2021-04-28
Con il Recovery plan ci impongono il gender
Il Pnrr stanzia 10 milioni per creare un sistema informativo che provi la mancanza di discriminazioni verso le donne nelle aziende e nella Pa. La Statale di Milano riforma il linguaggio dei testi amministrativi. Sparisce il merito, crescono burocrazia e quote rosaLa parità di genere sarà certificata in azienda per incentivare tutte le imprese pubbliche e private, piccole o grandi, a ridurre il gap tra uomini e donne. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) prevede 10 milioni di euro per la creazione di un sistema informativo capace di raccogliere dati che attestino l’adozione di medesime opportunità di crescita per i lavoratori, garantendo parità salariale e di mansioni, tutela della maternità e «politiche di gestione delle differenze di genere». Perché il gender gap va eliminato al più presto, ha dichiarato il premier Mario Draghi, annunciando l’avvio entro giugno di una strategia che promette sostegno alle donne attraverso lavoro, reddito, competenze, tempo, potere. «La parità di genere è definita come asse strategico» e assume «un ruolo trasversale, il cosiddetto gender mainstreaming, su cui ogni azione dovrà essere valutata ex ante ed ex post», dichiarava già a marzo il ministro per le Pari opportunità, Elena Bonetti, per far capire che cosa significhi «promuovere lavoro e protagonismo femminile in tutti i settori». Un mese fa disse di star lavorando anche a un «sistema nazione di certificazione sulla parità di genere delle organizzazioni produttive pubbliche e private», che non sarebbe stato inserito nel Pnrr. Invece c’è. Il piano prevede misure di sostegno all’imprenditoria femminile e investimenti nelle competenze tecnico scientifiche delle studentesse. «Il tasso di partecipazione delle donne al mondo del lavoro è del 53,1% in Italia, di molto inferiore rispetto al 67,4% della media europea», sottolinea il Pnrr, che almeno sulla carta vuole eliminare le disuguaglianze di genere, così pure «correggere le asimmetrie che ostacolano le pari opportunità sin dall’età scolastica». Purtroppo non si tratta solo di aiutare la donna a potenziare formazione e competenze, o di accrescere l’offerta di servizi, di ridisegnare sostegni economici e fiscali in base a concreti fabbisogni per non costringerla a dover scegliere tra maternità e carriera. O di rafforzare l’assistenza domiciliare per ridurre «l’onere delle attività di cura, fornite in famiglia prevalentemente» da persone di sesso femminile. Si fa riferimento anche al sistema nazionale di certificazione della parità di genere, tanto caro alla Bonetti, sistema che «intende accompagnare le imprese nella riduzione dei divari in tutte le aree più critiche per la crescita professionale delle donne, e rafforzare la trasparenza salariale». Tra il 24 maggio e il 21 giugno avrà luogo un corso sul bilancio di genere rivolto alle amministrazioni, sei giornate di totale immersione in temi quali cultura di genere, diseguaglianze di genere, impatto di genere delle politiche pubbliche, analisi e monitoraggio di interventi in prospettiva di genere. Genere in tutte le salse. «Può aiutare in modo sostanziale a irrobustire la consapevolezza delle amministrazioni rispetto alla qualità della spesa pubblica», si legge sul portale della Sna, la Scuola nazionale dell’amministrazione della presidenza del Consiglio dei ministri. In realtà, tra organi di parità e organi attivi per la promozione dell’uguaglianza, con attenzione a criteri di nomina, composizione, funzioni e budget a disposizione, aumenterà enormemente il lavoro. Alla faccia del rendere più snella la burocrazia degli enti pubblici. Senza contare i costi di gestione. Ma eliminare le discriminazioni tra uomo e donna è diventato l’obiettivo primario, un nemico da abbattere ovunque e a qualsiasi costo. Per il ministro Bonetti, le università e tutte le «nostre amministrazioni» che non rileggono i bilanci in una prospettiva di genere possono diventare l’ambiente ideale «dove si insinuano le radici più profonde degli stereotipi, in quella apparente neutralità che non percepisce le differenze». Addio realizzazione delle pari opportunità, quando non si raccolgono dati sul gender gap presente nella comunità universitaria. Per il ministro, che ha preso parte alla presentazione del bilancio di genere della Statale di Milano, un ateneo perde allora «la capacità di essere laboratorio non solo di sogni e possibilità, ma di progettazione di questi sogni e possibilità». Peccato che oltre al sopra citato bilancio, con le percentuali di uomini e donne che conseguono la laurea, insegnano nelle varie aree didattiche, stanno in biblioteca o negli uffici, la Statale abbia annunciato anche le linee guida «per l’adozione della parità di genere nei testi amministrativi e nella comunicazione istituzionale». Bisogna superare il gap attraverso il linguaggio, formare il personale perché «per intervenire sul linguaggio discriminante dei testi amministrativi [...] non è sufficiente inserire automaticamente forme femminili accanto alle corrispondenti maschili». Le nostre università saranno per questo migliori? Avremo studenti più preparati e meno maschi nei posti che spettano a colleghe più brave? Fermo restando che le criticità che ostacolano la carriera accademica, o che non riconoscono né valorizzano il merito di un ricercatore, vanno eliminate indipendentemente che si tratti di un uomo o di una donna, ancora una volta si mettono sotto la lente d’ingrandimento composizione di genere di docenti, di relatori a seminari e molti altri dati, considerandoli indicatori di «segregazione orizzontale e verticale». Quindi, le sottorappresentazioni delle donne in specifici ambiti, mansioni e professionalità sarebbero dovute a stereotipi sociali legati al genere, mentre la segregazione verticale impedirebbe alle donne di far carriera. Solo con le «quote rosa» si pensa di riportare in ordine il bilancio di genere, zero riferimenti a merito e competenza.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)