2020-02-01
«Cari ragazzi, vi racconto i lager». Ma il finto ebreo si inventava tutto
Da 15 anni girava per le scuole venete testimoniando la sua esperienza nei campi di concentramento nazisti. Uno storico lo ha smascherato: l'ingegnere di origine calabrese Gaetano Artale non è mai stato ad Auschwitz.A Pinocchio, quando raccontava una panzana, si allungava il naso. All'ingegner Samuel Gaetano Artale von Belskoj-Levi, padovano, uno studio professionale ben avviato e una discreta popolarità in tutto il Veneto, si allungava il carniere di applausi ricevuti, inviti e incontri pubblici presso associazioni, scuole, Comuni. Solo che la menzogna raccontata da Artale non era poi così fanciullesca: pare che l'ottantatreenne abbia costruito la sua notorietà sulla descrizione minuziosa dei suoi trascorsi nel lager di Auschwitz da bambino prigoniero. Pubblicando un libro autobiografico e riscuotendo il plauso persino della senatrice Liliana Segre, che ha mandato un personale messaggio di saluto durante un evento in cui presenziava Artale. Ma la perplessità di alcuni tra i più elevati rappresentanti delle comunità ebraiche italiane, insospettiti da svariate incongruenze narrative e fino a oggi esitanti nel contraddirlo per non alimentare il fuoco del negazionismo, alla fine è saltata fuori. Soprattutto perché Artale, domenica prossima, è di nuovo in cartello per un incontro pubblico a Meolo, provincia di Venezia, chiamato a esporre quella che ormai pare sia l'infausta commemorazione di una personale mitomania. Lo spiega nel dettaglio il quotidiano Il Gazzettino, che ha ricostruito per intero la vicenda partendo dal luogo di nascita del soggetto. Artale sostiene di essere nato da famiglia ebreo-prussiana a Rostock, in Germania. Un veneziano appassionato di storia ebraica ha recapitato nella casella della posta del giornale un fascicolo per denunciare la prima mistificazione. Dalla visura camerale della Camera di Commercio di Padova emerge una storia del tutto differente: il finto deportato sarebbe nato a Laino Borgo, Calabria, provincia di Cosenza, il 22 marzo 1937. La verifica avrebbe fornito materiale per ulteriori considerazioni, riassunte nella dichiarazione di Gadi Luzzatto Voghera, direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano: «La storia che per anni ha raccontato Artale non è mai stata vissuta. Negli archivi di Rostock non c'è traccia della sua famiglia e gli ebrei di quella città sono stati tutti deportati due anni prima di quel che racconta. Nei Sonderkommando ad Auschwitz non hanno mai lavorato bambini, come lui sostiene. E lui stesso non è un ebreo tedesco, bensì un anziano signore che risulta nativo di Cosenza. Il libro che ha pubblicato lo scorso anno, intitolato Alla vita, è ricco di errori storici. Purtroppo in questi giorni l'amministrazione comunale di Cessalto, ultima di una lunga serie, ha deciso di offrire a 300 studenti la testimonianza di questo signore in occasione del Giorno della Memoria. Fatto più grave, ha chiesto e ottenuto dalla inconsapevole senatrice Liliana Segre un messaggio di saluto per la manifestazione, associando così la testimonianza vera a quella fasulla».Non è vero che le bugie hanno le gambe corte. Chi le sa raccontare bene finisce per autoconvincersi di essere nel vero, e finisce magari per convincere persino un uditorio qualificato. «Nel dopoguerra sono state raccolte migliaia di testimonianze di sopravvissuti allo sterminio. Ci sono stati alcuni casi noti di personaggi che, per motivazioni legate a dinamiche psicologiche insondabili, hanno offerto testimonianze rivelatesi false. La testimonianza del signor Artale, da quindici anni invitato da istituzioni e amministrazioni pubbliche, rientra in questa categoria», prosegue Luzzatto. Quindici anni piuttosto redditizi in termini di notorietà. Pare siano state a parecchie decine, i comuni del Veneto che lo hanno invitato a conferenze sull'Olocausto. Fino a quando, nel 2016, un organizzatore veneziano di un incontro sul tema dello sterminio ebraico ha avanzato i primi sospetti sull'onda di alcune contraddizioni poco difendibili. Nel 2018, allo stesso organizzatore è stata recapitata una missiva da mittente anonimo - qualche caparbio ficcanaso che si prende la briga di controllare anche per puro spirito di contraddizione c'è sempre - con una ricostruzione dettagliata della vita di Artale. Dalla fotografia della sua casa di nascita, nella Calabria profonda, ad alcuni cenni biografici che riferiscono di un suo trasferimento per ragioni professionali in Nigeria nella metà degli anni Settanta, fino all'arrivo a Padova. Non scordando un certificato di matrimonio sul quale campeggia il timbro di una parrocchia calabrese. Il Gazzettino ha proseguito le verifiche, rivolgendosi all'International Tracing Service di Bad Arolsen, in Germania, spulciando le schede dei deportati nei campi nazisti. Curioso a dirsi, tra i nomi e cognomi elencati, quello di Samuel Gaetano Artale von Belskoj-Levi non figura. Vien quasi da rievocare una battuta di quella vecchia volpe edonista chiamata Ronald Reagan: «Trust, but verify». Significa: «Fidati. Ma verifica».
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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