2023-03-15
La caccia in Italia vale 8,5 miliardi
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«La caccia è sempre più una risorsa per la comunità». È quanto è emerso da «Il valore dell'attività venatoria in Italia», l'ultimo report curato da Nomisma e presentato dalla Federazione italiana della caccia presso il Senato della Repubblica, nella prestigiosa sede di Palazzo della Minerva.Quanto vale il settore della caccia in Italia? A dare una risposta è «Il valore dell'attività venatoria in Italia», l'ultimo studio elaborato da Nomisma e presentato da Federazione Italiana della Caccia nella giornata di martedì 14 marzo presso il Senato della Repubblica, nella prestigiosa sede di Palazzo della Minerva. Secondo il report il mondo venatorio è in grado di generare un valore economico e ambientale pari a circa 8,5 miliardi di euro annui per la collettività.Una ricerca molto significativa, in un momento storico in cui tutto il mondo della caccia deve difendersi dagli attacchi ideologici mossi dalle varie associazioni animaliste e ambientaliste, e che può diventare un importante strumento di comunicazione volto a promuovere e a far percepire la reale funzione della caccia sostenibile e legale, ovvero la salvaguardia e la tutela della fauna, oltre che un segmento economico non indifferente per tutto il Paese.Per quanto riguarda la valorizzazione ambientale e sociale della caccia, a partire da una consultazione dei principali stakeholders, lo studio Nomisma ha potuto raccogliere i diversi punti di vista di un ampio parterre, fondamentali per consolidare la fase di valutazione economica, effettuata attraverso analisi, raccolta ed elaborazione dati, finalizzati a determinare anche gli effetti generati e potenzialmente generabili dall’attività venatoria nei confronti dell’ambiente, mondo agricolo e socio-sanitario, comunità ed economia nazionale. Più nel dettaglio, la caccia è in grado di generare dai 708 milioni grazie alle attività esercitate per il mantenimento delle aree umide (393 milioni), degli habitat e dalla tutela delle aree naturali protette (315 milioni), resi possibili grazie ai finanziamenti e alla gestione del mondo venatorio, fino ai 20 milioni di valore agricolo derivanti dai risarcimenti agli agricoltori per danni da alcune specie selvatiche e/o per le misure di prevenzione, e ai 75 milioni di risparmi derivanti dalla riduzione dell'impronta ecologica (13 milioni) e idrica (62 milioni) prodotte dalla filiera della carne. Inoltre, va considerato anche il valore socio-sanitario del comparto, che corrisponde in termini monetari al danno evitato per minori ospedalizzazioni e decessi legati agli effetti degli antibiotici nelle carni d’allevamento o per incidenti con le specie invasive, stimato in 124 milioni di euro; mentre considerando il valore economico correlato al settore armiero e alla domanda di prodotti per l’esercizio dell’attività venatoria, dalla ricognizione della letteratura di settore risulta un valore pari a 7,5 miliardi di euro.Dalla ricerca emerge poi, come il 41% degli italiani sia favorevole all'attività venatoria, purché esercitata nel pieno rispetto delle norme vigenti, mentre due italiani su tre non si ritengono sufficientemente informati sulla caccia. Il 32%, addirittura ha risposto al sondaggio dicendo di «non avere nessuna fonte e di avere un'opinione senza essere particolarmente informato». Un altro dato interessante che è emerso dalla ricerca, a fronte di un 10% di italiani che dichiara di non avere un'opinione chiara in merito, dovendo esprimere un voto secco sulla caccia, è la netta divisione tra chi è totalmente contrari che rappresentano il 32% della popolazione e i pienamente favorevoli che costituiscono il 18% della popolazione. Ma più che nei confronti della caccia, molti italiani non vedono di buon occhio la figura del cacciatore, identificata dal 50% della popolazione come una persona poco rispettosa delle leggi e delle regole, poco interessato alla conservazione della biodiversità e dei luoghi nei quali caccia; quando in realtà, analizzando l'argomento da un punto di vista scientifico, il cacciatore che svolge il suo mestiere secondo le regole è un «paladino del territorio», com'è è stato definito da una brillante ed efficace campagna promossa da Fondazione Una, o «sentinella del territorio», in quanto soggetto volontario coinvolto nei programmi di monitoraggio delle risorse naturali per migliorarne la gestione e contribuire alla ricerca.La ricerca prodotta da Nomisma è stata sviluppata partendo dalla necessità di individuare le possibili traiettorie di sviluppo del comparto in un’ottica di maggiore sostenibilità, ma anche di quantificare gli effetti economici, sociali e ambientali generati dall’attività venatoria in Italia. L’indagine ha coinvolto direttamente sia gli stakeholders che le comunità per cogliere anche alcuni gap di conoscenza che riguardano il settore, come appunto la percezione dei consumatori italiani. Per esempio, lo studio rileva che tra i 45 milioni di maggiorenni che si nutrono di carne il 62% consuma anche selvaggina. Nella maggioranza dei casi si tratta di un consumo che avviene prevalentemente fuori casa (nel 39% dei casi al ristorante). Queste interessanti prospettive per la filiera alimentare della selvaggina sono rafforzate dal fatto che ben 23 milioni di consumatori italiani (il 51%) si dichiara pronto ad acquistarla per consumo domestico se fosse di più facile reperimento. Gli intervistati, inoltre, risultano particolarmente attenti e sensibili nell’attuare comportamenti sostenibili nelle proprie scelte alimentari. Rispetto alla carne acquistata, il 72% ritiene molto importante il fatto che presenti meno rischi per la salute e il 70% che provenga da una filiera tracciabile. Inoltre, il rispetto del benessere degli animali e dell’ambiente è ritenuto condizione imprescindibile dal 64% del campione, così come il 61% degli intervistati è attento al fatto che la carne non provenga da allevamenti intensivi. Il 47% considera importante che la carne acquistata sia naturale e provenga da animali selvatici e non di allevamento.A commentare questi dati è intervenuto Marco Marcatili, responsabile sviluppo di Nomisma: «Per la prima volta il sistema della caccia decide di aprirsi alla società, ascoltare la comunità e avviare un dialogo aperto e trasparente con il mondo istituzionale, agricolo e ambientale. Il lavoro di Nomisma - spiega Marcatili - è, da un lato, rassicurante perché conferma la non ostilità alla caccia, anzi una inedita apertura della comunità a inserire più selvaggina sostenibile nella propria alimentazione; dall’altro lato, però, induce la Federazione Italiana della Caccia a una responsabilità aumentata in termini di maggiore informazione e disponibilità alla caccia etica e sostenibile. Non sono molte in Italia le attività che danno un contributo annuale di un miliardo in termini ambientali - conclude Marcatili -, l’impegno in questa direzione consentirà di traguardare opportunità derivanti dai nuovi scenari climatici, come il presidio dei territori fragili e il rafforzamento delle filiere nazionali sotto il profilo alimentare e occupazionale».Presente a Palazzo della Minerva anche Massimo Buconi, presidente nazionale di Federazione Italiana della Caccia: «Abbiamo deciso di affidare a Nomisma un primo bilancio ambientale dell’attività venatoria in Italia al fine di misurare il reale valore generato per Comunità e Ambiente e indagare il percepito delle famiglie italiane sul nostro operato. Siamo certi che favorire una migliore comprensione delle dinamiche che regolano i rapporti tra caccia e società possa concorrere a un giusto riconoscimento del nostro ruolo e della nostra attività, alla luce degli effetti positivi derivanti da una caccia etica e sostenibileı». Il numero uno di Fedewrazione Italiana della Caccia ha aggiunto: «I risultati mostrano un sistema importante già in essere testimoniando il nostro potenziale ruolo di attori nel processo di transizione ecologica, ma evidenziano alcune aree di miglioramento, su cui strutturare un percorso di confronto con fruitori, stakeholders e Istituzioni. Intendiamo proseguire in questa direzione di dialogo, in modo costante e incisivo».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)