2025-09-13
La destra d’Italia che si intesta Kirk provi adesso a imitarlo davvero
Murale commemorativo in memoria di Charlie Kirk (Ansa)
L’attivista è stato un esempio a livello culturale: non mollava sui temi etici, non aveva alcun timore, era preparatissimo, dialogava con tutti, non pativa alcuna sudditanza. Cose che qui a volte mancano.Stavolta sono davvero in pochissimi a dire «Je suis Charlie», dato che il Charlie in questione è Kirk. Come i vignettisti francesi, era convinto e talvolta provocatorio, difendeva le sue idee e per queste è morto. Ma è colpevole di essere cristiano, bianco e destrorso, dunque sulla sua tomba non solo si può evitare di piangere, ma è concesso addirittura sputare, come fanno in queste ore vigliacchi di ogni ordine e grado ma di un solo orientamento politico: quello progressista. Da sinistra tuttavia ci si poteva aspettare l’indecoroso spettacolo di insinuazioni e giustificazioni a cui abbiamo assistito nelle ultime ore. La questione più interessante da esaminare riguarda piuttosto l’altro fronte e cioè la destra. Da quelle parti ora qualcuno pronto a dichiarare «Je suis Charlie Kirk» in effetti c’è. Toccherebbe capire però con quale e quanta convinzione. E se, in effetti, alcune delle lezioni di Kirk possano essere recepite in Italia, e come. Perché la sensazione è che uno come Charlie, in Italia, ancora non ci sia. E se ci fosse non avrebbe poi vita facile. Kirk, prima di tutto, era uno che non le mandava a dire. Più che provocare, in realtà, sosteneva con granitica fermezza le sue posizioni, difendeva la sua cittadella. Non aveva paura di risultare politicamente scorretto, non temeva di risultare divisivo, come si ama dire di questi tempi. Non aveva paura degli attacchi e di sicuro non era disposto a edulcorare il messaggio in cambio di una intervista su un quotidiano o di un invito in più in televisione. Non prendeva le distanze da questo e da quello per conservare visibilità o per risultare presentabile in qualche salotto. In compenso, a differenza di ciò che troppi politici sono usi a fare, non evitava le domande, non sfuggiva al confronto. Anzi lo cercava e lo affrontava con il massimo della preparazione: era difficile coglierlo in fallo, che si parlasse di letteratura o di stretta attualità di Washington. Soprattutto, però, Charlie Kirk faceva qualcosa di cui ultimamente i più hanno un sacro terrore: metteva al centro dell’azione politica la sua appartenenza religiosa. La sua agenda era cristiana. Nei dibattiti pubblici si definiva prima di tutto cristiano, e poi eventualmente nazionalista o conservatore. E non era un cristiano per modo di dire, cioè qualcuno che dichiara di riconoscersi in una generica cultura cristiana. Era al contrario un praticante coerentissimo: la sua condotta di vita e le sue dichiarazioni coincidevano. Ma la sua coerenza era, più che privata, tutta politica. Su quelli che noi chiamiamo superficialmente temi etici non arretrava, non era disposto a negoziare sui valori non negoziabili. Quanti movimenti e partiti di casa nostra possono dire lo stesso?Certo è più che legittimo che ora le destre piangano il martire conservatore, ed è senz’altro vero che quella morte le riguarda tutte. Con gradazioni diverse, l’odio riversato negli anni contro Charlie Kirk è lo stesso che viene riversato quotidianamente su chiunque non si riconosce nelle posizioni progressiste. Dunque, che ci piaccia o no, siamo realmente tutti Charlie. Ma è anche vero che se Kirk fosse vivo e vegeto e italiano, probabilmente non sarebbe così gradito, la «destra ufficiale» difficilmente lo porterebbe in trionfo. Anzi, è facile che molti sarebbero pronti a prendere le distanze dalle sue uscite, per distinguersi e risultare più moderni e mainstream. Del resto lo hanno già fatto ripetutamente, e per molto meno. E non solo sulle faccende riguardanti la morale: basti ricordare il triste spettacolo offerto riguardo al Covid per rendersi conto di quale sia il quadro. Attenzione, non stiamo dicendo che si dovrebbero ricalcare qui le modalità di Charlie o dei suoi colleghi statunitensi, che hanno evidentemente un altro linguaggio perché agiscono in un contesto differente, e per altro sono di fede evangelica e non cattolica. Ma la tenuta, quella sì. La centralità dello spirituale nella politica, la preparazione e la totale assenza di sudditanza culturale sono (erano) doni di Kirk che dovrebbero e potrebbero essere imitati e riproposti. Il punto è che Charlie merita di essere pianto non perché «è morto per le idee» o per la libertà di pensiero. Egli è morto in virtù di quelle precise idee, di quella precisa fede, non in nome della tolleranza liberale delle opinioni altrui. Non è un martire politico, è prima di ogni altra cosa un martire cristiano. È questo suo essere cristiano che lo ha reso così ferocemente odiato dalla sinistra che continua a vilipenderne la memoria. Ed è per la stessa ragione che, se fosse tra noi ora, molti a destra ne avrebbero timore. Ovvio: le idee e la fede di Charlie si possono anche non condividere. Ma si dovrebbe condividerne per lo meno la incrollabile determinazione. E si dovrebbe accoglierne la grande lezione: si può e si deve essere sempre disponibili al dialogo, mai al cedimento.