2021-06-19
Meno tavoli di crisi, più tensione in strada
Ancora scontri durante le proteste dei lavoratori della logistica: sindacalista investito da un camionista. Mentre al Mise calano le vertenze industriali gestite dalla politica, il disagio sociale si scatena nelle piazzeL'incidente davanti alla Lidl. Picchetto degli operai della logistica. Autista arrestatoLo speciale contiene due articoliA settembre del 2019 il ministero dello Sviluppo economico aveva aperto in contemporanea ben 183 tavoli di crisi. Per un totale di 300.000 lavoratori coinvolti. Dopo una decina di mesi il numero dei tavoli scende a circa 140. Ai primi di giugno si potevano contare 89 trattative in corso, di cui almeno quattro di imminente risoluzione. Il trend sembra molto incoraggiante. Purtroppo va contestualizzato. La pandemia ha diluito le crisi che il governo per abitudine trascina fino all'esecutivo successivo (basti pensare che il 30% delle crisi dura per più di sette anni). Ha spalmato i picchi di crisi come quelli dell'Ex Embraco o Whirlpool dentro la massa di ammortizzatori utilizzata per calmierare l'effetto Covid. Certo, in alcuni casi ci sono stati dei lieti fine, ma nel complesso il sistema non si può certo dire abbia funzionato. Non a caso l'attuale guida del ministero, Giancarlo Giorgetti, mira a rimettere a nuovo la struttura. Ieri responsabile unico è stato nominato Luca Annibaletti. L'intento è quello di miscelare competenze amministrative con un taglio più manageriale. Purtroppo, però, il contesto muta molto velocemente e più le tensioni istituzionali si affievoliscono anche per un diverso approccio dei sindacati, più aumentano le tensioni di piazza. Le crisi che il governo non riesce a gestire sono frammentate e sparse sul territorio. Un conto è avere a che fare con strutture iper politicizzate come l'ex Alitalia o multinazionali esteri che magari hanno fatto shopping pure con gli aiuti pubblici. E un conto avere a che fare con padroncini, filiere della logistica esasperate dagli stop o dai mancati pagamenti. Ieri a Biandrate vicino a Novara il conducente di un camion ha forzato un cordone investendo e trascinando per metri un sindacalista coordinatore di Sicobas. Al di là delle dinamiche di cronaca e dell'inchiesta giudiziaria che ne scaturisce, il mondo reale è decisamente diverso dagli incontri in grisaglia che si possono tenere nei palazzi romani. La scelta di lasciarsi alle spalle i divieti di licenziamento da un lato andrà ad aiutare quelle aziende che puntano a ristrutturarsi, dall'altro lato se non ci sono sistemi idonei di politiche attive si rischierà di andare a creare nuovi sussidiati o un maggior numero di precari che mal sopporteranno scioperi o approcci tradizionali al mondo del lavoro. Il rischio, insomma, è che sempre più si scatenino guerre tra poveri. I dati diffusi giovedì dall'Inps dimostrano che in un solo anno il numero di italiani che è rientrato sotto la coperture del reddito di cittadinanza o del reddito di emergenza è aumentato di 730.000 unità. A oggi ben 4 milioni di persone sono sostenute o in taluni casi mantenute dallo Stato. Sono 1,7 milioni di nuclei familiari che non hanno reddito autonomo. L'onda lunga della crisi del Covid imporrà la vera trasformazione delle aziende schiacciate sotto il peso di doversi adeguare al nuovo mercato, alla nuova tecnologia e pure alle tensioni inflazionistiche. Il maxi piano del Pnrr stanzia soldi, ma la formazione necessita di tempi molto più lunghi. Il rischio è che nel prossimo anno possa esserci almeno un altro mezzo milione di persone che dovranno rientrare sotto il cappello dei sussidi pubblici. Il problema è che non si può andare avanti troppo a lungo. È nero su bianco ormai il fatto che la spesa pubblica sarà consentita solo entro il perimetro del Recovery plan. Quella extra sarà considerata cattiva e il welfare sarà tagliato. L'Italia potrà sopportare 4,5 o 5 milioni di sussidiati? La risposta è quasi certa. No, non potrà. Le tensioni di piazza diventeranno un tema di ordine pubblico. Si comprende che l'intento del governo è quello di gestire la coperta in modo di allungarla il più possibile per una transizione ordinata. Ad esempio con la continua estensione del reddito di emergenza. Solo che non basterà. Tocca anche ai sindacati evolversi o ammettere il loro anacronismo. Non si può continuare a tutelare i lavoratori tradizionali e ignorare tutto il resto. La vicenda del contratto dei rider è stata emblematica. La Cgil pur di applicare i criteri del lavoro subordinato e quindi l'implicito riconoscimento del proprio ruolo è disposta a far guadagnare meno ai facchini digitali. Un dettaglio che spiega bene la situazione che non causa danni finché non salta il tappo.
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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