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2021-05-17
La grande confusione. Il boom dei giovani che cambiano sesso
Lo sballo diffuso, il rifiuto delle regole, le forme di violenza rilanciate sui social con cinico compiacimento, la contestazione dei genitori, i nonni usati come bancomat ma che possono essere sacrificati con il Covid in nome dell'annullamento delle restrizioni. Cosa sta succedendo ai nostri giovani? La pandemia ha portato a galla, come la schiuma del mare, il caos in cui vive un'intera generazione, sospesa in una dimensione in cui tutto è consentito e giustificato. In barba a qualsiasi morale. Sul tema della sessualità e dell'identità di genere la confusione dei giovani raggiunge l'apice. Il gender fluid è la nuova moda. E tra i giovani si stanno moltiplicando gli interventi per cambiare sesso, spesso sull'onda del condizionamento sociale.
C'è chi arriva a sostenere che già a 2 o 3 anni si possano manifestare problemi di genere, il che giustificherebbe la somministrazione di farmaci sin dalla più tenera età. A ciò contribuisce il progressivo allentarsi dei vincoli anagrafici e sanitari. Fino al 2015, per modificare i connotati sulla carta di identità bisognava operarsi: ora questo obbligo è caduto. Inoltre, l'Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto la disforia di genere, ossia il disagio legato al non riconoscersi nel proprio corpo, non come un disturbo psichico ma una condizione sessuale. E ai minori può essere somministrato un farmaco, la triptorelina, per bloccare la pubertà. Spesso è il primo passo per un percorso che porta i ragazzi dritti verso la somministrazione di ormoni e poi all'intervento chirurgico con effetti irreversibili.
Dal monitoraggio della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva- rigenerativa ed estetica (Sicpre), nell'anno prima della pandemia circa 120 persone si sono sottoposte a interventi di cambio di sesso nei cinque ospedali pubblici italiani specializzati. Il 60% dei pazienti chiede di diventare donna, il restante 40% uomo. L'ospedale che fa più interventi è quello di Pisa. Quando ha iniziato, nel 2011 eseguiva 6 operazioni all'anno: ora circa 60. Al San Camillo di Roma, nell'Area minori del Saifip (Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica), una delle realtà pioniere del settore che da più di 20 anni accoglie bambini e adolescenti gender variant, nei primi tre mesi di quest'anno il numero di minori arrivati con un'ipotesi di disforia di genere è aumentato del 150% rispetto allo stesso periodo del 2020. Al Policlinico universitario di Palermo le richieste di interventi chirurgici sono cresciute del 30%.
Come mai questo incremento esponenziale? Il movimento Lgbt e parte della comunità scientifica sostiene che il fenomeno è sempre esistito, ma ora le persone escono allo scoperto. Altri psicologi e chirurghi sottolineano fenomeni di emulazione e di contagio sociale. Questo il pensiero di Adriana Cordova, professore di chirurgia plastica dell'università di Palermo ed ex presidente di Sicpre: «Numerose persone che arrivano da noi per il cambio del sesso hanno effettuato percorsi psicologici inadeguati. Le terapie psicologiche dovrebbero durare 2 anni, ma non tutti completano il ciclo o perché non se lo possono permettere o perché nelle strutture pubbliche hanno di fronte psicologi sempre diversi che non garantiscono la continuità. Sono venute da me persone che avevano avuto l'autorizzazione del tribunale per il cambio di sesso dopo appena un paio di incontri con lo psicologo. Ho l'impressione che si parli del cambio di sesso con leggerezza e che non si sottolinei la drasticità del gesto chirurgico. Per alcuni pazienti la transizione era necessaria e ha portato a una migliore qualità della vita, ma per altrettanti casi il bisturi non ha risolto i problemi psicologici».
Il blocco della pubertà è un'altra pratica che si diffonde con facilità. Uno studio realizzato dall'associazione Scienza & vita e dal centro studi Rosario Livatino sottolinea i dubbi su questo trattamento: che cosa succede se, dopo due o tre anni di somministrazione della triptorelina (il minino per ottenere qualche risultato) un adolescente cambia idea? Il suo sviluppo ormonale riprenderà regolarmente? La fertilità sarà mantenuta? E come riallineare lo sviluppo cognitivo, che nessuno può arrestare, con quello puberale che nel frattempo è stato sospeso chimicamente? C'è anche chi ipotizza che il blocco ormonale possa finire per compromettere la definizione morfologica e funzionale di quelle parti del cervello che contribuiscono a strutturare l'identità sessuale. E con quali conseguenze? Lo studio sottolinea «la sostanziale carenza di letteratura scientifica che attesti evidenze di efficacia e di sicurezza di questo tipo di trattamento».
Caso emblematico è quello della giovanissima Keira Bell, sottoposta a trattamento con bloccanti ormonali dopo una frettolosa diagnosi di disforia emessa dalla Tavistock clinic di Londra, l'unica clinica per l'identità di genere per bambini trans del Regno Unito. Dopo questo scandalo, denunciato dalla ragazza, sono venuti allo scoperto numerosi pentiti (cosiddetti detransitioner) perché sottoposti a trattamenti irreversibili anziché essere aiutati psicologicamente a risolvere la confusione mentale che li affliggeva. Come hanno documentato medici e pentiti, i danni seguiti ai trattamenti ormonali non sono solo di tipo estetico (voci femminili mutate per sempre in maschili, peli su volti femminili o crescita di seni su corpi maschili) ma anche alla salute (fragilità ossea e sviluppo di altre malattie croniche). In Gran Bretagna nell'arco di 10 anni c'è stato un aumento del 2.500% dei trattamenti sulle bambine. Da 97 casi del 2009-2010 si è passati a 2.519 del 2017-2018. Fra loro 45 bambini di 6 anni o meno. Ha fatto scalpore l'intervento sul Guardian dell'ex psichiatra del Tavistock, David Bell, che ha accusato la facilità con cui è somministrato il farmaco bloccante della pubertà.
In Italia la triptorelina è consentita con semplice perizia medica. La campagna sull'identità di genere comincia a entrare nelle scuole. Ed è legittimo chiedersi se non ci sia il rischio che il tema sia trattato in modo semplicistico. Il Consiglio comunale di Torino ha approvato una mozione che impegna gli educatori dei nidi e delle materne a una formazione continua sul genere. In alcune scuole si sperimenta l'inserimento della «carriera alias» che consente ai transgender di cambiare il nome sui registri elettronici. Cominciato in alcuni licei, si sta facendo largo anche nelle elementari. Ma i bambini sono pronti ad affrontare temi così delicati? L'identità di genere è al centro del ddl Zan. Ci sono aspetti scottanti come il «self Id», o libera autocertificazione di genere, consentita con un semplice atto all'anagrafe senza perizie. Il percorso verso l'annullamento della differenza sessuale è avviato.
Il pianto dei giovani allo specchio quando si vedono diventare «altro»
«Gli adolescenti ma anche i giovanissimi, sulla loro identità di genere, spesso sono confusi, bombardati da campagne ideologiche che rimbalzano sui social senza alcun filtro. Le famiglie spesso sono disfunzionali, mancano i punti di riferimento. Nell'età evolutiva l'identità si struttura dall'inizio della pubertà fino ai 18-20 anni, attraverso un processo di identificazione e differenziazione con due figure identitarie di sesso diverso». Donatella Mansi è una psicopedagogista che lavora in ambito scolastico. Affronta ogni giorno situazioni di disagio legate al pressing ideologico: «Si stanno diffondendo esperienze sessuali precocissime, anche omosessuali, condizionate da una moda in cui la logica dominante è che, comunque, tutto va bene. L'adolescente è curioso, è alla scoperta del mondo e può essere indotto, durante un'esperienza sessuale con un partner dello stesso sesso, specie se ha provato piacere, a credere di essere omosessuale».
Mansi riferisce di un genitore che, aveva fatto iniziare la terapia ormonale al figlio adolescente, convinto di essere gay, ma quando il ragazzo ha visto i cambiamenti fisici piangeva davanti allo specchio. Anche la pornografia dilagante tra i giovanissimi crea una distorta visione del corpo: «Non vedono una relazione», spiega la psicopedagogista, «ma solo corpi in movimento in cui il piacere sessuale è estremizzato. Una recente indagine del Censis ha evidenziato che la pornografia influisce in modo pesante sul comportamento sessuale. I ragazzi sono più facilmente condizionabili e sono indotti a pensare che quello sia un modello e di non esservi adeguati. La reazione è di chiusura in sé stessi, di isolamento, così le esperienze sessuali con persone dello stesso sesso possono essere più gratificanti, meno conflittuali, più rassicuranti. Le ragazze spesso sono deluse dai coetanei maschi che hanno una modalità anche aggressiva nella relazione sessuale. Nel rapporto con una donna, invece, possono sperimentare la dolcezza e la tenerezza, che avvertono come maggiormente corrispondenti. Per semplificare, tutto ha origine da una mancanza di educazione alle relazioni. Si parla tanto di sesso ma poco di amore».
Mansi sottolinea anche la superficialità con cui si affrontano a scuola questi argomenti: «Un genitore mi ha riferito della figlia di 9 anni che un giorno, tornando da scuola, gli ha detto semplicemente: “Sai, papà, tra un po' potrò scegliere se amare una donna o un uomo. Lo ha detto la maestra"». La studiosa spiega che «l'esperienza con le figure genitoriali è molto importante: se il padre si è allontanato da casa quando un bambino è molto piccolo, ed è una figura vissuta come ostile, è possibile che il processo di identificazione avvenga con la figura materna. Ho avuto modo di conoscere un ragazzo che viveva un'esperienza di questo tipo: una psicologa lo ha aiutato a fare chiarezza, accompagnandolo a riconoscere la mancanza del padre che lo condizionava pesantemente».
La pedagoga spiega di aver avuto diverse esperienze in cui emergeva il «forte condizionamento ideologico che può fa perdere di vista la verità delle conoscenze psicologiche ed endocrinologiche. Anche dopo aver cambiato sesso, emerge in modo preponderante la ricerca di un partner che risponda al desiderio di essere amati. Assistiamo anche a una sessualizzazione precoce indotta da messaggi che circolano sui social, come bambine in posa con atteggiamenti adulti. Ci sono poi i personaggi, noti al pubblico televisivo, che raccontano come da genitori hanno accolto il desiderio del figlio che ha voluto iniziare una terapia per scegliere un genere diverso da quello biologico». Tra le esperienze che Mansi menziona, c'è il caso di una coppia di omosessuali con un bambino nato da utero in affitto: «Il piccolo, nella scuola materna,si era legato tanto alla maestra al punto da non volersi separare da lei ogni volta che doveva tornare a casa. Interpellato un neuropsichiatra infantile, il suggerimento è stato: ha bisogno di un seno materno».
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Al San Camillo di Roma aumentati del 150% i minori con ipotesi di disforia di genere, tra pressioni mediatiche e sostegni psicologici inadeguati. E salgono i «pentiti» dopo trattamenti irreversibili.L'allarme della psicopedagogista Donatella Mansi: «Manca l'educazione al rapporto personale».Lo speciale contiene due articoli.Lo sballo diffuso, il rifiuto delle regole, le forme di violenza rilanciate sui social con cinico compiacimento, la contestazione dei genitori, i nonni usati come bancomat ma che possono essere sacrificati con il Covid in nome dell'annullamento delle restrizioni. Cosa sta succedendo ai nostri giovani? La pandemia ha portato a galla, come la schiuma del mare, il caos in cui vive un'intera generazione, sospesa in una dimensione in cui tutto è consentito e giustificato. In barba a qualsiasi morale. Sul tema della sessualità e dell'identità di genere la confusione dei giovani raggiunge l'apice. Il gender fluid è la nuova moda. E tra i giovani si stanno moltiplicando gli interventi per cambiare sesso, spesso sull'onda del condizionamento sociale. C'è chi arriva a sostenere che già a 2 o 3 anni si possano manifestare problemi di genere, il che giustificherebbe la somministrazione di farmaci sin dalla più tenera età. A ciò contribuisce il progressivo allentarsi dei vincoli anagrafici e sanitari. Fino al 2015, per modificare i connotati sulla carta di identità bisognava operarsi: ora questo obbligo è caduto. Inoltre, l'Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto la disforia di genere, ossia il disagio legato al non riconoscersi nel proprio corpo, non come un disturbo psichico ma una condizione sessuale. E ai minori può essere somministrato un farmaco, la triptorelina, per bloccare la pubertà. Spesso è il primo passo per un percorso che porta i ragazzi dritti verso la somministrazione di ormoni e poi all'intervento chirurgico con effetti irreversibili. Dal monitoraggio della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva- rigenerativa ed estetica (Sicpre), nell'anno prima della pandemia circa 120 persone si sono sottoposte a interventi di cambio di sesso nei cinque ospedali pubblici italiani specializzati. Il 60% dei pazienti chiede di diventare donna, il restante 40% uomo. L'ospedale che fa più interventi è quello di Pisa. Quando ha iniziato, nel 2011 eseguiva 6 operazioni all'anno: ora circa 60. Al San Camillo di Roma, nell'Area minori del Saifip (Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica), una delle realtà pioniere del settore che da più di 20 anni accoglie bambini e adolescenti gender variant, nei primi tre mesi di quest'anno il numero di minori arrivati con un'ipotesi di disforia di genere è aumentato del 150% rispetto allo stesso periodo del 2020. Al Policlinico universitario di Palermo le richieste di interventi chirurgici sono cresciute del 30%. Come mai questo incremento esponenziale? Il movimento Lgbt e parte della comunità scientifica sostiene che il fenomeno è sempre esistito, ma ora le persone escono allo scoperto. Altri psicologi e chirurghi sottolineano fenomeni di emulazione e di contagio sociale. Questo il pensiero di Adriana Cordova, professore di chirurgia plastica dell'università di Palermo ed ex presidente di Sicpre: «Numerose persone che arrivano da noi per il cambio del sesso hanno effettuato percorsi psicologici inadeguati. Le terapie psicologiche dovrebbero durare 2 anni, ma non tutti completano il ciclo o perché non se lo possono permettere o perché nelle strutture pubbliche hanno di fronte psicologi sempre diversi che non garantiscono la continuità. Sono venute da me persone che avevano avuto l'autorizzazione del tribunale per il cambio di sesso dopo appena un paio di incontri con lo psicologo. Ho l'impressione che si parli del cambio di sesso con leggerezza e che non si sottolinei la drasticità del gesto chirurgico. Per alcuni pazienti la transizione era necessaria e ha portato a una migliore qualità della vita, ma per altrettanti casi il bisturi non ha risolto i problemi psicologici».Il blocco della pubertà è un'altra pratica che si diffonde con facilità. Uno studio realizzato dall'associazione Scienza & vita e dal centro studi Rosario Livatino sottolinea i dubbi su questo trattamento: che cosa succede se, dopo due o tre anni di somministrazione della triptorelina (il minino per ottenere qualche risultato) un adolescente cambia idea? Il suo sviluppo ormonale riprenderà regolarmente? La fertilità sarà mantenuta? E come riallineare lo sviluppo cognitivo, che nessuno può arrestare, con quello puberale che nel frattempo è stato sospeso chimicamente? C'è anche chi ipotizza che il blocco ormonale possa finire per compromettere la definizione morfologica e funzionale di quelle parti del cervello che contribuiscono a strutturare l'identità sessuale. E con quali conseguenze? Lo studio sottolinea «la sostanziale carenza di letteratura scientifica che attesti evidenze di efficacia e di sicurezza di questo tipo di trattamento».Caso emblematico è quello della giovanissima Keira Bell, sottoposta a trattamento con bloccanti ormonali dopo una frettolosa diagnosi di disforia emessa dalla Tavistock clinic di Londra, l'unica clinica per l'identità di genere per bambini trans del Regno Unito. Dopo questo scandalo, denunciato dalla ragazza, sono venuti allo scoperto numerosi pentiti (cosiddetti detransitioner) perché sottoposti a trattamenti irreversibili anziché essere aiutati psicologicamente a risolvere la confusione mentale che li affliggeva. Come hanno documentato medici e pentiti, i danni seguiti ai trattamenti ormonali non sono solo di tipo estetico (voci femminili mutate per sempre in maschili, peli su volti femminili o crescita di seni su corpi maschili) ma anche alla salute (fragilità ossea e sviluppo di altre malattie croniche). In Gran Bretagna nell'arco di 10 anni c'è stato un aumento del 2.500% dei trattamenti sulle bambine. Da 97 casi del 2009-2010 si è passati a 2.519 del 2017-2018. Fra loro 45 bambini di 6 anni o meno. Ha fatto scalpore l'intervento sul Guardian dell'ex psichiatra del Tavistock, David Bell, che ha accusato la facilità con cui è somministrato il farmaco bloccante della pubertà. In Italia la triptorelina è consentita con semplice perizia medica. La campagna sull'identità di genere comincia a entrare nelle scuole. Ed è legittimo chiedersi se non ci sia il rischio che il tema sia trattato in modo semplicistico. Il Consiglio comunale di Torino ha approvato una mozione che impegna gli educatori dei nidi e delle materne a una formazione continua sul genere. In alcune scuole si sperimenta l'inserimento della «carriera alias» che consente ai transgender di cambiare il nome sui registri elettronici. Cominciato in alcuni licei, si sta facendo largo anche nelle elementari. Ma i bambini sono pronti ad affrontare temi così delicati? L'identità di genere è al centro del ddl Zan. Ci sono aspetti scottanti come il «self Id», o libera autocertificazione di genere, consentita con un semplice atto all'anagrafe senza perizie. Il percorso verso l'annullamento della differenza sessuale è avviato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/boom-giovani-cambiano-sesso-2653004955.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-pianto-dei-giovani-allo-specchio-quando-si-vedono-diventare-altro" data-post-id="2653004955" data-published-at="1621179799" data-use-pagination="False"> Il pianto dei giovani allo specchio quando si vedono diventare «altro» «Gli adolescenti ma anche i giovanissimi, sulla loro identità di genere, spesso sono confusi, bombardati da campagne ideologiche che rimbalzano sui social senza alcun filtro. Le famiglie spesso sono disfunzionali, mancano i punti di riferimento. Nell'età evolutiva l'identità si struttura dall'inizio della pubertà fino ai 18-20 anni, attraverso un processo di identificazione e differenziazione con due figure identitarie di sesso diverso». Donatella Mansi è una psicopedagogista che lavora in ambito scolastico. Affronta ogni giorno situazioni di disagio legate al pressing ideologico: «Si stanno diffondendo esperienze sessuali precocissime, anche omosessuali, condizionate da una moda in cui la logica dominante è che, comunque, tutto va bene. L'adolescente è curioso, è alla scoperta del mondo e può essere indotto, durante un'esperienza sessuale con un partner dello stesso sesso, specie se ha provato piacere, a credere di essere omosessuale». Mansi riferisce di un genitore che, aveva fatto iniziare la terapia ormonale al figlio adolescente, convinto di essere gay, ma quando il ragazzo ha visto i cambiamenti fisici piangeva davanti allo specchio. Anche la pornografia dilagante tra i giovanissimi crea una distorta visione del corpo: «Non vedono una relazione», spiega la psicopedagogista, «ma solo corpi in movimento in cui il piacere sessuale è estremizzato. Una recente indagine del Censis ha evidenziato che la pornografia influisce in modo pesante sul comportamento sessuale. I ragazzi sono più facilmente condizionabili e sono indotti a pensare che quello sia un modello e di non esservi adeguati. La reazione è di chiusura in sé stessi, di isolamento, così le esperienze sessuali con persone dello stesso sesso possono essere più gratificanti, meno conflittuali, più rassicuranti. Le ragazze spesso sono deluse dai coetanei maschi che hanno una modalità anche aggressiva nella relazione sessuale. Nel rapporto con una donna, invece, possono sperimentare la dolcezza e la tenerezza, che avvertono come maggiormente corrispondenti. Per semplificare, tutto ha origine da una mancanza di educazione alle relazioni. Si parla tanto di sesso ma poco di amore». Mansi sottolinea anche la superficialità con cui si affrontano a scuola questi argomenti: «Un genitore mi ha riferito della figlia di 9 anni che un giorno, tornando da scuola, gli ha detto semplicemente: “Sai, papà, tra un po' potrò scegliere se amare una donna o un uomo. Lo ha detto la maestra"». La studiosa spiega che «l'esperienza con le figure genitoriali è molto importante: se il padre si è allontanato da casa quando un bambino è molto piccolo, ed è una figura vissuta come ostile, è possibile che il processo di identificazione avvenga con la figura materna. Ho avuto modo di conoscere un ragazzo che viveva un'esperienza di questo tipo: una psicologa lo ha aiutato a fare chiarezza, accompagnandolo a riconoscere la mancanza del padre che lo condizionava pesantemente». La pedagoga spiega di aver avuto diverse esperienze in cui emergeva il «forte condizionamento ideologico che può fa perdere di vista la verità delle conoscenze psicologiche ed endocrinologiche. Anche dopo aver cambiato sesso, emerge in modo preponderante la ricerca di un partner che risponda al desiderio di essere amati. Assistiamo anche a una sessualizzazione precoce indotta da messaggi che circolano sui social, come bambine in posa con atteggiamenti adulti. Ci sono poi i personaggi, noti al pubblico televisivo, che raccontano come da genitori hanno accolto il desiderio del figlio che ha voluto iniziare una terapia per scegliere un genere diverso da quello biologico». Tra le esperienze che Mansi menziona, c'è il caso di una coppia di omosessuali con un bambino nato da utero in affitto: «Il piccolo, nella scuola materna,si era legato tanto alla maestra al punto da non volersi separare da lei ogni volta che doveva tornare a casa. Interpellato un neuropsichiatra infantile, il suggerimento è stato: ha bisogno di un seno materno».
Ansa
Suo figlio, Naveed Akram, 24 anni, è attualmente ricoverato in ospedale sotto stretta sorveglianza della polizia. Le piste investigative principali restano due. Da un lato, la cosiddetta pista iraniana, ritenuta plausibile da ambienti israeliani; dall’altro, l’ipotesi di un coinvolgimento dello Stato islamico, avanzata da alcuni media, anche se l’organizzazione jihadista - che solitamente rivendica con rapidità le proprie azioni - non ha diffuso alcun messaggio di rivendicazione. Un elemento rilevante emerso dalle indagini è il ritrovamento, nell’auto di Naveed Akram, di una bandiera nera del califfato e di ordigni poi disinnescati dagli artificieri.
In attesa di chiarire chi vi sia realmente dietro la strage di Hanukkah, quanto accaduto domenica in Australia non appare come un evento isolato o imprevedibile. Al contrario, si inserisce in una lunga scia di attacchi e intimidazioni antisemite contro la comunità ebraica e le sue istituzioni. Più in generale, rappresenta l’esito di almeno vent’anni di progressiva penetrazione jihadista nel Paese. A dimostrarlo sono anche i numeri dei foreign fighter australiani: circa 200 cittadini avrebbero raggiunto, tra il 2011 e il 2019, la Siria e l’Iraq per unirsi a organizzazioni jihadiste come lo Stato islamico e il Fronte Al Nusra. In Australia, per motivi incomprensibili le autorità non monitorano da anni ambienti di culto radicalizzati dove si inneggia ad Al Qaeda, Isis, Hamas, Hezbollah e Iran, alimentando un clima di radicalizzazione che ha prodotto gravi conseguenze.
Tra i principali predicatori radicali figura Wisam Haddad, noto anche come Abu Ousayd, leader spirituale di una rete pro Isis, individuata da un’inchiesta della Abc. Nonostante fosse sotto osservazione da decenni, non è mai stato formalmente accusato di terrorismo, un’anomalia che evidenzia l’inerzia dello Stato. Haddad feroce antisemita, predica una visione intransigente della Sharia, rifiutando il concetto di Stato e nazionalismo, attirando giovani radicalizzati e facilmente manipolabili. La sua rete ha contribuito al passaggio dalla radicalizzazione verbale al reclutamento operativo. Uno degli attori chiave di questa rete è Youssef Uweinat, ex reclutatore dell’Isis. Conosciuto come Abu Musa Al Maqdisi, ha adescato minorenni australiani, spingendoli alla violenza tramite chat criptate e propaganda jihadista, con messaggi espliciti, immagini di decapitazioni e video di bambini addestrati all’uso delle armi. Condannato nel 2019, Uweinat è stato rilasciato nel 2023 senza misure di sorveglianza severe e ha riallacciato i contatti con Haddad. Inoltre, Uweinat faceva parte di una cellula Isis infiltrata da una fonte dell’Asio, l’intelligence australiana, che ha documentato i piani di attacco e i legami con jihadisti all’estero.
Anche Joseph Saadieh, ex leader giovanile dell’ Al Madina Dawah Centre, ha fatto parte della rete. Arrestato nel 2021 con prove di supporto all’Isis, è stato rilasciato dopo un patteggiamento per un reato minore. L’inchiesta Abc riporta inoltre il ritorno di figure storiche del jihadismo australiano, come Abdul Nacer Benbrika, condannato per aver guidato un gruppo terroristico a Melbourne, e Wassim Fayad, presunto leader di una cellula Isis a Sydney. Questi ritorni indicano un tentativo di rilancio della rete jihadista. Secondo l’Asio, l’Isis ha recuperato capacità operative, aumentando il rischio di attentati in Australia. Tuttavia, nonostante l’allarme lanciato dalle agenzie, lo Stato australiano non sembra in grado di fermare le figure chiave del jihadismo domestico. Haddad continua a predicare liberamente, nonostante accuse di incitamento all’odio antisemita, e i suoi interlocutori principali sono ex detenuti per terrorismo senza misure di sorveglianza. Questo scenario solleva molti interrogativi sulla sostenibilità di una strategia che si limita a monitorare senza intervenire sui nodi ideologici e relazionali del jihadismo interno. La storia di Uweinat, Saadieh e altre figure simili suggerisce che la minaccia jihadista non emerge dal nulla, ma prospera nelle zone grigie lasciate dall’inerzia istituzionale, sollevando preoccupazioni sulla sicurezza e sulla capacità dello Stato di affrontare la radicalizzazione interna in modo efficace. Tutto questo ridimensiona la retorica dell’Australia come Paese blindato, dove entrano solo «i migliori» e solo a determinate condizioni. La realtà racconta ben altro: reti jihadiste attive, predicatori radicali liberi di operare e militanti già condannati che tornano a muoversi senza alcun argine. Non si tratta di una falla nei controlli di frontiera, ma di una resa dello Stato sul fronte interno. La radicalizzazione è stata lasciata prosperare come testimoniano le recenti manifestazioni in cui simboli dell’Isis e di Al Qaeda sono stati mostrati senza conseguenze, rendendo il contesto ancora più esplosivo.
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Ansa
La polizia ha chiarito che gli attentatori erano padre e figlio. Si tratta di Sajid Akram, 50 anni, di origine pakistana, residente in Australia da molti anni, e di Naveed Akram, 24 anni, nato in Australia e residente nel sobborgo di Bonnyrigg, nella zona occidentale di Sydney. Secondo quanto riferito dagli investigatori, entrambi risultavano ideologicamente affiliati all’Isis e radicalizzati da tempo. Almeno uno dei due era noto ai servizi di sicurezza australiani, pur non essendo stato classificato come una minaccia imminente. Sajid Akram è stato ucciso durante l’intervento delle forze dell’ordine, mentre il figlio Naveed è rimasto ferito ed è attualmente ricoverato in ospedale sotto stretta sorveglianza: verrà formalmente interrogato non appena le sue condizioni cliniche lo consentiranno. Le autorità stanno cercando di chiarire il ruolo di ciascuno dei due nella pianificazione dell’attacco e se vi siano stati fiancheggiatori o complici. Nel corso delle perquisizioni effettuate ieri in diversi quartieri di Sydney, in particolare a Bonnyrigg e Campsie, la polizia ha rinvenuto armi ed esplosivi all’interno dei veicoli utilizzati dagli attentatori. Gli ordigni sono stati neutralizzati dagli artificieri e non risulta che siano stati attivati. Un elemento che, secondo gli inquirenti, conferma come il piano fosse più articolato e mirasse a provocare un numero ancora maggiore di vittime. Restano sotto la lente d’ingrandimento anche le misure di sicurezza adottate per l’evento: si parla, infatti, di una sparatoria durata diversi minuti prima che la situazione venisse definitivamente messa sotto controllo. Il che non può che sollevare numerosi interrogativi sulla tempestività dell’intervento e sull’adeguatezza dei controlli preventivi.
La strage, non a caso, ha fatto piovere parecchie critiche addosso al governo laburista guidato da Anthony Albanese, accusato dalle opposizioni e da parte della comunità ebraica di non aver rafforzato la protezione di un evento sensibile malgrado l’aumento degli episodi di antisemitismo registrati negli ultimi mesi in Australia. L’esecutivo ha espresso cordoglio e solidarietà, ma si trova ora a dover rispondere all’accusa di aver sottovalutato il pericolo. Albanese, intanto, ha annunciato una riunione straordinaria del National cabinet per discutere misure urgenti in materia di sicurezza e di controllo delle armi, mentre il governo del Nuovo Galles del Sud ha disposto un rafforzamento immediato della vigilanza attorno a sinagoghe, scuole e centri ebraici.
Numerose le reazioni anche dall’estero. Il premier italiano, Giorgia Meloni, ha condannato l’attentato parlando di «un atto vile e barbaro di terrorismo antisemita» e ribadendo che «l’Italia è al fianco della comunità ebraica e dell’Australia nella lotta contro ogni forma di odio e fanatismo». Parole di ferma condanna sono arrivate anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in un messaggio ufficiale ha espresso «profondo cordoglio per le vittime innocenti» e ha sottolineato come «la violenza terroristica, alimentata dall’odio antisemita, rappresenti una minaccia per i valori fondamentali delle nostre democrazie».
Intanto, a Bondi Beach e in altre città australiane, si moltiplicano veglie e momenti di raccoglimento in memoria delle vittime. Molte iniziative pubbliche legate alla festività di Hanukkah sono state annullate o trasformate in cerimonie di lutto, mentre resta alta l’allerta delle forze di sicurezza in vista dei prossimi giorni.
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