2025-11-10
Martin Sellner: «Vi spiego la remigrazione e perché attuarla è possibile»
Parla il saggista austriaco che l’ha teorizzata: «Prima vanno rimpatriati i clandestini, poi chi commette reati. E la cittadinanza va concessa solo a chi si assimila davvero».Per qualcuno Martin Sellner, saggista e attivista austriaco, è un pericoloso razzista. Per molti altri, invece, è colui che ha individuato una via per la salvezza dell’Europa. Fatto sta che il suo libro (Remigrazione: una proposta, edito in Italia da Passaggio al bosco) è stato discusso un po’ ovunque in Occidente, anche laddove si è fatto di tutto per oscurarlo.Dato che ormai la parola è molto diffusa e utilizzata da politici di varia appartenenza, può spiegare che cosa sia la remigrazione?«La remigrazione è la risposta dovuta e necessaria a decenni di immigrazione di massa incontrollata. Penso che sia il termine più importante, perché ciò che stiamo vivendo ora in Europa occidentale – in Austria, Germania, Italia, basta guardare Roma, Parigi, Vienna – è una sostituzione di popolazione. Nel giro di pochi decenni, le maggioranze indigene delle nazioni europee non saranno più tali, e stiamo assistendo a una rapida islamizzazione, soprattutto nel Regno Unito. La remigrazione è un termine ombrello che racchiude un insieme di misure per un’inversione organizzata e legale di questo processo, di questi flussi migratori, con l’obiettivo di ristabilire la continuità etno-culturale e l’equilibrio sociale nei Paesi europei».Rimpatri, dunque. «Non è semplicemente un sinonimo di rimpatri – anche se quelli sono necessari – ma un insieme di misure su come affrontare questa catastrofe migratoria: come riportare a casa gli irregolari, come sistemare il sistema d’asilo, come creare una Fortezza Europa, ma anche come porre fine alle società parallele e all’islamizzazione dell’Europa. E penso che per questo il termine stia prendendo piede: persino Elon Musk e Donald Trump lo usano, perché la gente percepisce che questo è il tema più importante, e la remigrazione è la soluzione». Lei non si ferma allo slogan ma articola una proposta in varie fasi. Quali sono?«Nella remigrazione ci sono tre gruppi obiettivo e tre fasi. Riguardano gli irregolari, ma anche gli immigrati regolari e poi le persone non assimilate, che sono state naturalizzate in massa dai partiti di sinistra, i quali volevano nuovi elettori e manodopera a basso costo, ma così hanno creato società parallele. La prima fase è la stabilizzazione. Dobbiamo risolvere il problema. Si tratta del flusso di irregolari. Dobbiamo chiudere completamente le frontiere. Dobbiamo spostare l’intero processo d’asilo fuori dall’Europa, come nel piano del Regno Unito con il Ruanda o quello dell’Albania proposto da Giorgia Meloni, ma servirebbe uno sforzo congiunto delle nazioni europee per creare, credo, anche città – charter cities, “città a statuto speciale” – in Nord Africa, dove portare tutti i nuovi arrivati e i richiedenti asilo presenti in Europa, che lì potrebbero vivere in sicurezza. Questo fermerebbe completamente il flusso di immigrazione illegale verso l’Europa». E poi?«La seconda fase sarebbe l’inversione. Ci sono molti migranti legali qui, non richiedenti asilo, ma molti di loro – non tutti, ma molti – commettono reati, rappresentano un peso economico o culturale. Quindi tutti i migranti legali che sono qui, che delinquono o sono un onere per la società, dovrebbero perdere il diritto di rimanere e si dovrebbe ridurre gradualmente questa quota di migrazione problematica nei nostri Paesi».C’è una terza fase?«La terza fase, un processo di circa trent’anni, sarebbe la restaurazione reale in Europa. Serve una forte cultura guida. Penso serva un principio di assimilazione. Bisogna smettere di concedere con leggerezza le cittadinanze di Italia, Francia, Germania e Austria. La cittadinanza deve avere un valore molto alto: solo chi si assimila completamente e dimostra lealtà totale alla nuova società dovrebbe ottenerla. Dobbiamo interrompere qualsiasi immigrazione islamica non europea e creare pressioni contro le società parallele esistenti. Qui entrano in gioco anche incentivi per il ritorno volontario: avrebbe più senso offrire denaro – un pagamento unico – per far sì che le persone tornino nel proprio Paese, dove sono culturalmente più affini, piuttosto che mantenerle per sempre come un peso per la società».Molti la accusano di voler cacciare tutti gli stranieri, anche quelli che sono in Europa legittimamente. «Voglio chiarire, perché molti distorcono le mie parole: le espulsioni vere e proprie si applicano solo a chi è qui illegalmente. Attuare la remigrazione non significa creare cittadini di seconda classe, ma serve comunque affrontare il problema delle società parallele di cittadini non assimilati». La accusano da più parti, anche da destra, di essere razzista.«Penso che sia assurdo, perché essere accusati di razzismo è diventato un modo per zittire il dibattito. Quando ti chiamano razzista, spesso significa che l’altra parte non ha argomenti. Io credo che sia un diritto assoluto di ogni nazione, di ogni popolo, decidere se vuole l’immigrazione, quanta ne vuole e di che tipo. Tutti i Paesi hanno questo diritto, ma apparentemente solo le nazioni europee devono essere aperte a tutti. Quindi non è affatto razzista. La remigrazione è un insieme di misure perfettamente legali e, alla fine, ha anche un obiettivo morale: vogliamo solo preservare la nostra continuità etno-culturale, riconoscendo però lo stesso diritto a tutti gli altri. Dobbiamo passare da un altruismo patologico a una cultura della responsabilità. Se vogliamo davvero aiutare, dobbiamo aiutare le persone nei loro Paesi d’origine, fermando i flussi di migrazione di massa dove nascono, cioè nelle aree senza prospettive. Questa è la mia risposta: la remigrazione è la soluzione morale, e amare la propria nazione, volerla preservare e rispettare le altre non è razzismo». Ma secondo lei è davvero possibile, oggi, in un’Europa che ha accolto e difeso l’immigrazione come una bandiera, attuare la remigrazione?«Assolutamente sì. Non è affatto un problema logistico. Abbiamo tutte le navi, abbiamo i droni per sorvegliare le frontiere. Dal punto di vista finanziario, sarebbe persino un vantaggio. Questa immigrazione di massa è una perdita netta: abbiamo molti studi, dalla Danimarca e da altri Paesi, che dimostrano che questa immigrazione massiccia non europea – africana, araba, musulmana – toglie più di quanto dà. Quindi economicamente sarebbe un beneficio. L’unico problema è la volontà politica. Oggi, soprattutto i tribunali europei lo impediscono. Nei nostri Paesi c’è un’industria dell’asilo che ne trae profitto: ogni migrante illegale significa soldi pubblici. È una battaglia politica, una battaglia di idee. Dobbiamo superare la falsa narrativa secondo cui siamo moralmente obbligati ad accogliere tutti i migranti e secondo cui la remigrazione è razzista. Dobbiamo abbattere queste menzogne della propaganda di sinistra e formare una volontà politica, anche nelle piazze, come cittadini patriottici. Quando ci sarà questa volontà politica, la remigrazione sarà facilmente possibile. Il vero ostacolo non è logistico, né legale, né economico: è la mancanza di volontà politica». Secondo lei come si fermano i flussi migratori provenienti dall’Africa? Anche la destra europea, nonostante i proclami, sembra avere difficoltà a farlo.«È vero, i risultati sono peggiori del previsto. Ma il problema non è in Africa, è in Europa, a Bruxelles. Perché se guardiamo la mappa, perché questi migranti musulmani non vanno in Arabia Saudita, a Dubai, negli altri ricchi Stati petroliferi? Sono molto più vicini, hanno soldi, parlano la stessa lingua, condividono la stessa religione. Vengono tutti in Europa perché noi abbiamo frontiere aperte. C’è una sola parola: respingimenti. Se riportassimo tutti i migranti che entrano illegalmente in Europa in Nord Africa, se creassimo centri dove possano vivere in pace e sicurezza, ricevere istruzione, praticare sport o la loro religione, avere ospedali, ma senza la possibilità di entrare in Europa, nel giro di pochi mesi il traffico di esseri umani crollerebbe. L’Australia lo ha dimostrato con la politica del “no way”. È assolutamente possibile mettere in sicurezza i confini europei. È solo una questione di volontà politica. Oggi il problema è superare le élite di Bruxelles, che vogliono mantenere questo flusso infinito di migrazione africana e bloccano ogni iniziativa politica. Io, come attivista, spero che presto emerga una generazione di leader politici con il coraggio di fare ciò che la loro gente desidera: bloccare con una barriera navale il Mediterraneo e riportare i migranti illegali sulle coste africane. Se lo facessimo, tutto finirebbe immediatamente».
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