
La lettera spedita a Roma suona come una bocciatura preventiva di tutta la manovra. E come una scusa data alle agenzie di rating per fare calare la loro scure. Una tempesta perfetta che colpirebbe soprattutto il comparto bancario, con il grande malato Carige.Visto la tempistica di risposta, c'è da immaginare che la lettera dei due commissari Ue di commento al nostro Def fosse già scritta. Tanto più che è un atto non formale e inconsueto, dal sapore esclusivamente politico. «Troppo deficit, così non va». Il testo di risposta al messaggio del ministro dell'Economia, Giovanni Tria, è firmato da Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis. I due chiedono al governo di «assicurare che la bozza di legge di stabilità sarà in linea con le regole comuni di bilancio». «I target di bilancio rivisti», scrivono i commissari, «sembrano, a una prima vista, puntare a una deviazione significativa dal percorso raccomandato dal Consiglio. Questa è una fonte di seria preoccupazione». Ora la Commissione Ue aspetta la manovra poi inizierà l'esame concreto. Ma non c'è dubbio: la mossa mira a mettere in discussione l'intero operato del governo e a sterilizzare la manovra. Cosa ci sarà dentro, a questo punto rischia di diventare irrilevante. La lettera dell'Ue scavalca in un certo senso perfino il lavoro del Parlamento. E vuole trasmettere un messaggio ai cosiddetti «stakeholder», i mercati e tutti gli investitori istituzionali. Il messaggio si può sintetizzare così: 1 Non importa come i fondi in deficit verranno utilizzati, né tanto meno importa se le linee guida indicate dal Mef cambieranno grazie alle istanze o alle pressioni legittime del Parlamento. In pratica, non importa se veramente la manovra sarà buona o cattiva. Cioè se conterrà spunti di crescita o solo difetti.2 Ciò che conta è che parte da un presupposto sbagliato: aver sforato le linee sul deficit fissate dal precedente governo è comunque sbagliato. Anche se lo ha appena fatto la Francia.3 Il Def, di conseguenza, deve essere considerato come insostenibile per il Paese, e implicitamente si invita chi dovrà valutare la tenuta del debito a esprimere una valutazione negativa. In poche parole, l'atto non formale ma scritto dai due commissari è un testo diretto alla agenzie di rating che, se vorranno, potranno evitare di analizzare nel dettaglio la manovra, e potranno semplicemente dire che non è sostenibile per i conti dell'Italia. Il dato su cui punterà l'Ue per sussurrare alle agenzie di rating un parere negativo è quello dell'indebitamento strutturale: per gli anni 2019, 2020 e 2021 è previsto dal Def a meno 1,7%. Un valore che potrebbe comportare la procedura d'infrazione. È bene ricordare che entro la fine del mese ben due agenzie si pronunceranno sull'Italia. Le tempistiche sono importanti. Roma al momento si trova due gradini sopra la soglia del non investment grade, categoria di imprese e Paesi molto rischiosi per la platea di investitori. Moody's le assegna il rating Baa2, Fitch e S&P il voto BBB, mentre per Dbrs l'Italia è un gradino ancora più su, con il rating BBB high. Insomma, è considerata un Paese affidabile, in grado di onorare i suoi debiti e rimborsare gli interessi in scadenza. Se il giudizio dovesse peggiorare e finire anche a un solo «notch» dal livello «junk», cioè «spazzatura», gli effetti non sarebbero indolori. Non tanto perché il Paese si troverebbe di colpo fuori dal piano degli acquisti della Bce. Anche se il Quantitative easing sta terminando, l'uscita è per definizione graduale. Lo stop improvviso sarebbe invece uno choc. Accelererebbe la decisione di molti investitori istituzionali di vendere i titoli di Stato e i bond corporate delle controllate pubbliche. Se poi a ridosso arrivasse anche un downgrade di S&P - il suo giudizio è in agenda il 26 ottobre - o anche solo una revisione in negativo dell'outlook, il mercato potrebbe cominciare a riposizionarsi. «Stare al limite dell'investment grade è molto rischioso perché il mercato tende ad anticipare le azioni delle agenzie di rating», ha dichiarato ieri Antonio Cesarano, Chief global strategist di Intermonte. Nelle ultime settimane, a soffrire le tensioni di Borsa sono state soprattutto le banche. Gli istituti italiani, secondo i dati di Banca d'Italia, possedevano a luglio 373,3 miliardi di titoli di Stato in portafoglio, un numero in crescita di circa 40 miliardi di euro negli ultimi sei mesi. Un eventuale declassamento spingerebbe il piede sull'acceleratore delle vendite del comparto bancario, facendo emergere il vero elemento pericoloso del sistema Italia. Che si chiama banca Carige. Da tempo girano voci non confermate di un nuovo aumento di capitale, che sarebbe necessario a soddisfare le richieste di patrimonio avanzate dalla Bce. Più capitale per portare a termine a novembre un matrimonio e consolidare l'area del Nord Ovest. Immaginate cosa vorrebbe dire fare un aumento di capitale all'indomani di una bocciatura sovrana. Il rischio che vada deserto sarebbe quasi una certezza. Per un governo che si vedesse la manovra bocciata, affrontare anche un eventuale bail in bancario sarebbe troppo. Rischierebbe di dover gettare la spugna. A Bruxelles sanno bene quali sono le vulnerabilità italiane e in quali piaghe infilare le dita. Le prossime elezioni di maggio saranno le prime vere della storia Ue: potranno scardinare i vecchi equilibri. Pure di questo Bruxelles è consapevole. Ecco perché non esita a soffiare sui mercati.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





