2023-03-31
«Cospito detta la linea terroristica». Cassazione, doppia mandata al 41 bis
La Suprema corte conferma il regime di carcere duro per l’anarco-insurrezionalista in sciopero della fame: «È un soggetto pericoloso che non si è mai dissociato». E ora il bandito Graziano Mesina lo copia.La Corte di Cassazione, certificando che l’anarco insurrezionalista Alfredo Cospito è un cattivo maestro per l’area ideologica che l’ha individuato come modello, quella dalla Federazione anarchica informale, ha ritenuto che «se sottoposto a regime ordinario» può continuare a essere «punto di riferimento e fonte di indicazione delle linee programmatiche criminose e degli obiettivi da colpire». Insomma, secondo i giudici della Suprema corte, l’unico regime detentivo adeguato per il suo profilo è quello previsto dal 41 bis.Per la sua «attuale» e «perdurante pericolosità», quindi, la Cassazione, è spiegato nel verdetto numero 13.258 (depositato dalla Prima sezione penale e relativo all’udienza del 24 febbraio), ha deciso di confermare il carcere duro, convalidando in pieno l’ordinanza con la quale il Tribunale di sorveglianza di Roma lo scorso 1° dicembre aveva respinto il ricorso della difesa. E richiamando i passaggi del decreto firmato dal ministro Carlo Nordio, i giudici sottolineano la «pericolosità dallo stesso dimostrata in occasione dei reati di attentato e di strage di cui si è reso responsabile», ma anche «l’assiduità delle comunicazioni con le realtà anarchiche esterne all’istituto carcerario», non tutte ancora individuate. C’è anche un altro aspetto: Cospito «non ha in alcun modo manifestato segni di dissociazione e, anzi, ha continuato con i suoi scritti fino ad epoca recente a propugnare il metodo della lotta armata», esaltando un anarchismo «diverso da quello classico e connotato da azioni che mettono in pericolo la vita di uomini e donne del potere». Per il procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo c’è tutto «un «mondo» che si muove su «input» di Cospito e a suo sostegno» e «quel sostegno si esplica attraverso azioni violente e di grave intimidazione». Il guru della «A» cerchiata ha riportato una condanna a 20 anni di reclusione, pronunciata in primo grado dalla Corte d’assise di Torino il 24 aprile 2019, per una serie di attentati rivendicati tra il 2003 e il 2016, tra i quali l’aver gambizzato Roberto Adinolfi, manager dell’Ansaldo Nucleare, nel 2012 a Genova. Un reato del quale non si è mai pentito, assumendone la paternità in udienza. Nei giorni scorsi il Tribunale di sorveglianza di Milano e quello di Sassari hanno anche respinto la richiesta di differimento pena che Cospito, arrivato a 162 giorni di sciopero della fame e della sete (con integratori e zuccheri), aveva presentato, chiedendo di poter andare ai domiciliari da sua sorella. E in quell’occasione è stata avanzata una proposta che ha smascherato l’ipocrisia di chi ha negato, durante il dibattito sull’abolizione del 41 bis, l’esistenza di una trattativa portata avanti anche con l’avallo, si spera inconsapevole, di alcuni maggiorenti del Pd, e il collegamento tra i due mondi (anarco insurrezionalista e mafioso) solo apparentemente distanti. Tramite il suo legale, l’avvocato Flavio Rossi Albertini, Cospito aveva fatto sapere di essere «anche disposto a recedere dallo sciopero della fame purché il Tribunale di sorveglianza liberasse altri detenuti che sono sottoposti al 41 bis».Proprio in udienza a Milano Cospito ha detto ai giudici che «avrebbe desistito», annotano le toghe, «dalla sua protesta «solo se fossero stati scarcerati «quei quattro vecchi malati» che ci sono in Sai (Servizio assistenza intensificata del carcere di Opera, ndr)». I «quattro vecchi malati» sarebbero mafiosi condannati al regime speciale. La condotta del detenuto è stata quindi bollata come «strumentale». Concetto ribadito anche dai giudici di Sassari, che all’ennesima richiesta di scarcerare i mafiosi, hanno risposto: «Non vi è dubbio sul fatto che la fattispecie in esame, in cui assume rilevanza decisiva la strumentalità della condotta di Cospito, non può essere ricondotta ad alcuna disposizione codicistica». Nella legislazione, insomma, quello che deve essere apparso ai giudici come un ricatto non è codificato. L’esistenza di una lotta comune di anarchici e mafiosi contro il 41 bis, invece, è emersa nelle osservazioni fatte dalla polizia penitenziaria sulla vita in carcere di Cospito. Da quelle relazioni si apprendeva che lo sciopero della fame era condiviso con alcuni boss al 41 bis. Una saldatura pericolosissima stigmatizzata in Parlamento dal deputato Giovanni Donzelli (vicepresidente del Copasir) e per questo messo alla berlina dalle opposizioni, che hanno valutato come più grave la rivelazione di quelle annotazioni che non il loro contenuto. Spicca una comunicazione fatta dal Reparto operativo mobile di Sassari su quanto accaduto l’11 gennaio, durante un presidio di solidarietà per Cospito. Il camorrista Francesco Di Maio aveva esortato quest’ultimo a continuare la sua «battaglia» perché «pezzetto dopo pezzetto si arriverà al risultato». Al che, Cospito, aveva replicato: «Questi vengono a rompere il cazzo, ma deve essere una lotta contro il regime 41 bis e contro l’ergastolo ostativo: non deve essere una lotta solo per me. Per me noi 41 bis siamo tutti uguali». E proprio come Cospito, aveva presentato istanza di detenzione domiciliare per motivi di salute pure Graziano Mesina, l’ottantenne primula rossa del Supramonte, detenuto a Opera. Mesina, evaso più volte (l’ultima nel 2020), ha deciso, si legge negli atti, di «autodimettersi» dalle cure. Per i medici del carcere, non è stato più possibile eseguire esami approfonditi. Nel provvedimento di rigetto della richiesta di detenzione domiciliare si dice il detenuto si pone «in maniera oppositiva» e non offre collaborazione per una diagnosi. Le sue condizioni sono però «apparentemente» discrete, e rimarrà in carcere.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
Continua a leggereRiduci