
Una sentenza obbliga alla trasparenza sui prodotti agroalimentari che vengono importati in Italia. Coldiretti esulta e chiede al ministero della Salute di passare subito all'azione. Per il commercio selvaggio ai danni dei pastori sardi è un primo freno.Ricordate l'attentato al Dc9 Itavia (sul quale peraltro Emmanuel Macron ci dovrebbe qualche spiegazione)? E il delitto Moro? Non mettetevi a ridere, ma anche la crisi del pecorino sardo e del latte versato è un segreto di Stato al pari dei misteri della prima e della seconda Repubblica. E anche sul latte c'entrano i francesi, ma non solo. A far crollare il muro di segretezza dietro cui si nascondono cagliate di dubbia provenienza, salami tarocchi, succhi di frutta spremuti chissà da chi e dove è una sentenza del Consiglio di Stato. Il 6 marzo - fa sapere con soddisfazione la Coldiretti al termine di un'annosa battaglia legale ingaggiata dal «sindacato» di Ettore Prandini - ha dichiarato illegittimo il divieto che il ministero della Salute opponeva alla richiesta d'informazioni sulla provenienza dei prodotti alimentari d'importazione apponendo sui documenti il segreto di Stato. La faccenda burocratica è complicata; c'entrano il ministero della Salute, l'Agenzia delle dogane, i buoni uffici di colossi dell'alimentare, quasi tutte multinazionali abilissime a copiare i prodotti italiani. Proviamo a spiegarla. Se avessi voluto sapere, fino a ieri, se il latte, lo yogurt o il formaggio che sto acquistando fosse fatto o meno con latte italiano, avrei dovuto fidarmi dell'etichetta, ma se avessi voluto sapere se quella tale ditta avesse importato, e da dove, latte o derivati, mi sarebbe stata opposta prima la normativa sulla privacy, poi quella fiscale, quella sulla salute e in ultimo il segreto di Stato. La Coldiretti aveva già promosso una causa al Tar del Lazio, ma era stata respinta. I primi giudici avevano sostenuto che le indicazioni in etichetta bastano e avanzano e che costringere l'amministrazione a un superlavoro per fornire tutti i dati delle importazioni è un danno allo Stato. Il 6 marzo il Consiglio di Stato ha detto invece che il segreto di Stato sulle importazioni di alimenti è privo di motivazioni e che il diritto all'informazione è prevalente. Ettore Prandini perciò chiede al ministro della Salute, Giulia Grillo, «di definire, in tempi brevi, le modalità attraverso cui saranno rese disponibili le informazioni relative alla provenienza dei prodotti agroalimentari a soggetti che dimostrino un legittimo interesse». Per capirci: la rivolta dei pastori sardi è motivata anche dalle importazioni selvagge e dal dumping di latte bulgaro e rumeno che arriva in Italia senza controllo. Vale anche per il pecorino generico, spesso triangolato da aziende italiane che sfruttano il vantaggio di vendere in euro e di pagare in Leu, la moneta rumena che vale circa un quinto della nostra. I pastori hanno diritto a sapere ora chi, da dove e come importa. Lo stesso vale per il latte vacchino dove il primo operatore è la francese Lactalis, che compra ovunque. I marchi d'origine infatti valgono solo per le Dop e Igp, ma il mercato dei prodotti lattiero caseari è assai più grande. Importiamo 330.000 tonnellate di vaccino e circa la metà di ovicaprino: siamo il primo importatore mondiale di latte. Forse le quote latte europee sono servite proprio a questa nostra colonizzazione; i primi nostri fornitori sono Germania, Francia e Polonia. Importiamo anche 481.000 tonnellate di formaggi e in questo settore la nostra bilancia commerciale è in deficit. Ma la faccenda riguarda tutto l'agroalimentare italiano e non a caso Coldiretti chiede che informazioni sulle importazioni vengano date per tutte le materie prime e i semilavorati, non solo per il lattiero caseario. Noi che ci vantiamo sempre di essere leader in questo settore dovremmo dire la verità: importiamo circa il 50% di quello che ci serve per mangiare e realizzare il famoso made in Italy perché abbiamo perso oltre 2 milioni di ettari coltivati. Basta un dato per capirlo: l'agroalimentare tedesco fattura tre volte quello italiano (420 miliardi contro 135). Si profila dunque un rischio economico, scongiurabile solo con la valorizzazione dell'origine. Luigi Scordamaglia, presidente di Valoritalia, commenta i dati Istat che rileva un incremento dell'1,9% nelle vendite alimentari: «Dati positivi, ma non consolidati, tenendo conto l'exploit dei discount, che toccano a gennaio il 6,2%. Perché la ripresa diventi strutturale attendiamo l'estensione dell'indicazione di origine in etichetta, che rappresenta una garanzia per la valorizzazione del made in Italy, ponendo il consumatore in condizione di scegliere consapevolmente». Anche perché c'è pure un rischio salute. Ricorda la Coldiretti che nel 2018 ci sono state ben 398 notifiche all'Ue di allarmi alimentari di cui solo 70 (17%) hanno riguardato prodotti con origine nazionale, mentre 194 provenivano da altri Paesi Ue (49%) e 134 da Paesi extracomunitari (34%). Oltre quattro prodotti su cinque pericolosi per la sicurezza alimentare arrivano dall'estero (83%). E tutto questo, fino a ieri, coperto dal segreto di Stato.
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