2024-05-12
Cambia il Superbonus. Crediti da spalmare in dieci anni (e non 4)
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il governo diluisce il periodo di detrazione ma non ci saranno svalutazioni. E la retroattività può trasformarsi in un vantaggio.Giancarlo Giorgetti. Destando un clamore mediatico che, una attenta lettura, è sproporzionato rispetto alla modesta portata dell’intervento. Ma, ormai dopo il primo aggiustamento del governo Draghi del novembre 2021, apparentemente risolutivo, si lavora su nervi scoperti.In questo caso non si è puntato a modificare l’entità del beneficio ma i tempi di fruizione, con evidenti effetti positivi sul fabbisogno finanziario dello Stato soprattutto nel 2025-2026, quando è previsto un minor saldo da finanziare rispettivamente per 1,7 e 2,4 miliardi che viene, però, spalmato sugli anni successivi. A ottenere questo risultato concorrono diversi fattori. Quello senza dubbio più significativo è la modifica del numero degli anni (da 4 a 10) nei quali il contribuente ha diritto a detrarre l’agevolazione del 70% (65% dal 2025) per il Superbonus. Questa modifica riguarda le spese «sostenute a partire dal periodo d’imposta in corso», quindi anche quelle già sostenute dal primo gennaio. Con due rilevanti conseguenze negative che, però, sono solo apparenti.Per i contribuenti che avessero già avviato lavori stipulando un contratto per la cessione del credito o sconto in fattura, il compratore (impresa o banca) si troverebbe a incassare il provento finanziario dell’operazione non più su 4 ma su 10 anni. In altre parole, chi ha investito 85 per incassare 100, dovrà attendere 10 anni e non più 4 per recuperare capitale e proventi. Situazione simile a quella di chi sta negoziando la cessione del credito ma non l’ha formalizzata. Ma il governo non interviene in questi casi. Infatti il comma 5 dell’emendamento interviene solo sul diritto alla detrazione, cioè l’utilizzo in dichiarazione da parte del contribuente. Cosa ben diversa dall’utilizzo del credito d’imposta che l’emendamento conferma come utilizzabile in 4 o 5 anni, a seconda dei casi. Quindi chi, dopo le limitazioni del febbraio 2023, ha ancora la possibilità di cedere il credito o scontarlo in fattura, non subirà alcun danno.Si separano semplicemente le strade tra il periodo ammesso per la detrazione (10 anni) e quello per la fruibilità del credito di imposta (4 o 5 anni). Non a caso, la relazione tecnica parla esplicitamente di «detrazioni fruibili» per circa 12 miliardi nel biennio 2024-2025. Nel febbraio 2023, il governo concesse la mera facoltà, non obbligo, come ha deciso ieri, di spalmare su 10 anni sia la detrazione sia la ripartizione del credito. E quest’ultimo aspetto non è stato affatto toccato dall’emendamento di venerdì sera.Quindi, nessuna svalutazione dei crediti che le banche hanno in portafoglio, come pure ieri era stato paventato su diversi quotidiani. È altresì evidente che la «beffa della retroattività» (Sole 24 Ore) per il contribuente esiste ma è di modesta entità. Ci permettiamo solo di notare che proviene dalle stesse colonne da cui ogni giorno si predica a favore del consolidamento di bilancio. Salvo poi gridare allo scandalo quando si interviene.In ogni caso, chi aveva pianificato un intervento contando sulla detrazione in 4 anni, ora dovrà eseguirla in 10 anni, sostenendo un maggior onere finanziario perché la quota annuale detraibile diminuisce e dovrà saldare le imposte, almeno in parte, di tasca propria. Il valore attuale dell’agevolazione, indubbiamente, diminuisce. Ma potrebbe rivelarsi anche un vantaggio. Perché con una quota annuale detraibile più alta, è elevato il rischio di ritrovarsi con una detrazione superiore al debito tributario e quindi perdere definitivamente la parte eccedente. Invece, quote piccole, seppure spalmate su più anni, aumentano la probabilità di recuperare l’intera detrazione.È invece di rilievo un intervento che incide sulle banche. Dal 2025 non potranno più compensare le quote dei loro crediti in portafoglio con i debiti per contributi previdenziali. Questo potrebbe creare qualche caso in cui la capienza fiscale delle banche si esaurisca, essendo divenuta indisponibile una voce così rilevante. Anche questo intervento ha il fine di allentare la pressione finanziaria sulle casse dello Stato e, da febbraio 2023, le banche hanno comunque la possibilità di investire l’eccedenza in titoli di Stato. Molto interessante la decisione di colpire le banche che hanno esagerato nel comprare a buon mercato i crediti di imposta. Infatti, la ripartizione del credito d’imposta slitta da 4 a 6 anni qualora il prezzo di acquisto sia stato inferiore al 75% dell’importo della detrazione. Può aver influito in queste ultime due decisioni l’ottimo stato di salute attuale del sistema bancario italiano, che ha scelto in massa l’«opzione» di accantonare la cosiddetta tassa sugli extraprofitti? Più che possibile.Sempre in chiave antievasione la decisione di coinvolgere i Comuni nell’attività di vigilanza e controllo sull’effettiva esistenza, totale o parziale, dei cantieri. Sarà possibile inviare una «segnalazione qualificata» a Guardia di finanza e Agenzia delle Entrate, con diritto ad incassare il 50% di quanto riscosso. In definitiva, l’unica ragionevole accusa che si può fare a Giorgetti è quella di aver frazionato gli interventi e di averli fatti in ritardo. Una norma come quella del Superbonus aveva un senso nel post lockdown e limitata nel tempo. Ma priva di controlli e limiti di spesa a monte, con un’aliquota spropositata (quanti interventi sarebbero stati comunque eseguiti col 90% o anche col 70% di contributo?), ha finito con assorbire una quota così elevata del bilancio statale da rendere molto difficile l’utilizzo di altre leve. E questo nessun governo se lo può permettere, a prescinde dagli effetti propulsivi sul Pil.
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