2022-01-08
Addio Buitoni, Nestlé non concede più lo storico marchio
La multinazionale non rinnova l’accordo con il gruppo Newlat per l’utilizzo dell’iconico brand dell’agroalimentare italiano.La pastina all’uovo agglutinata (allora la celiachia non si sapeva cosa fosse), la maglia di Maradona, il negozio nei pressi di Houston Street dove i Baci andavano a ruba. Finisce tutto; dagli scaffali italiani sparisce la pasta Buitoni, il marchio che ha dato il là all’industria alimentare nazionale e che è al tempo stesso gloria e atto d’accusa per il capitalismo più rapace che capace. Buitoni sono stati i primi spaghetti confezionati ed erano di lusso perché fino agli anni Cinquanta si compravano in drogheria avvolti nella carta-zucchero e legati con lo spago qualche etto alla volta. Se in qualche loft vedete quei bei mobili con i cassetti a vetro che fanno tanto vintage, erano gli scaffali della pasta. Fu la Fratelli Buitoni, una fabbrica di Sansepolcro - lì dove Piero della Francesca inventò la prospettiva matematica in pittura e dove c’è la Crocefissione, il più bel dipinto murale del mondo -, a produrre, si era agli albori degli anni Trenta, la prima pasta secca confezionata. Era già passato un secolo da quando Giovan Battista Buitoni e la moglie Giulia Boninsegni - ancora le donne di Sansepolcro la venerano come una santa laica e come un’antesignana delle lotte femministe - nel 1827 avevano aperto il loro «negozio con opificio di paste alimentari» in zona Pacioli, il cuore del Borgo. Su questa storia che sarà poi quella della Perugina e di una passione bruciante tra Luisa Spagnoli, che aveva inventato il Bacio ed è stata una donna e un’imprenditrice eccezionale, e Giovani Buitoni cala il sipario. La Nestlé non ha rinnovato la concessione del marchio alla Newlat e se lo tiene per sé. Aspetterà, dice, 18 mesi prima di venderlo. Ma non ci sarà più la pasta Buitoni. La multinazionale svizzera vuole produrre ancora a marchio Buitoni le pizze surgelate, i sughi pronti, ma con la tradizione c’entrano poco. Angelo Mastrolia, titolare della Newlat, ha rinunciato dopo aver pagato alla Nesltè per 13 anni di affitto del marchio oltre 20 milioni, e produrrà la pasta a proprio marchio, probabilmente Delverde, nello storico stabilimento di Sansepolcro, nell’aretino, che aveva rilevato dalla multinazionale e nel quale ha fatto investimenti per 12 milioni. «Siamo un gruppo forte», ha commentato, «andiamo da soli. Certo se Nestlé venderà il marchio, come se venderà quello Perugina, ci faremo un pensiero». Ma ciò che resta nel forno, scimmiottando un film da Oscar, è l’amaro di vedere questa storia imprenditoriale finire così. Il declino della Buitoni è di lunga pezza, ma fu sanzionato quando la comprò Carlo De Benedetti che l’ha girata alla Nestlé. Ma anche la storia della Newlat è un paradigma di cosa è successo nell’industria agroalimentare italiana. Newlat raccoglie di fatto la Eurolat costituta da Sergio Cragnotti partendo dalla Polenghi Lombardo per approfittare della svendita orchestrata da Romano Pordi e transitata attraverso il carneade Carlo Saverio Lamiranda della Cirio-Bertolli-De Rica. Cragnotti rivendette i marchi a Calisto Tanzi (scomparso una settimana fa) il patron della Parmalat e autore dello scandalo finanziario del secolo. Angelo Mastrolia ha ricomposto nelle sue mani investendo moltissimo una parte di quel puzzle che rischiava di andare disperso. Oggi controlla Delverde (pastificio che era finito agli argentini dopo il fallimento) Optimus, Giglio, Ala, Polenghi. Mastrolia ha rimesso insieme un importante polo agroalimentare e con lo stabilimento di Sansepolcro ha vinto la scommessa sui prodotti da forno (fette biscottate) e sulla pasta secca. La fabbrica è quella storica dei Buitoni, la pasta ha la qualità storica dei Buitoni, ma il marchio sarà quello aziendale di Mastrolia. «Non potevamo fare altrimenti» ha commentato l’imprenditore salernitano che ha base in Emilia. La produzione continua, ed è già tantissimo, ma la storia finisce qui.
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo