cremlino. Di fatto, entro la fine del 2022 il 90% delle importazioni russe di petrolio verso l’Ue sarà bandito. Ciò ridurrà la capacità della Russia di finanziare la sua guerra». Ma oggi chi festeggia è solo Orbán.
Il Copasir nega indagini su Salvini. Il leghista: «Se serve vedrò Lavrov»
«Le notizie pubblicate oggi su un quotidiano in merito a indagini del Copasir sulla attività dell’onorevole Matteo Salvini sono del tutto prive di fondamento. Il Copasir è organo di controllo parlamentare sull’operato del governo nel campo della sicurezza della Repubblica e quindi convoca e audisce i componenti dell’esecutivo che hanno competenza in materia e, ovviamente, anche i vertici della intelligence per avere informazioni e valutarne l’operato, nello spirito di piena e leale collaborazione tra gli organi dello Stato. Come già ribadito, peraltro, il Comitato non fa mai valutazioni politiche di alcun tipo sull’attività dei parlamentari ed auspica che da tutti venga preservato il suo profilo istituzionale». Chiare e definitive le parole con cui il presidente del Copasir, il senatore Adolfo Urso, di Fdi mette fine alla polemica, financo un po’ farsesca, sul viaggio a Mosca del leader leghista e sui suoi incontri con l’ambasciatore russo a Roma.
Il Copasir, dunque, aveva chiesto una relazione al governo per capire se «informazioni classificate siano finite nelle mani di persone non autorizzate», non certo pensando a Salvini, come sottolineato dallo stesso presidente, ma all’avvocato Antonio Capuano, ex parlamentare di Forza Italia, considerato l’organizzatore del viaggio, essendo il consigliere diplomatico del leader del Carroccio, che ieri, su Repubblica, aveva attaccato il Comitato parlamentare: «È ridicolo e oltraggioso che ci sia chi minaccia e intimidisce. Che il Copasir ritenga di indagare su cosa fa il segretario della Lega e chi incontra peraltro avendolo raccontato in tv e sui giornali sono intimidazioni inaccettabili».
Del resto il segretario leghista, bersaglio di critiche e bocciature, era stato chiaro : «Non chiedo medaglie, ma neanche processi sommari. Io non mi voglio sostituire a nessuno, voglio solo essere utile alla pace». E ieri Salvini ha detto: «Oggi ho sentito i vertici dei servizi di sicurezza e smentiscono qualsiasi approfondimento, indagine, inchiesta. Fortunatamente siamo in un Paese libero e per la pace a testa alta incontro tutti».
E mentre il viaggio in Russia resta congelato, secondo Domani, Palazzo Chigi era al corrente degli incontri tra Salvini e Razov perché «i servizi segreti italiani e quelli americani sapevano da mesi, come, quando e con quale accompagnatori Salvini incontrava diplomatici russi a Roma». Questo, per il quotidiano di Carlo De Benedetti, «non perché spiassero il senatore della Lega ma perché villa Abamelek, sede dell’ambasciata della Federazione guidata dall’ambasciatore Sergey Razov, è monitorata costantemente dall’intelligence Usa e dall’Aisi, la nostra agenzia di controspionaggio interna». Per via informale «anche alcuni importanti esponenti di Palazzo Chigi erano a conoscenza delle date esatte degli incontri Razov-Salvini, mentre esponenti di vertice della Lega erano stati messi in allerta per la presenza nei rendez vous di Capuano». Questo forse spiegherebbe la risposta formale e felpata da Bruxelles del premier Mario Draghi sul caso: «Ho raccomandato anche al Copasir che l’importante è che questi rapporti siano trasparenti». Ma Salvini ha ribadito: «Dialogare con la Russia e chiedere il cessate il fuoco non è un diritto, è un dovere. Io continuo a lavorare in totale trasparenza per la pace e fare quel che è mio dovere fare. Agli italiani conviene la pace, non la guerra. Mi spiace che ci sia gente che parla a vanvera senza muovere un dito». Il leader del Carroccio si è anche detto pronto a incontrare il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov.
La trasparenza del suo operato era stata difesa da via Bellerio: «Draghi sapeva della missione a Mosca». Non solo grazie alle dichiarazioni pubbliche di Salvini, ma perché per due volte lo stesso senatore gli avrebbe parlato delle sue intenzioni, sia nel corso del loro ultimo colloquio in piazza Colonna, sia durante il volo da Milano a Roma del 25 maggio.
Continua a leggereRiduci
Dopo gli esoneri per gli oleodotti, il magiaro tiene Kirill fuori dalla lista nera. Colpiti Sberbank e i media vicini al Cremlino.Il Copasir nega indagini su Matteo Salvini. Il leghista: «Se serve vedrò Sergej Lavrov». Adolfo Urso smentisce le indiscrezioni: «Il Comitato non può condurre inchieste su onorevoli».Lo speciale comprende due articoli. Gli ambasciatori dell’Unione europea a Bruxelles (Coreper) hanno approvato ieri pomeriggio, durante la riunione convocata dalla presidenza francese che si è eccezionalmente svolta a Lussemburgo, il sesto pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia. Per evitare nuove tensioni con l’Ungheria di Viktor Orbán, dal pacchetto è stato escluso il patriarca Kirill (Cirillo I), al secolo Vladimir Michajlovic Gundjaev. La decisione di togliere dall’elenco il multimilionario religioso russo è sorprendente, visto che qualche ora prima della riunione, il premier magiaro, attraverso il suo portavoce Zoltan Kovac, aveva fatto sapere che «l’Ungheria si atterrà ovviamente alla decisione congiunta dell’Unione europea per quanto riguarda le sanzioni al patriarca di Mosca Kirill», aggiungendo che la posizione ungherese «era nota da tempo e nessuno al vertice di Bruxelles si era opposto». L’Europa, alla fine, è riuscita ad approvare il documento, ma il leader ungherese è il vero vincitore del braccio di ferro, visto che ha ottenuto tutto quello che voleva. Infatti, oltre allo stralcio della posizione del patriarca, Orbán porta a casa il sì allo stop agli acquisti del greggio di Mosca ma solo a partire da gennaio 2023 che, dettaglio non secondario, riguarderà solo il prodotto importato via nave, con «esclusione temporanea» dell’oleodotto Druzhba che rifornisce via terra Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, le quali avranno così tutto il tempo di uscire dalla dipendenza dalle forniture russe. L’esenzione, però, non riguarderà il petrolio distribuito attraverso la sezione settentrionale dell’oleodotto Druzhba, che scorre in Germania e Polonia e in una dichiarazione i due Paesi «si impegnano a fermare comunque le forniture del petrolio russo». In ogni caso, alla fine, tutto questo farà molto male ai russi, perché quando si arriverà a pieno regime si fermerà il 90% degli acquisti comunitari. Nel documento finale si parla anche dell’eventualità che avvengano «interruzioni improvvise delle forniture di petrolio tramite oleodotto». In questo caso potranno essere introdotte delle «misure di emergenza che permettono ai Paesi senza sbocco sul mare di comprare altro petrolio». Non sono chiari i termini dell’esenzione temporanea, che secondo quanto si è appreso al termine della riunione, dovranno essere affinati la settimana prossima. Riassumendo: coloro che sono coperti dall’esonero potranno continuare a comprare il petrolio, gli altri no. Non è chiaro se nel documento finale ci sia il divieto di riesportazione del greggio russo in arrivo tramite oleodotto e quello di rivendita di prodotti raffinati dal greggio russo. Misure che nella bozza finale erano inserite con la dicitura: «Entreranno in vigore dopo otto mesi e per la Repubblica Ceca dopo 18 mesi». In un discorso alla nazione, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, aveva dichiarato: «Abbiamo i dettagli sul sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione europea contro la Russia per questa guerra. Il pacchetto è stato concordato. La sua approvazione e l’entrata in vigore richiederanno del tempo. Ma gli elementi chiave del pacchetto sono già chiari. I Paesi europei hanno deciso di limitare in modo significativo le importazioni di petrolio dalla Russia. E sono grato a tutti coloro che hanno lavorato per raggiungere questo accordo. Il risultato pratico è meno decine di miliardi di euro, che la Russia non potrà ora utilizzare per finanziare il terrore». Nel pacchetto adottato dall’Ue non ci sono solo questioni petrolifere, ma anche i media di regime: Rossiya Rtr/Rtr Planeta, Rossiya 24 e Tv Centre international, oligarchi e ufficiali delle forze armate ritenuti responsabili di crimini di guerra a Bucha. A essere colpita dalla scure europea c’è Sberbank, una delle più grandi banche russe, che viene disconnessa dal sistema Swift, un fatto che il board della banca ha così commentato: «La decisione dell’Ue non influirà sulle operazioni interne. Sberbank lavora normalmente. Le principali restrizioni sono già in vigore. La disconnessione da Swift non cambia la situazione attuale nei regolamenti internazionali. Le transazioni nazionali non dipendono da Swift e saranno eseguite dalla banca in modalità standard». Si tratta della decima banca russa colpita dalle misure dell’Ue, mentre resta ancora fuori Gazprombank, la banca controllata del gigante energetico russo Gazprom, che serve all’Ue per continuare a pagare le forniture di gas, nonostante i noti problemi in merito all’apertura di un secondo conto in rubli. Sempre per quanto riguarda il mondo degli affari, nessun consulente, contabile o esperto finanziario dell’Ue potrà assumere mandati da entità finanziarie russe. In serata, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha espresso tutta la sua soddisfazione: «Grazie alla presidenza francese dell’Ue oggi è stato concordato un altro forte pacchetto di sanzioni contro Putin e il Cremlino. Di fatto, entro la fine del 2022 il 90% delle importazioni russe di petrolio verso l’Ue sarà bandito. Ciò ridurrà la capacità della Russia di finanziare la sua guerra». Ma oggi chi festeggia è solo Orbán.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ce-lok-alle-sanzioni-ma-orban-piega-lue-anche-sul-patriarca-2657447164.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-copasir-nega-indagini-su-salvini-il-leghista-se-serve-vedro-lavrov" data-post-id="2657447164" data-published-at="1654201580" data-use-pagination="False"> Il Copasir nega indagini su Salvini. Il leghista: «Se serve vedrò Lavrov» «Le notizie pubblicate oggi su un quotidiano in merito a indagini del Copasir sulla attività dell’onorevole Matteo Salvini sono del tutto prive di fondamento. Il Copasir è organo di controllo parlamentare sull’operato del governo nel campo della sicurezza della Repubblica e quindi convoca e audisce i componenti dell’esecutivo che hanno competenza in materia e, ovviamente, anche i vertici della intelligence per avere informazioni e valutarne l’operato, nello spirito di piena e leale collaborazione tra gli organi dello Stato. Come già ribadito, peraltro, il Comitato non fa mai valutazioni politiche di alcun tipo sull’attività dei parlamentari ed auspica che da tutti venga preservato il suo profilo istituzionale». Chiare e definitive le parole con cui il presidente del Copasir, il senatore Adolfo Urso, di Fdi mette fine alla polemica, financo un po’ farsesca, sul viaggio a Mosca del leader leghista e sui suoi incontri con l’ambasciatore russo a Roma. Il Copasir, dunque, aveva chiesto una relazione al governo per capire se «informazioni classificate siano finite nelle mani di persone non autorizzate», non certo pensando a Salvini, come sottolineato dallo stesso presidente, ma all’avvocato Antonio Capuano, ex parlamentare di Forza Italia, considerato l’organizzatore del viaggio, essendo il consigliere diplomatico del leader del Carroccio, che ieri, su Repubblica, aveva attaccato il Comitato parlamentare: «È ridicolo e oltraggioso che ci sia chi minaccia e intimidisce. Che il Copasir ritenga di indagare su cosa fa il segretario della Lega e chi incontra peraltro avendolo raccontato in tv e sui giornali sono intimidazioni inaccettabili». Del resto il segretario leghista, bersaglio di critiche e bocciature, era stato chiaro : «Non chiedo medaglie, ma neanche processi sommari. Io non mi voglio sostituire a nessuno, voglio solo essere utile alla pace». E ieri Salvini ha detto: «Oggi ho sentito i vertici dei servizi di sicurezza e smentiscono qualsiasi approfondimento, indagine, inchiesta. Fortunatamente siamo in un Paese libero e per la pace a testa alta incontro tutti». E mentre il viaggio in Russia resta congelato, secondo Domani, Palazzo Chigi era al corrente degli incontri tra Salvini e Razov perché «i servizi segreti italiani e quelli americani sapevano da mesi, come, quando e con quale accompagnatori Salvini incontrava diplomatici russi a Roma». Questo, per il quotidiano di Carlo De Benedetti, «non perché spiassero il senatore della Lega ma perché villa Abamelek, sede dell’ambasciata della Federazione guidata dall’ambasciatore Sergey Razov, è monitorata costantemente dall’intelligence Usa e dall’Aisi, la nostra agenzia di controspionaggio interna». Per via informale «anche alcuni importanti esponenti di Palazzo Chigi erano a conoscenza delle date esatte degli incontri Razov-Salvini, mentre esponenti di vertice della Lega erano stati messi in allerta per la presenza nei rendez vous di Capuano». Questo forse spiegherebbe la risposta formale e felpata da Bruxelles del premier Mario Draghi sul caso: «Ho raccomandato anche al Copasir che l’importante è che questi rapporti siano trasparenti». Ma Salvini ha ribadito: «Dialogare con la Russia e chiedere il cessate il fuoco non è un diritto, è un dovere. Io continuo a lavorare in totale trasparenza per la pace e fare quel che è mio dovere fare. Agli italiani conviene la pace, non la guerra. Mi spiace che ci sia gente che parla a vanvera senza muovere un dito». Il leader del Carroccio si è anche detto pronto a incontrare il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. La trasparenza del suo operato era stata difesa da via Bellerio: «Draghi sapeva della missione a Mosca». Non solo grazie alle dichiarazioni pubbliche di Salvini, ma perché per due volte lo stesso senatore gli avrebbe parlato delle sue intenzioni, sia nel corso del loro ultimo colloquio in piazza Colonna, sia durante il volo da Milano a Roma del 25 maggio.
Piero Cipollone (Ansa)
Come spiega il politico europeo i «soldi verranno recuperati attraverso quello che è il signoraggio all’euro digitale». Invece «per quanto riguarda sistema bancario e gli altri fornitori di servizi di pagamento, la stima è che possa essere fra i quattro e sei miliardi di euro per quattro anni», ricorda Cipollone. «Tenete conto che, rispetto a quello che spendono le banche per i sistemi It, questa è una cifra minima. Parliamo di circa il 3,5% di quello che spendono le banche annualmente per implementare i loro sistemi. Quindi non è un costo». Inoltre, aggiunge, «va detto che le banche saranno compensate» con una remunerazione molto simile a come quando si fa «una transazione normale con carta».
Cipollone ha anche descritto una sequenza temporale condizionata dall’iter legislativo europeo e dalla necessità di predisporre un’infrastruttura operativa completa prima di qualunque emissione. «Se per la fine del 2026 avremo in piedi la legislazione a quel punto pensiamo di essere in grado di costruire tutta la macchina entro la prima metà del 2027 e quindi, a settembre del 27, di cominciare una fase di sperimentazione, il “Pilot”. Per poi partire con il lancio effettivo nel 2029».
Per l’ex vicedirettore generale della Banca d’Italia, l’euro digitale è particolarmente importante per l’Europa «perché via via che si espande lo spazio digitale dei pagamenti, su questo spazio la presenza di operatori europei è quasi nulla». Insomma, «più si espande lo spazio dei pagamenti digitali, più la nostra dipendenza da pochi e importanti operatori stranieri diventa più profonda», ricorda Cipollone. «Le parole chiave sono “pochi” e “non europei”, perché pochi richiama il concetto di scarsa concorrenza, stranieri non europei richiama il concetto di dipendenza strategica da altri operatori. Noi non abbiamo nulla contro operatori stranieri che lavorino nell’area dell’euro. Il problema è che noi vorremmo che l’area dell’euro avesse una sua infrastruttura autonoma, indipendente, che non dipenda dalle decisioni degli altri».
Cipollone ribadisce poi la posizione della Bce sul contante: resta centrale perché «estremamente semplice da usare», quindi inclusivo, utilizzabile ovunque e «sicuro» perché «senza alcun rischio associato». Il problema, però, è che nell’economia sempre più digitale il contante diventa meno spendibile: «Sta diventando sempre meno utilizzabile nell’economia». Da qui l’argomento «di mandato»: se manca un equivalente del contante online, si toglie ai cittadini la possibilità di usare moneta di banca centrale nello spazio digitale; «è come discriminare contro la moneta pubblica». Quindi la Bce deve «estendere una specie di contante digitale» con funzioni analoghe al contante, ma adatto ai pagamenti digitali.
Il politico ieri ad Atreju ha anche parlato di metallo giallo ricordando che le riserve auree delle banche centrali sono cresciute fino a circa 36.000 tonnellate. Come ha spiegato l’esperto, queste riserve «hanno un fondamento storico importante» perché, quando c’era la convertibilità, «servivano come riserva rispetto alle banconote». Oggi, con le monete a corso legale, «la credibilità del valore della moneta è affidata a quella della Banca centrale nell’essere capace di controllare i prezzi», ma «una eco di questa convertibilità è rimasta»: oro e valute restano riserve di valore contro rischi rilevanti.
Come ha spiegato, le Banche centrali comprano oro soprattutto come difesa «contro l’inflazione» e contro «i rischi nei mercati finanziari», e perché «le riserve sono una garanzia della capacità del Paese di far fronte a possibili shock esterni». Per questi motivi, «l’oro è tornato di moda».
Continua a leggereRiduci
L’argento è ai massimi storici a oltre 60 dollari l’oncia superando i fasti del 1979 o del 2011. Oltre 45 anni fa l’inflazione fuori controllo, la crisi degli ostaggi in Iran e l’invasione sovietica dell’Afghanistan spinsero il prezzo dell’oro a triplicare, mentre l’argento salì addirittura di sette volte. Dopo quel picco, entrambi i metalli entrarono in una lunga fase di declino, interrotta solo dalla sequenza di crisi finanziarie iniziata con il crollo del mercato immobiliare statunitense nel 2007, proseguita con il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e culminata nella crisi del debito europeo tra il 2010 e il 2012. In quel periodo l’oro raddoppiò, mentre l’argento quasi quadruplicò.
A differenza dei grandi rally del passato, l’ultimo anno non è stato caratterizzato da eventi catastrofici paragonabili. E allora perché un rally dei «preziosi»? Parte della spiegazione risiede nelle preoccupazioni degli investitori per una possibile pressione politica sulla Federal Reserve, che potrebbe tradursi in inflazione più elevata con tassi più bassi, uno scenario tradizionalmente favorevole ai metalli preziosi. Un’altra parte deriva dagli acquisti di oro da parte delle banche centrali, impegnate a ridurre la dipendenza dal dollaro. Oggi il metallo giallo rappresenta circa il 20% delle riserve ufficiali globali, superando l’euro (16%). Il congelamento delle riserve russe dopo l’invasione dell’Ucraina ha incrinato la fiducia nel dollaro come valuta di riserva, rafforzando l’attrattiva dell’oro e, per effetto di contagio, anche dell’argento.
Lo sblocco di 185 miliardi di euro di asset russi congelati sta già producendo effetti profondi sull’architettura finanziaria globale e sulla gestione delle riserve da parte delle banche centrali. Secondo Jefferies, il dibattito sulla possibile monetizzazione di queste riserve rappresenta un precedente di portata storica e costituisce uno dei principali motori dell’accelerazione degli acquisti di oro da parte delle banche centrali, iniziata nel 2022.
Il problema è innanzitutto di fiducia. Per i mercati globali il segnale è già stato colto. Il congelamento delle riserve russe nel 2022 è stato il “trigger” - lo stimolo - che ha spinto molti Paesi, soprattutto al di fuori del G7, a interrogarsi sulla sicurezza delle proprie attività denominate in valute occidentali. La risposta è stata un accumulo senza precedenti di oro. I dati del World Gold Council mostrano che tra il terzo trimestre del 2022 e il secondo del 2025 le banche centrali hanno acquistato 3.394 tonnellate di metallo prezioso, con tre anni consecutivi oltre la soglia delle 1.000 tonnellate.
Questo movimento strutturale si è intrecciato con altri fattori macroeconomici che hanno sostenuto una spettacolare corsa dell’oro. Tra il 2024 e il 2025 i prezzi sono raddoppiati, spinti dagli acquisti ufficiali, dai tagli dei tassi della Federal Reserve, da un dollaro più debole, dai dubbi sull’indipendenza della banca centrale statunitense e dal ritorno massiccio degli investitori negli Etf.
Altro fattore scatenante di oro e argento è il debito. Quello globale sfiora ormai la soglia dei 346mila miliardi di dollari, segnala l’Institute of International Finance (IIF), che nel suo ultimo rapporto evidenzia come, a fine settembre, l’indebitamento complessivo abbia raggiunto i 345,7 trilioni, pari a circa il 310% del Pil mondiale. Secondo l’IIF, «la maggior parte dell’aumento complessivo è arrivato dai mercati sviluppati, dove l’ammontare del debito ha segnato un un rapido aumento quest’anno».
Più debito e più sfiducia sulle regole finanziarie portano alla fuga però dai titoli di Stato, come emerge dai rendimenti. Quelli dei bond pubblici globali a 10 anni e oltre sono balzati al 3,9%, il livello più alto dal 2009. I rendimenti obbligazionari mondiali (gli interessi che si pagano) sono ora 5,6 volte superiori al minimo registrato durante la pandemia del 2020. Trainano il rialzo le principali economie, tra cui Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Canada, Germania e Australia. Per dire, il rendimento dei titoli di Stato tedeschi a 30 anni è salito al 3,46%, il livello più alto da luglio 2011. Quando l’argento toccò un picco.
L'era del denaro a basso costo per i governi sembra finita. Vediamo come finisce questa corsa del «silver» e del «gold».
Continua a leggereRiduci