2020-02-28
Caos per imprese e turismo. Il conto della quarantena è già salito a quota 7 miliardi
La contrazione danneggerà soprattutto il Settentrione, che produce il 54% del Pil. Adolfo Urso, viceministro ai tempi della Sars: «Questa crisi peserà tre volte di più».Le scadenze fiscali si fermeranno nelle zone rosse, non nel resto del Paese. Il 2 marzo la prima stangata. I commercialisti a Roberto Gualtieri: «Facciamo come col sisma in Emilia».Lo speciale contiene due articoli.Quanto costerà il coronavirus alla già traballante economia italiana? Per il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, l'impatto potrebbe essere di «oltre lo 0,2%» del Pil. Due decimi di punto percentuale che sono tutt'altro che irrilevanti, vista la situazione asfittica dell'economia del Belpaese: secondo Eurostat, infatti, la crescita del Pil italiano per il 2020 è prevista allo 0,3%, e se il governatore di Bankitalia avesse ragione, l'epidemia farebbe scivolare il nostro Paese verso la crescita zero. Ma le stime di Visco rischiano di essere prudenziali: secondo il segretario generale di Confcommercio Luigi Taranto, se la crisi legata al coronavirus «dovesse protrarsi oltre i prossimi mesi di maggio-giugno, l'impatto sul Pil dovrebbe essere di 3-4 decimi di punto, pari a 5-7 miliardi di euro». E per l'ultimo report di Prometeia l'allarme epidemia rischia di spingere il nostro Paese in recessione tecnica, con un calo dello 0,3% nel primo trimestre, dopo che anche il quarto trimestre dello scorso anno si era chiuso con il segno meno. «Qualsiasi valutazione degli effetti economici dipende comunque in modo decisivo dalla durata del contagio e dalle misure atte a contenerlo», precisa lo studio, secondo cui però, «nell'ipotesi che la perdita nel primo trimestre non venga recuperata in quelli successivi, si registrerebbe una caduta del Pil» analoga sul resto dell'anno. Questo perché a essere colpite maggiormente sono state le regioni motore dell'economia italiana. «Il valore aggiunto delle regioni coinvolte in qualche misura rappresenta nel complesso il 54% del totale Italia: Piemonte (7,8%), Lombardia (22,1%), Veneto (9,2%), Emilia Romagna (9,2%), Trentino Alto Adige (2,6%), Liguria (2,8%)». L'Italia ha infatti un Pil di circa 1.765 miliardi di euro (dati Istat 2018), al quale le regioni del Nord concorrono per quasi 1.000 miliardi (991,3) con la sola Lombardia che si attesta a 390,2 miliardi di euro. Ed è proprio il Nord produttivo, con Lombardia e Veneto che da sole concorrono a un terzo del Pil nazionale, a rischiare di pagare il prezzo più alto dell'allarme virus. Le conseguenze non riguardano solo sull'industria, ma anche su altri settori chiave come il commercio e il turismo. Secondo le stime di Fipe, nel momento in cui scriviamo il fatturato dei pubblici esercizi in alcune aree è calato fino a punte dell'80%, con il rischio di perdere nei primi quattro mesi dell'anno 2 miliardi di euro; se la situazione non dovesse cambiare in fretta si parla di oltre 20.000 posti di lavoro in pericolo. Per il settore turistico Assoturismo parla di «crisi senza precedenti», spiegando che «neanche l'11 settembre aveva inciso così pesantemente» su un settore che vale il 13% del Pil italiano: in meno di una settimana alberghi, b&b e agenzie di viaggio hanno già visto andare in fumo 200 milioni di euro di prenotazioni per il mese di marzo, cifra che non include la mancata spesa turistica dei viaggiatori. A rischiare di pagare cara l'epidemia, come ha sottolineato Il Sole 24 Ore, c'è l'automotive: la domanda cinese si è ridotta e la quarantena rischia di danneggiare le fabbriche di Lombardia e Veneto. A rischio inoltre il settore fieristico, che ha già visto Milano rinviare a giugno il Salone del mobile, un evento in grado di generare un indotto da 350 milioni di euro. E il coronavirus fa male anche alle eccellenze italiane della moda e dell'agroalimentare: secondo una stima di Coldiretti le esportazioni di prodotti alimentari italiani in Cina sono calate dell'11,9% solo a gennaio, senza contare le ripercussioni per le aziende che sorgono nella «zona rossa». Un quadro che ha spinto ieri il mondo produttivo a chiedere all'unisono che l'allarme rientri e si possa ripartire. «Dopo i primi giorni di emergenza, è ora importante valutare con equilibrio la situazione per procedere a una rapida normalizzazione, consentendo di riavviare tutte le attività ora bloccate», spiega un comunicato congiunto a firma di Abi, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria, Legacoop, Rete Imprese Italia, Cgil, Cisl e Uil. «L'impatto del coronavirus rischia di essere due o tre volte superiore rispetto a quello della sars», spiega alla Verità Adolfo Urso, responsabile del settore Impresa di Fratelli d'Italia e all'epoca viceministro alle Attività produttive, con delega al Commercio estero, «Questo perché l'epidemia del 2003 aveva colpito la Cina e in maniera omogenea il resto del mondo, mentre il coronavirus ha colpito principalmente la Cina e l'Italia. Il segnale sbagliato è stato quello di creare un allarmismo che sta provocando conseguenze drammatiche per l'economia. Allarmismo eccessivo che è stato creato in Italia e solo in Italia, e farà del nostro Paese la principale vittima insieme alla Cina. Paradossalmente noi appariamo agli occhi del mondo un pericolo proprio come la Cina». Per Urso «se non ci saranno rassicurazioni le ripercussioni sull'economia saranno notevoli. Il Pil italiano è sensibile a variazioni di un solo giorno lavorativo, figuriamoci ora che parliamo di settimane. Senza contare il danno d'immagine che per un Paese come il nostro è estremamente grave. Solo chi non conosce il tessuto industriale italiano poteva dare un allarme di questo tipo».