2024-06-19
Caro Scurati, scrittore patentato, odio e disprezzo sono progressisti
Nel suo discorso per il premio in Francia lo scrittore, per accusare Giorgia Meloni, ha tirato di nuovo in ballo il ventennio e il «vento reazionario». Il vero pericolo, però, arriva proprio dagli intellettuali di sinistra.Siamo felici che Antonio Scurati abbia ricevuto in Francia la prestigiosa onorificenza di Cavaliere delle arti e delle lettere. Lui se ne dice profondamente onorato, dunque non resta che gioire con lui e prendere molto sul serio il discorso che ha tenuto per l'occasione, reso ancora più pregnante dalla medaglia che gli hanno appuntato al petto e che lo rende quel che tutti gli autori italiani aspirano a essere: uno scrittore patentato, riconosciuto dalle istituzioni e approvato dallo Stato. Certo, non è lo Stato italiano ma quello francese. E infatti, come prevedibile, il giornale unico progressista ha dato dell'evento (benché programmato da tempo) una lettura tutta politica: «Da noi bersaglio, in Francia Cavaliere», sintetizza La Stampa. In realtà, Scurati è celebrato e riverito anche da noi, e una migliore gestione di un invito in Rai avrebbe evitato imbarazzi e strumentalizzazioni, ma lasciamo correre e concentriamoci su un tema più rilevante sollevato dallo stesso romanziere: la letteratura come sfida alla oppressione e alla «politica dell'odio». Scurati in Francia ha, manco a dirlo, parlato del Ventennio. «Questo fu, essenzialmente il fascismo, l'abbandono di una politica della speranza per una politica della paura. Le differenze rispetto a cento anni fa sono molte e profonde», ha argomentato. «Eppure oggi si è levato nuovamente quello stesso vento reazionario che soffia sulla paura del popolo, sulle sue passioni tristi, sul risentimento nei confronti del sistema, sul rancore, sul senso di delusione e di tradimento dei ceti medi impoveriti, sui cittadini spaventati da mutamenti epocali, schiacciati dalla inestricabile complessità di un mondo grande e terribile, angosciati da guerre, catastrofi naturali, pandemie, traditi dalle mancate promesse della storia. Quel vento malsano» ha concluso Scurati, «non si limita a seminare paura, opera una sorta di commutazione alchemica fra la paura e l'odio. Sempre alla ricerca di un nemico straniero, di un nemico invasore, la voce sinistra che sibila in quel vento rovinoso invita a chiudersi, a temere, a odiare; dopo aver scoraggiato, sobillato, spaventato la gente, le offre protezione in cambio di libertà. Le offre un passato consolatorio e immaginario in cambio di un futuro migliore e ancora possibile». È piuttosto chiaro che lo scrittore, evocando il malsano vento reazionario, si riferisca all'ascesa delle destre in Francia, Germania, Italia, Austria e altrove. Di nuovo, nulla di sorprendente. È esattamente ciò che ci si aspetta da uno scrittore italiano: che metta in guardia dal fascismo (in assenza di fascismo) e che bastoni genericamente le destre. A prescindere da questo, quel che Scurati sostiene è in larga parte vero. Però non sono «le destre» (o almeno non sono soltanto queste) ad alimentare il clima di smarrimento, paura e ostilità che ci tocca respirare. Nei mesi della pandemia il terrore è stato all'ordine del giorno proprio come al tempo di quella rivoluzione francese che Scurati ha incensato e che in realtà costituisce la prova generale di tutti i totalitarismi. Oggi la paura e il disprezzo del diverso sono senz'altro coltivati anche da qualche elemento della destra (ma quale, visto che quelle europee sono tutte diverse?), tuttavia ad averne fatto elemento costitutivo della propria azione politica sono soprattutto i progressisti e i sedicenti liberali. I primi, cioè, a modificare e cancellare il linguaggio, a demolire le tradizioni, a impedire il libero flusso del pensiero. Tanto che risulta ridicola e anacronistica la divisione destra/sinistra. A minacciare la letteratura e la cultura, oggi, è il pensiero prevalente guerrafondaio, intollerante e antiumano. Questo pensiero, purtroppo, prospera grazie al collaborazionismo degli intellettuali che, di fronte alle evidenti storture della mentalità dominante, tacciono o peggio acconsentono per ricavarne benefici. Ne siamo certi: ogni scrittore italiano «di successo», cioè onnipresente ai festival e riverito dai quotidiani, se avesse ricevuto la coccarda attribuita a Scurati, avrebbe detto le stesse identiche cose, avrebbe lanciato gli stessi identici allarmi. Non c'è uno, tra i venerati maestri, che sia capace di un minimo di originalità, che abbia il fegato di non conformarsi e di non partecipare alla demonizzazione del nemico. Sono tutti impegnati ad alimentare costantemente i due minuti d'odio orwelliani: mai un guizzo, mai una critica al sistema che li foraggia. Attenzione: non stiamo mica dicendo che ci vorrebbero scrittori «di destra», mica puntiamo così in basso. Ci vorrebbero, semmai, autori come il Philip Roth della Macchia umana, che a inizio millennio aveva già intuito e raccontato la peste culturale del politicamente corretto. Ci vorrebbero nuove leve più simili al bravissimo americano Julius Taranto (in Italia è uscito da poco Come ho vinto il Nobel, brillante satira della Cancel culture) che è senz'altro di sinistra ma dotato di senso critico. Ci vorrebbe, insomma, qualcuno capace di uscire dallo schemino soffocante che garantisce visibilità e notorietà in cambio di sottomissione e piattezza. La letteratura può salvare dai regimi liberticidi e dall'odio, come no. Ma i nostri autori preferiscono abdicare per ottenere premi e medaglie. Magari concesse dalla Francia che ha sgretolato la Libia, sfruttato l'Africa, impoverito i ceti popolari e con Macron ha pure flirtato con l'idea di scatenare la terza guerra mondiale. Giusto così, in fondo: quella di appassionarsi a galloni e titoli è una usanza profondamente italiana. Almeno sotto qualche aspetto i nostri letterati sanno tenere viva la tradizione.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson