2023-01-16
Riscopriamo le virtù dei carboidrati
Quante bufale sono state diffuse in questi anni su pane, pasta e affini. Anche sul lievito di birra, considerato inferiore al lievito madre. Eppure, in base alla dieta mediterranea (la migliore al mondo, secondo gli studi più recenti), l’apporto giornaliero di glucidi deve arrivare fino al 60%. La loro importanza sta nel fatto che il corpo li assorbe molto facilmente e li trasforma rapidamente in energia.l Michelangelo del trancio Gabriele Bonci: «È centrale il rapporto con chi produce gli ingredienti».Lo speciale contiene due articoli.Si sono fatte strada due megabufale: eliminare i carboidrati virtuosizza l’alimentazione e il lievito di birra è di serie B rispetto al lievito madre. Rettifichiamole. Secondo la dieta mediterranea di cui l’Italia è alta rappresentante (la nostra cucina è stata appena definita la migliore del mondo dalla guida gastronomica digitale TasteAtlas), abbiamo bisogno di tutti i macronutrienti: 55-65% di carboidrati, 30% di grassi, 15% di proteine. Come spiega l’Istituto Superiore di Sanità, i carboidrati, detti anche glucidi (dal greco «glucos» = dolce), contenuti principalmente nei vegetali, in particolar modo nei cereali, sono semplici o complessi. I carboidrati semplici, chiamati zuccheri, comprendono: monosaccaridi come glucosio, fruttosio e galattosio; disaccaridi, con 2 monosaccaridi come saccarosio (glucosio + fruttosio), lattosio (glucosio + galattosio) e maltosio (glucosio + glucosio); infine oligosaccaridi, formati da 2 a 10 molecole di monosaccaridi, come le maltodestrine. I carboidrati complessi possono essere anche definiti polisaccaridi, poiché formati dall’unione di numerose (da dieci a migliaia) molecole di monosaccaridi. Si dividono in polisaccaridi di origine vegetale (amidi e fibre) e di origine animale (glicogeno). L’importanza dei carboidrati deriva dal fatto che vengono assorbiti e utilizzati dall’organismo molto facilmente, assicurando alle cellule rifornimento di glucosio e quindi di energia: il glucosio è la forma nella quale devono essere trasformati gli altri zuccheri semplici e i carboidrati complessi per essere usati dal nostro organismo. I carboidrati complessi vengono assorbiti più lentamente rispetto agli zuccheri semplici, perciò forniscono energia e saziano più a lungo. Secondo le Linee guida per una corretta alimentazione dell’Iss, il 45-60% delle calorie giornaliere dovrebbe provenire dai carboidrati, almeno i 3/4 da carboidrati complessi e non più del 10% da zuccheri semplici. A farci raggiungere la giusta quota quotidiana di carboidrati complessi contribuiscono pane, pizza e pasta. Pizza e pane, che ispirandoci al nuovo libro di Gabriele Bonci abbiamo definito madre pizza e padre pane, sono certamente i genitori della pasta (la cottura asciutta su fuoco vivo precede certamente la lessatura della pasta, ne abbiamo parlato riguardo alle lagane degli antichi Romani su La Verità del 3 ottobre scorso). Ben presto l’impasto di pane diventa lievitato e oggi la differenza fondamentale tra pane e pizza e pasta è che i primi sono lievitati. Stessa nomea di alimento poco salutare che hanno assunto i carboidrati e le farine 00 e 0 per alcuni, ha acquisito il lievito di birra e ora assistiamo al trionfo delle pizze, al piatto e in teglia, preparate con lievito madre. Ma, di regola, il pane si prepara con lievito madre e la pizza con lievito di birra. Ha questa preferenza anche Gabriele Bonci. Il lievito di birra è noto fin dall’antichità per panificare, vinificare e produrre birra: presente nella pruina, probabilmente in origine è stato isolato dalla buccia d’uva. Coltura di Saccharomyces cerevisiae, detto lievito fresco se in panetto (si tiene in frigo e perde capacità lievitante a 40 gradi) e lievito secco se disidratato, si aggiunge in proporzione alla farina dallo 0,1% al 4%. Il lievito madre, anche detto lievito acido, pasta acida o pasta madre contiene diverse specie di Saccharomyces, Candida e pure vari batteri lattici. La sua fermentazione è insieme lattica e alcolica (anche detta acetica), quella del lievito di birra è solo alcolica (anche detta acetica). Il lievito di birra rimineralizza, dà energia, disintossica il fegato, purifica capelli e pelle e ciglia e sistema cardiovascolare e metabolico perché contribuisce a tenere pulite le arterie. Il lievito naturale porta a una maggiore digeribilità dei panificati, che oltretutto si conservano più a lungo, per la proteolisi operata dai batteri lattici e perché il bisogno di maggior tempo per far fermentare l’impasto garantisce che lo stesso sia anche maturato, odore e sapore sono più complessi. Li chiamiamo lieviti perché levano, cioè alzano e gonfiano gli impasti. Questo dipende dalla fermentazione che produce anidride carbonica che resta nella maglia glutinica e gonfia l’impasto. La lievitazione dipende dalla fermentazione, la maturazione è invece una sorta di scomposizione chimica dell’impasto che lo rende più digeribile. Lievitazione e maturazione richiedono tempi diversi, ecco perché usando meno lievito di birra e facendo fermentare in frigo (le basse temperature rallentano l’attività del lievito, la cui temperatura ideale è tra 28 e 30 ) si rallenta la fermentazione e la si allinea ai tempi alla maturazione, più lunghi. Il lievito madre impiega più tempo del lievito di birra a fermentare un impasto e maturazione e fermentazione sono naturalmente allineate. Ciò che può rendere pesante un impasto con lievito di birra è che ne sia stato usato ben oltre il 4% per farlo gonfiare velocemente e cuocerlo non ancora maturato, perciò più pesante da digerire (perciò beviamo). Sia il lievito di birra, sia il lievito madre fanno bene (così come le farine raffinate non sono «veleno», semplicemente non andrebbero consumate in eccesso e in esclusiva, ossia ampliare la gamma di farine e la granulometria, optando ogni tanto anche per le integrali fornisce al nostro metabolismo una quota carboidrati più salubre). <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/carboidrati-virtu-2659232711.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sopra-limpasto-un-universo-la-pizza-e-pensiero-e-progresso" data-post-id="2659232711" data-published-at="1673864511" data-use-pagination="False"> «Sopra l’impasto, un universo. La pizza è pensiero e progresso» Gabriele Bonci è l’indiscusso maestro della pizza al taglio romana contemporanea. Prima di lui, solo i romani conoscevano la pizza al taglio romana. Dopo di lui, la conoscono tutti e tutti adorano la sua pizza, il livello più alto di romana gourmet. Abbiamo parlato con lui del suo ultimo libro, Madre pizza. Le ricette di stagione del re degli impasti per conservare la natura e ritrovare il gusto, De Agostini. Il titolo del libro è Madre pizza. La parola madre, hai detto durante la presentazione milanese del libro, contiene anche le parole merda e dream. Ci spieghi? «La creazione del cibo è un cerchio. Dare il titolo “madre” alla pizza vuol dire attribuirle il significato del cerchio del progresso. La pizza è il cibo più mangiato al mondo, è un vassoio, sopra ci puoi mettere 2500 ingredienti. La parte delle forme non mi interessa, ci sono colleghi che fanno libri con 250 forme di pizza diverse, ma non celebrano tutti i giorni quelle forme, che così diventano business e marketing. Non si celebra né la pizza, né il pensiero. Madre pizza nasce da una persona che ha capito che la pizza è fatta di un solo impasto e 2500 ingredienti che sono etica, agricoltura e progresso. La pizza è il cibo più mangiato al mondo, il secondo è l’hummus: è la rotazione sui campi, grano e poi leguminacee. Questo giro è il pensiero che vorrei che tutti conoscessero. Infatti in Madre pizza non parlo soltanto di ricette e tecniche alla “Facciamo i fighi”, ma di stagioni e conservazione». Madre come la natura e come la terra. La pizza è come la natura e la terra? «Certo, è generatrice. Genera stile, pensiero, voglia». L’aspetto merdoso è concentrarsi troppo sulla materia e poco sul pensiero intorno alla pizza? «La pizza ha due posizioni dal punto di vista mediatico, una è lavoro, bottega, l’altro è il mondo pizza con movimenti che si appropriano di un pensiero e rendono stupido quello che è il vero fulcro della pizza, che è il consumare. Quando scegliamo la pizza non la scegliamo per impasto, ma per ingrediente: “Mi fai una capricciosa? Mi fai una margherita?”. Il rapporto del pizzaiolo con le aziende produttrici di tutto quello che è sopra la pizza si sta distruggendo. Quando facevo La prova del cuoco su Rai1 ho portato almeno 50 produttori: pomodori, salame, olio, formaggio. La responsabilità di chi promuove il mondo è questa, esercitare la parola progresso». Tu ami le produzioni artigianali, progresso allora per te vuol dire tornare alle origini? «Progresso vuol dire salvare il pensiero giusto e il rapporto che l’economia ha con lo sviluppo: consumare, anche conoscenza. Io ho fatto per anni il panificatore e lo faccio ancora. Oggi il mestiere non è più così, si fa show, varietà. Gli altri panificatori scelgono di essere merce e come tutte le merci scadono». E come si torna a fare pizza che sia materia che deriva dal pensiero e non dal business? «Ci vuole consapevolezza politica, non partitica ma politica, per questo obiettivo. L’obiettivo non deve essere il successo o il denaro. In un’intervista per una grande testata americana mi chiesero perché non ci sono allievi di altri pizzaioli famosi come Franco Pepe, mio grande amico, di Martucci, altro mio grande amico, di Padoan “e tu hai fatto 45 imprenditori?”. E io ho detto: “Gli ho insegnato a non avere padroni”. Mi hanno detto “No, perché sono tutti tuoi discepoli”. Ma il discepolo non è nient'altro che un messia castrato. E gli ho detto: “No, perché gli ho detto che non erano miei discepoli”. Siamo tutti messia, tra virgolette, davanti ai clienti, tutti liberi di pronunciare la parola del nostro pensiero. Da me sono stati operai che hanno praticato in maniera materica il mio pensiero. Io penso e tu fai materia». D’altronde, non tutti sono capaci di pensare allo stesso modo, bisogna pur dirlo... «Certamente, ma chi valuta la materia valuta la differenza. L’arte è finita da quando gli hanno dato un prezzo». Dietro la tua pizza non c’è solo arte bianca, c’è proprio arte. «E c’è etica. Ci sono ragazzi che timbrano il cartellino e anche cinque minuti più vengono messi in banca ore. Con tanti sbagli, da parte dell’azienda, ma c’è la voglia di sistemare le persone, di dare un prezzo esatto». Anche in Chef's table, dove non a caso gli unici due pizzaioli siete tu, per la teglia, e Franco Pepe per la tonda, tu parli di responsabilità di comunicare attraverso la pizza. «La comunicazione è una delle responsabilità più grandi che ha chi riesce a mettersi in vista, se no facciamo tutti la fine di King Kong, bel bestione talmente vip, talmente potente che alla fine non gli andava di farlo, io mi sento un po’ come lui, anche perché sono stato tradito tantissime volte. Essere trasparenti è importante, non si devono dire bugie». Sempre in Chef's table hai detto «La tv è meravigliosa, si accendono i riflettori e la tua vita cambia», poi però hai spiegato come sia difficile portare avanti quel personaggio. «L’ho ucciso». Dici: «Devi scegliere. O sei un attore o sei un panettiere». Invece il sogno di tanti è diventare ricchi e famosi ed esserlo per sempre. «Le persone esistono, i personaggi si creano. I personaggi fanno schifo. La vendetta più grande è toglierli di mezzo. Una vendetta con amore. Io amo la televisione, è la possibilità di comunicare con tutti, ma ho allontanato sponsor, diversamente dagli altri, non li voglio». Tanti hanno scoperto che potevano impastare una pizza a casa grazie a te alla Prova del cuoco, col cucchiaio e la boule... «Adesso in tv stanno tutti col cucchiaio...». Ma tu sei stato il primo! «Io sono stato il primo, poi se ne appropriano tutti, non so se è giusta una cosa del genere. Io sono diventato un personaggio, lo sono ancora e sono contento di esserlo, ma il personaggio corrisponde alla mia persona. Sono così ai corsi, in pizzeria, in tv. Se noi diamo spazio a chi pensa veramente, succedono queste cose (Gabriele mi mostra un vassoio marroncino e lo spezza in due parti, ndr). Questo è un vassoio di crusca, fatto con la crusca che rimane dal grano che io compro per fare la mia farina e poi diventerà biogas». Spiegaci meglio «È 100% crusca, io faccio molare il grano, della molitura prendo la crusca e ci faccio un vassoio fatto di crusca sul quale metto la mia pizza, il cliente mangia e lo butta in un contenitore che verrà ritirato direttamente da noi e diventerà biogas per le aziende agricole che già ci danno il grano. Il cerchio è chiuso. Questo è esattamente il sogno, dream, che nasce dalla merda e dalla madre di Madre pizza. Questo è un esempio del fatto che sia il pensiero a fare la materia e non la materia a fare il pensiero». Tu usi tanto la parola etica anche nel libro e dici che si può diventare etici consumando. Anche gli altri tuoi libri erano coraggiosi, ma questo lo è ancora di più. «Il coraggio è l’antagonista della paura». Infatti tu sei stato definito il Michelangelo della pizza, ma secondo me sei anche il gladiatore della pizza. «Può essere». Altra cosa molto coraggiosa è stato «supplizzare» i primi e i secondi romani, così il turista al Pizzarium in un’unica pietanza scopre sia la forma del supplì, sia la cucina romana... «La mia pizza al Pizzarium è piena, carica, diversa, tarata sul palato internazionale. Ma al Panificio no, è scarica, romana-romana-romana. Al Pizzarium l’ho messa sul mondo, sono bocconi di Roma, d’Italia e anche dei miei ragazzi. Io amo l’internazionale, amo l’indiana, l’africana è supersonica, la njeera è uno dei pani più buoni del mondo, perciò cerco sempre di stimolare legami, ma senza esagerare. Sono d’accordo che la tradizione non vada toccata, ma la pizzeria in teglia romana è giovane, nasce nel 1960. Se noi mettiamo la storia della mia pizza nella storia della pizza napoletana, sono un microbo. Tanto che posso dire che i supplì sono stati inventati dai romani, ma c’era l’arancino. Il supplì sta all’arancino come il supplì di pasta sta alla frittatella napoletana. Questo è reinventare la tradizione, imitare, ma non copiare». Però tu non hai fatto soltanto per dire la carbonara in forma di supplì, tu hai supplizzato perfino le stelline in brodo: questo è il coraggio. «Il Fritto di stelline in brodo ha una storia bellissima. Se sotto Natale e Befana trovi quello col tortellino, vinci una cena da Pascucci Al porticciolo. Ogni 150 c’è quello col tortellino». Quali sono i grandi chef che ci hanno portato oltre «italiani spaghetti e mandolino»? «La cucina italiana è fatta di frazioni. Ed evoluzione. Uliassi è l’evoluzione dello stabilimento. Poi c’è l’evoluzione internazionale, i ragazzi giovani, ce ne sono pochi, ne cito solo due, Damiano Donati e Tommaso Tonioni, che escono un po’ fuori dal concetto stellato, con pensieri sostanziosi. L’evoluzione della grande ristorazione, che io amo, deve mantenere l’italianità. E si mantiene con l’agricoltura, oggetto di curiosità per non mettere mai sul piatto un pollo senza sapere la razza o senza ascoltare chi lo produce. Lo stellato che va salvato è Enrico Crippa, Niko Romito, sono stellati in evoluzione e un nostro patrimonio. E non dimentichiamoci Fulvio Pierangelini, il papà di tutti i pensieri. La sua passatina di ceci e gamberi banalmente si può chiamare frullato di ceci, ma non era un frullato di ceci, era una scuola di pensiero. Ha fatto la storia. E non dimentichiamo Gualtiero Marchesi. L’ultima cosa che ha fatto era un progetto per chef in pensione. Noi siamo coglioni. A Paul Bocuse fanno giustamente le statue, mentre Marchesi è stato trattato in quella maniera: andiamo a leggere le ultime recensioni, gli tolsero punti e dissero che era vecchio. Stiamo scherzando?». La tua pizza tonda romana preferita? «Capricciosa». E al taglio? «Rossa».