2023-06-05
Leggi folli e burocrazia. Così legano le mani alle forze dell’ordine
Dopo il caso del trans fermato, gli agenti sono di nuovo nel mirino dei media. Tra processi e campagne stampa, bloccare i delinquenti è ormai impossibile.Per gli imputati in divisa sarebbe previsto il rimborso dei costi, ma ottenerlo diventa quasi un’impresa.Lo speciale contiene due articoli.«Avevo mia figlia piccola. Stavo attento a uscire di casa. Ho passato cinque anni di inferno». Mauro Marruganti ha 59 anni. È un ispettore di polizia, anche se qui parla in veste di segretario regionale Toscana Fsp. Dal 2006 al 2011 è finito sotto processo: 11 i capi di imputazione, dal sequestro di droga non verbalizzato all’abuso di ufficio, dalla violenza sessuale a quella privata, fino alle torture. I fatti risalgono al 2005. Per cinque anni non ha dormito la notte. Un mestieraccio, quello delle forze dell’ordine, soprattutto se appena alzi un dito finisci indagato.Due settimane fa a Milano, i vigili che hanno affrontato un transessuale sono stati denunciati per lesioni. Così viviamo nelle nostre città, con i poliziotti resi incapaci di difendersi e di difendere. Con gli agenti esasperati, senza mezzi, risorse. Costretti in commissariati fatiscenti. Le città sono fuori controllo. Ci sono luoghi dove esiste un’unica regola. Quella della violenza.Lo sa bene Marruganti, che con i suoi 40 anni di servizio ne ha viste di tutti i colori. Ha preso legnate, botte. Una volta un tossicodipendente doveva risarcirlo di 5.000 euro ma siccome era nullatenente, Marruganti non ha visto niente. All’epoca dei fatti di cui sopra, lui era il capo sezione narcotici della squadra mobile di Siena. Non uno qualunque. Non uno sprovveduto. «Il mio processo ha cambiato il modo di lavorare di tutti qui, ti impaurisci e stai molto attento a fare perquisizioni di iniziativa». Agli avvocati ha dato 25.000 euro. Assolto con formula piena, dopo qualche anno lo Stato gliene ha ridati 20.000. Ma intanto il foglio si è macchiato, la professione ne risente. La tua vita anche. Scopri di avere le mani legate e la sicurezza viene meno. «Io pensavo a mia figlia. Tenga presente che ero anche accusato di violenza sessuale. I miei avvocati, Paolo Emilio Falaschi e Antonio Cambò, mi hanno ridato la vita». Ma chi lo accusava, quattro tossici, ne è uscito pulito. Denunciati per calunnia, andò tutto in prescrizione e buonanotte al secchio.Lo stesso anno gli arrivò un altro avviso di garanzia dove gli si imputava di aver preso a cazzotti uno per farsi dire chi fosse lo spacciatore. Anche qui lui venne assolto e il reato di calunnia verso il tossicodipendente andò in prescrizione. Non vi basta?Di storie così ne abbiamo trovate a bizzeffe. C’è anche quella dove per scagionare un agente dall’accusa di violenza sessuale gli dovettero misurare il pene. Ma a quella ci arriviamo dopo.A Siena, nel 2008 ci fu un altro processo. Un pachistano venne fermato da tre agenti della volante per alcune infrazioni stradali. Questi gli fecero il verbale e lui li denunciò per furto della patente. Anche qui, altro giro, altra corsa. I tre vennero indagati per otto anni. Alla fine il pachistano disse che la patente gli era stata rispedita a casa. Poi si scoprì, grazie a una perizia, che se l’era spedita da solo. Non basta ancora?Spostiamoci e andiamo a Genova. Nel 2018 un ragazzo ecuadoriano venne ucciso durante un Tso. La madre non riusciva a tenerlo e chiese l’intervento di una volante. Il ragazzo ferì un poliziotto con una lama e l’altro per difendere il collega sparò sei colpi. Il poliziotto venne indagato, il pm dopo un anno chiese l’archiviazione, il gip dispose l’imputazione coatta, e nell’ulteriore dibattimento venne prosciolto per uso legittimo delle armi. Ma intanto il processo durò un anno e mezzo e ancora il collega lo ringrazia per avergli salvato la vita.Non meno emblematico è quando accaduto a Brindisi nel 2018. Il copione è l’ assalto al bancomat. I banditi vengono raggiunti, sparano alla volante. La polizia risponde. Uno dei malviventi muore e il poliziotto viene indagato e poi prosciolto.Ma è in Sardegna nel 2012 che accade un fatto ridicolo. Due agenti, durante un controllo, lungo la A7, fermano un’auto. Due ragazzi vengono trovati in possesso di hashish e viene contestata loro la guida sotto stupefacenti. I poliziotti finiscono a giudizio e sapete perché? Rullo di tamburi. Perché i giovani, seppure trovati con la droga nelle mutande e condannati in primo grado, fanno ricorso. Li denunciano per arresto illegale e lo vincono. Agli agenti viene contestato di non aver avvisato tempestivamente il pm, ma solo al termine delle attività operative. Ma sai com’è la vita del poliziotto su strada. Mille pericoli, le auto che sfrecciano, magari senza internet, persi chissà dove. Uno pensa a lavorare, a non farsi scappare i criminali, l’attività di avvisare la puoi fare dopo, perché se i delinquenti scappano è un casino. I fuorilegge avevano tentato la fuga e si erano rifiutati di fare il test. Conclusione: gli agenti, dal 2012 sono ancora sotto processo, in Cassazione.Ma è il febbraio 2019 quando a Torino una pattuglia della squadra mobile insegue la banda dei Rolex. Avete presente quei malviventi che ti sfilano l’orologio quando sei fermo al semaforo? Una volante li intercetta, li segue. I banditi vanno a sbattere contro un’auto in sosta. Uno dei delinquenti muore. E lo Stato che fa? Processa il poliziotto per omicidio stradale. Il tutto viene archiviato poco tempo fa. Ma intanto notti insonni, carriere rovinate, famiglie anche, tra i nostri contatti c’è chi ci ha rimesso il matrimonio, il rapporto con i figli.E veniamo alla storia del pene. Siamo a Roma: 2005. Durante un pattugliamento, una prostituta viene portata in questura e dice di essere stata violentata da un agente. Per avvalorare le sue accuse, specifica le dimensioni dell’apparato riproduttivo. Per anni il poliziotto viene sospeso dal servizio. Gli viene dimezzato lo stipendio. Le spese per difendersi sono a suo carico. E alla fine, solo una perizia, che certifica che il pene non era poi delle (importanti) dimensioni indicate riesce a scagionarlo. Altra storia: Palermo, 2008. Durante un inseguimento, due soggetti a bordo di una moto vanno a sbattere contro un’auto e muoiono. I due erano minori e la moto priva di assicurazione. I poliziotti vengono indagati per anni, «dovendo sostenere spese notevolissime e costretti a lavorare in uno stato di tensione che li cambiò per sempre». Alla fine, assolti con formula piena, chiesero di lasciare il servizio operativo e vennero messi in ufficio.Ultima, ma solo per esigenze di spazio, Milano. Un marocchino irregolare, che parrebbe avere contatti con l’Isis, viene fermato da due poliziotti nel 2016. Lui li denuncia perché dice di essere stato menato e rapinato. I due finiscono sotto processo e lui nel frattempo è libero di spacciare. Gli agenti vengono condannati in primo grado. E solo il mese scorso assolti definitivamente.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/burocrazia-legano-mani-forze-ordine-2660909282.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ogni-anno-6-000-indagati-a-spese-proprie" data-post-id="2660909282" data-published-at="1685924132" data-use-pagination="False"> Ogni anno 6.000 indagati (a spese proprie) Sono tra i 5.000 e i 6.000 gli agenti che ogni anno finiscono indagati e processati nell’esercizio delle loro funzioni. Tenuto conto che in Italia gli agenti di polizia - stiamo parlando di quella di Stato - sono all’incirca 97.000 (il dato aggiornato a dicembre 2020 parla di 97.918 unità) significa che di questi, ogni anno il 5% è zoppicante. Alcuni vengono sospesi dal servizio, esclusi dagli scrutini per eventuali avanzamenti di carriera, trasferiti. Chi finisce indagato e subisce un’ingiustizia si porta appresso un carico mentale e un fardello che fatica a sciogliere. E così ne risente la professione, la salute, la vita privata. Ma ne va anche della sicurezza, delle città sempre meno sicure, delle stazioni diventate ricettacoli di sbandati, immigrati, clandestini e delinquenti. Le tristi narrazioni delle cronache meneghine degli ultimi tempi, lo certificano bene. Il più delle volte gli agenti che finiscono sotto processo, vengono assolti con formula piena. Ma intanto sono costretti a dotarsi di un avvocato, a pagarlo; per non parlare dei delinquenti che chiedono anche il risarcimento del danno. Così funziona in Italia: il Paese che processa i poliziotti e garantisce i delinquenti. Da dire, poi, che solo una piccola percentuale di quelli che vengono assolti, ottiene il rimborso per le spese sostenute, e se questo arriva, arriva a distanza di anni, con processi lunghi e faticosi, con meccanismi giudiziari e burocratici che si incagliano su se stessi. La legge reale 152 del 1975, sulla tutela dell’ordine pubblico, recita: «Nei procedimenti a carico di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o dei militari in servizio di pubblica sicurezza per fatti compiuti in servizio e relativi all’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, la difesa può essere assunta a richiesta dell’interessato dall’avvocatura dello Stato o da libero professionista di fiducia dell’interessato medesimo. In questo secondo caso le spese di difesa sono a carico del ministero dell’Interno salva rivalsa se vi è responsabilità dell’imputato per fatto doloso». Il punto è che, spiega una fonte ben informata alla Verità, «l’avvocatura dello Stato, nei rari casi in cui acconsente al rimborso delle spese legali, spesso opera forti tagli, per cui l’agente deve pagarsi la differenza. Per la polizia di Stato è stata stipulata una polizza che potrebbe soccorrere in questi casi o nel caso in cui, anziché un’assoluzione intervenga la prescrizione, che spesso viene accettata perché l’agente non ce la fa più a restare nel tunnel, in quanto in Italia la vera condanna è il processo». Purtroppo però ci spiega sempre la nostra fonte, «la richiesta di copertura dovrebbe essere fatta subito, non appena si viene indagati, ma siccome nessuno lo sa, nessuno lo fa. E quindi il ministero, poi, trova un sacco di scuse. Il risultato è che i poliziotti rimborsati sono poche unità all’anno». «Noi siamo vittime dell’atto dovuto», ci spiega Stefano Paoloni segretario generale Sap, «anche se è previsto l’ uso delle armi, ogni volta che le usiamo veniamo indagati d’ufficio. Non si può lavorare così. Gli avvocati poi, con le loro strategie difensive, fanno il loro mestiere ok, ma all’interno del processo penale il collega quando viene controdenunciato non è più testimone ma diventa imputato e questo lo induce a fare dichiarazioni rivolte più a discolparsi che a certificare le responsabilità dei delinquenti effettivi». Insomma lavorare in questi termini è pressoché frustrante. Oltre che paralizzante. Anche perché la paga base di un agente che rischia la vita è di 1.300 euro netti al mese. Un questore può arrivare anche a 7.000. Ma in genere chi combatte la guerra sono i soldati al fronte. L’età media degli agenti della polizia di Stato si aggira intorno ai 50 anni, perché non si riescono a sostituire i poliziotti in pensione. Per non parlare di tutti gli agenti feriti in servizio. Se ne contano circa 3.000 ogni anno. E decine di morti.
Jose Mourinho (Getty Images)