
Dopo l’ allarme sul pericolo Putin, ecco la prima obbligazione dedicata. Che gode di corsia preferenziale. E sarà seguita da molte altre. Vertice di maggioranza sull’Ucraina: niente soldati, ma l’Italia insiste sulle inutili sanzioni.Lo speciale contiene due articoli.Cosa fai se il tuo debito pubblico cresce di 12 milioni ogni ora (parola del premier Bayrou), il deficit di bilancio è fuori controllo, siamo arrivati al 5,6% del Pil (il più alto dell’Eurozona), e il governo è appeso alla flebilissima speranza di ottenere un voto di fiducia? Semplice, ti butti anima e corpo nel settore destinato a trascinare l’economia europea per un bel po’ di tempo: la difesa. Che l’andazzo fosse questo, il presidente Macron, l’aveva capito già da un pezzo. E infatti Parigi è stata la più tenace sostenitrice del piano di riarmo dell’Ue (senza dimenticare l’accordo in sede Nato di aumentare la spesa militare al 5% del prodotto interno lordo) con tutti i suoi corollari. Da tempo, il ministro dell’Economia, Eric Lombard, parla della necessità di creare un nuovo fondo fino a 450 milioni di euro per permettere ai cittadini di investire «a lungo termine» nelle aziende della difesa e di puntare anche sulle risorse della previdenza per sostenere i progetti dei colossi transalpini del settore, a partire da Dassault Aviation per arrivare a Safran, Thales e Airbus, oltre a più di 4.500 piccole e medie imprese dell’indotto. Se questo è il trend, non meraviglia che la prima obbligazione finalizzata a sostenere il riarmo europeo, e di Parigi in particolare, sia stata emessa da una banca francese. La notizia è riportata da Bloomberg e nel leggere i dettagli si capisce anche perché il bond potrebbe essere il primo di una lunga serie. Groupe des Banques Populaires et des Caisses d’Epargne (Bpce), parliamo del terzo istituto transalpino che controlla anche la società d’investimento Natixis, ha emesso giovedì il primo bond europeo focalizzato sulle spese per la difesa. Si tratta di un obbligazione quinquennale da 750 milioni di euro che ha riscosso grande successo tra gli investitori: la domanda ha infatti raggiunto quota 2,8 miliardi. Il rendimento supera di poco il 3%, ma la vera particolarità sta sta nel fatto che i fondi verranno usati per finanziare o rifinanziare prestiti legati a equipaggiamenti e tecnologie per il riarmo e la sicurezza.Siamo davanti a un nuovo trend? Un indizio in questa direzione arriva dai numeri e dal successo del bond made in Francia che ha ricevuto richieste pari a quasi quattro volte l’offerta. Così come va ricordato che Euronext, tra le principali Borse europee (racchiude i listini di Amsterdam, Bruxelles, Parigi, Lisbona, Dublino, Oslo e Milano) con il cuore che batte in Francia, ha creato una corsia preferenziale per questa particolare struttura finanziaria. Già a luglio, infatti, aveva annunciato che avrebbe dato priorità alle richieste di quotazione per le obbligazioni del «riarmo». E ora è passato dalle parole ai fatti. Un po’ come era successo con i bond verdi che dovevano invece servire a fornire risorse per i progetti del Green deal e per risolvere l’emergenza climatica. Adesso che il Green deal è caduto in disgrazia c’è una nuova emergenza che è quella bellica, con il pericolo russo spesso enfatizzato dalle cancellerie europee. E di nuovo la finanza va a rimorchio. Insomma, lo schema è collaudato: si «alimenta» l’allarme, il decisore detta le regole, transizione energetica o piano di riarmo, per correre ai ripari, e poi arrivano gli strumenti finanziari a sostegno. Con la spinta ancora una volta di Parigi e Berlino che sulla carta e non solo sulla carta, erano e sono i principali beneficiari dei piani di Bruxelles. Con una differenza di non poco conto. Quando è stato partorito il Green deal, Francia e Germania erano ancora i dominus quasi incontrastati della politica e dell’economia del Vecchio continente. Oggi, Parigi e Berlino vivono una crisi finanziaria e di governo senza precedenti. E quindi avranno ancor più bisogno del sostegno delle banche per portare avanti i progetti di economica da guerra. «Penso che in futuro», spiega a Bloomberg Maureen Schuller, responsabile della strategia del settore finanziario presso Ing, «assisteremo a un aumento di questo tipo di emissioni, con le banche che interverranno per sostenere il finanziamento delle ambizioni europee in materia di difesa». E del resto, la stessa Banques Populaires et des Caisses d’Epargne (Bpce), come emerge da una recente presentazione, ha aumentato di due volte e mezzo i finanziamenti all’industria della difesa e di oltre sette volte i prestiti legati all’esportazione di prodotti francesi per il riarmo. Tanta «roba» per un economia che sta vivendo una pericolosissima fase involutiva. E del resto, la crisi francese rappresenta l’emergenza nella nuova emergenza europea del riarmo. Un motivo in più per tenere gli occhi aperti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bond-europa-guerra-2673939687.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="no-alle-truppe-italiane-si-agli-sminatori" data-post-id="2673939687" data-published-at="1756442242" data-use-pagination="False"> No alle truppe italiane, sì agli sminatori Palazzo Chigi dopo la brevissima pausa estiva riapre le sue porte ai giornalisti e lo fa per una conferenza stampa a margine di una riunione convocata dal Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per un punto sul possibile percorso negoziale per la pace in Ucraina a seguito dei recenti colloqui alla Casa Bianca.All’incontro hanno preso parte il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, e il ministro della Difesa Guido Crosetto. Si è discusso delle opportunità di dialogo verso una pace giusta, che si sono aperte nelle ultime settimane. «Si tratta di un percorso la cui chiave di volta è costituita da robuste e credibili garanzie di sicurezza per l’Ucraina, da elaborare insieme agli Stati Uniti e ai partner europei e occidentali. L’Italia sta fornendo un contributo alla loro definizione con la proposta di un meccanismo difensivo di sicurezza collettiva ispirato all’articolo 5 del Trattato di Washington». Fa sapere Palazzo Chigi che ribadisce: «Non è prevista alcuna partecipazione italiana a un’eventuale forza multinazionale da impegnare in territorio ucraino, mentre sono al vaglio ipotesi di monitoraggio e formazione al di fuori dei confini ucraini solo una volta raggiunta la cessazione delle ostilità».La nota si riferisce allo sminamento annunciato dallo stesso Tajani nei giorni scorsi «un’operazione umanitaria» precisa il vicepremier nella conferenza post vertice che ha presidiato in solitudine. Ad ogni modo «non è stata presa alcuna decisione, abbiamo dato disponibilità. Lo abbiamo sempre detto da quando è iniziata la guerra in Ucraina che abbiamo una tecnologia sia privata che militare per lo sminamento. Non ha nulla a che vedere con la presenza militare sul terreno. È un altro capitolo», ha rimarcato il ministro degli Esteri, ricordando che «noi abbiamo una serie di imprese, anche civili, che hanno un livello di alta qualità di sminamento sia in mare che a terra». Ma ci sono altre ipotesi al vaglio dell’esecutivo. Si tratta di «monitoraggio e formazione al di fuori dei confini ucraini» ma «solo una volta raggiunta la cessazione delle ostilità», precisa Palazzo Chigi.Tajani davanti ai giornalisti ha commentato anche gli attacchi russi di ieri ai danni di Kiev.«L’Europa ha reagito molto fermamente oggi all’attacco a Kiev che peraltro ha colpito anche il palazzo della delegazione europea. È assolutamente inaccettabile quello che sta facendo la Russia in questo momento, che non sta attaccando le forze armate ucraine, sta attaccando la popolazione civile. Quindi valuteremo», sabato in sede di consiglio informale a Copenaghen, «se ci sarà la possibilità di infliggere nuove sanzioni alla Russia». Secondo la sua opinione «bisogna infliggere sanzioni di tipo finanziario alla Russia, perché il tema è proprio quello, il finanziamento all’esercito russo». Infine: «Noi non siamo contrari e vedremo le proposte fatte, è un consiglio informale quindi semmai se ne comincerà a parlare, ma non saranno prese decisioni». Mentre il premier Giorgia Meloni ha evidenziato: «Gli intensi attacchi di questa notte su Kiev dimostrano chi sta dalla parte della pace e chi non ha intenzione di credere nel percorso negoziale». Sempre nella sala stampa di Chigi, Tajani ha ufficializzato una serie di nomine diplomatiche di rilievo, tra cui quella di Stefano Beltrame come nuovo ambasciatore d’Italia a Mosca.Oltre a Beltrame, è stato nominato il nuovo rappresentante permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite, l’attuale ambasciatore in Turchia, Giorgio Marrapodi. Contestualmente, l’attuale ambasciatore a Mosca, il ministro plenipotenziario Cecilia Piccioni, assumerà il ruolo di direttore politico.Il cdm del mattino ha poi approvato in esame definitivo, un regolamento, da adottarsi con decreto del Presidente della Repubblica, che introduce modifiche al regolamento di organizzazione degli uffici della Farnesina. Il ministero degli Esteri diventerà «bicapite, con una testa politica e una testa economica, capace di rispondere a quanto sta accadendo nel mondo per quanto riguarda il commercio internazionale, che rappresenta più del 30% del Pil, e visto che c’è una strategia del governo per rafforzare il nostro export nel mondo, fino ad arrivare a 700 miliardi di euro nel 2027», spiega Tajani. La riforma entrerà in vigore dal gennaio 2026 e sarà a costo zero. Tuttavia «i motori sono operativi da tempo e la task force dazi, la task force Russia continuano a lavorare».Ci saranno oltre al ministro e al Segretario generale, «un segretario generale aggiunto che coordinerà la parte politica del ministero, e un altro segretario aggiunto, che si occuperà di tutta la parte economica». Prevista anche la creazione di una direzione generale della crescita, che fungerà da punto di riferimento per tutte le imprese, divisa per settori». Inoltre ci sarà «una direzione generale che si occuperà della sicurezza e dell’intelligenza artificiale». Infine è prevista la creazione di «un’unità dedicata alla semplificazione amministrativa, per permettere al ministero di ridurre i passaggi burocratici e rendere i servizi più efficienti», ha proseguito il ministro, facendo l’esempio del «potenziamento dei servizi della rete consolare».
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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