2025-11-10
Stephen Miran: «Il blocco ai migranti ridurrà l’inflazione Usa. Le tariffe non pesano»
L’uomo di Trump alla Fed: «I dazi abbassano il deficit. Se in futuro dovessero incidere sui prezzi, la variazione sarebbe una tantum».È l’uomo di Donald Trump alla Fed. Lo scorso agosto, il presidente americano lo ha infatti designato come membro del Board of Governors della banca centrale statunitense in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler: una nomina che è stata confermata dal Senato a settembre. Quello di Stephen Miran è d’altronde un nome noto. Fino all’incarico attuale, era stato presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca e, in tale veste, era stato uno dei principali architetti della politica dei dazi, promossa da Trump.Proprio in questo ruolo, lo scorso maggio, aveva rilasciato un’intervista in esclusiva alla Verità, spiegando come le tariffe imposte dal presidente americano andassero principalmente lette attraverso le lenti della sicurezza nazionale. «Dal punto di vista della sicurezza nazionale ed economica, rivitalizzare e rilanciare la cantieristica navale e l’industria farmaceutica è fondamentale per garantire che gli Stati Uniti proteggano le proprie catene di approvvigionamento critiche», aveva dichiarato, parlando con il nostro giornale. «Anche i settori automobilistico, siderurgico e agricolo sono di vitale importanza, visto che altri Paesi hanno fortemente limitato l’esportazione della produzione manifatturiera americana all’estero», aveva aggiunto. «Il presidente», aveva altresì detto, «ha ragione nel dire che gli squilibri commerciali sono un’emergenza, e non da ultimo perché mantenere ed espandere un solido settore manifatturiero è fondamentale per la sicurezza nazionale».Poi, nel pieno dello scontro con il presidente della Fed Jerome Powell sulla questione dei tassi d’interesse, Trump ha deciso di spostare Miran ai vertici della banca centrale, dove sta adesso spingendo per promuovere una politica monetaria più espansiva. Lo scorso 29 ottobre, ha, per esempio, votato contro il taglio dei tassi di un quarto di punto percentuale, auspicando una riduzione più consistente. Sebbene il suo mandato scada già all’inizio dell’anno prossimo, Miran, secondo il New York Times, potrebbe comunque giocare un ruolo decisivo sia nella linea della Fed che nella scelta del successore dello stesso Powell. Si tratta quindi di una figura di primo piano, per comprendere le complicate dinamiche monetarie, economiche e politiche che stanno interessando la Federal Reserve. È in questo quadro che La Verità ha avuto l’opportunità di intervistare nuovamente in esclusiva Miran. In particolare, il governatore ci ha parlato di vari temi: dal taglio dei tassi all’inflazione, passando per i dazi e per gli effetti economici del contrasto all’immigrazione irregolare.Governatore Miran, lei è un noto fautore di tagli drastici ai tassi di interesse. Per quale motivo?«In realtà non sono sempre stato un sostenitore dei tagli ai tassi. Anzi, l’anno scorso non li avrei tagliati. Allora perché di recente sostengo i tagli dei tassi? Questo deriva dalla mia visione del tasso di interesse neutrale, che è il tasso che non stimola né limita l’attività economica quando opera al suo potenziale (e viene spesso indicato come “r*”). L’anno scorso, credevo che il tasso neutrale fosse piuttosto elevato e quindi i tassi di interesse non fossero molto restrittivi. Ciò era dovuto a deficit pubblici molto elevati e a un enorme shock demografico dovuto all’immigrazione illegale. Tuttavia, quest’anno credo che il tasso neutrale sia diminuito sostanzialmente, in gran parte a causa di un’inversione di questi fattori».Prosegua pure.«Le politiche al di fuori dell’ambito monetario sono cambiate in modo sostanziale e le banche centrali sarebbero negligenti, se non riconoscessero tali cambiamenti. La crescita del deficit federale ha subito un drastico rallentamento quest’anno, in parte a causa delle entrate tariffarie, e ora si registra un saldo migratorio netto negativo a causa delle modifiche alla politica di gestione delle frontiere. Questi shock hanno abbassato r* e quindi la politica monetaria è diventata passivamente più restrittiva. Credo che il mercato obbligazionario lo abbia confermato: lo scorso anno, i rendimenti dei titoli di Stato statunitensi a lungo termine sono aumentati notevolmente da quando la Fed ha iniziato a tagliare i tassi di interesse. Quest’anno, i rendimenti a lungo termine sono rimasti pressoché invariati e sono in calo sostanziale da inizio anno».Secondo lei, in che modo le politiche monetarie della Fed dovrebbero affrontare le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina?«La Federal Reserve è stata incaricata dal Congresso di raggiungere prezzi stabili e la massima occupazione. Sebbene la definizione della politica commerciale sia di competenza dei funzionari eletti, nella misura in cui le politiche commerciali incidono sulla stabilità dei prezzi e sulla massima occupazione, ciò crea un margine di manovra per la Fed. Recentemente, l’incertezza commerciale è aumentata a seguito dei controlli che sono stati proposti sulle esportazioni provenienti dalla Cina relativamente a input come terre rare e magneti. Sebbene tale incertezza si sia risolta abbastanza rapidamente da evitare probabilmente di lasciare un segno sull’economia, l’accordo attuale tra Washington e Pechino prevede una sospensione della durata di un anno. Il ritorno dell’incertezza a un certo punto è un rischio che noi della Federal Reserve dobbiamo tenere presente».E l’impatto dei dazi? Molti parlano di conseguenze negative per l’inflazione.«Nel frattempo, le entrate tariffarie abbassano i tassi neutrali riducendo l’indebitamento nazionale. Non ritengo che i dazi abbiano finora causato un’inflazione significativa, ma, se dovessero farlo, si tratta del tipo di inflazione che un banchiere centrale dovrebbe considerare come una variazione una tantum del livello dei prezzi, determinata dalle politiche fiscali, non indicativa di un equilibrio di fondo tra domanda e offerta, che la politica monetaria può affrontare».A settembre, lei ha affermato che il contrasto all’immigrazione clandestina, attuato dal presidente Donald Trump, avrebbe ridotto l’inflazione. Mi spiega per quale ragione?«Nella maggior parte dei mercati, l’aggiunta di un’altra persona all'economia aumenterà l’offerta e la domanda in misura pressoché simile, il che significa che la crescita demografica è neutrale rispetto a quello che potremmo definire un divario di produzione che alimenterebbe l’inflazione. Ora, ci sono alcuni mercati in cui questo non è vero. E il mercato immobiliare ne è l’esempio più lampante. L’offerta di alloggi è relativamente fissa nel breve periodo, si adegua solo lentamente. Se si aumenta bruscamente il numero di persone nell’economia ma non si riescono a fornire immediatamente nuove abitazioni a tutti, il prezzo degli alloggi ovviamente aumenterà. Dato che gli alloggi hanno il peso maggiore negli indici di inflazione, è logico che ciò determini un’inflazione significativa. Credo che lo abbiamo già visto negli anni precedenti. Ora, naturalmente, la chiusura delle frontiere ha rimosso questo fattore di inflazione. Quindi mi aspetto che l’inflazione legata agli alloggi diminuisca in modo significativo e rapido».
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