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2023-09-24
Umberto Boccioni prima del futurismo. Una grande mostra alla Fondazione Magnani-Rocca
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Quando si parla di Umberto Boccioni (1882-1916) , il collegamento con il Futurismo è immediato. O quasi. E subito si pensa a quello scatto famoso che immortala cinque uomini eleganti, con tanto di bombetta, che guardano dritti dritti l’obiettivo: i cinque uomini si chiamano Filippo Tommaso Marinetti (al centro), Luigi Russo, Carlò Carrà, Gino Severini e Umberto Boccioni e sono gli artisti italiani presenti all’inaugurazione della prima mostra futurista, organizzata a Parigi nel 1912.
Ma se è giusto e sacrosanto collocare Boccioni fra gli esponenti di spicco di questo movimento artistico d’avanguardia, in totale rottura con gli accademismi e le « pedanterie » del passato, è altrettanto vero che Boccioni non nasce futurista, ma, nella sua breve vita - lunga solo 33 anni – passa anche da altre esperienze artistiche: illustratore per «necessità» (come molti altri artisti suoi contemporanei), le sue opere - soprattutto quelle giovanili – partono dal naturalismo, mostrano chiare influenze impressioniste, post impressioniste e divisioniste, sino a quando è il colore a prendere il posto della rappresentazione figurativa e diventare forza espressiva. La «discesa» di Boccioni verso il futurismo è stata quindi lenta e graduale ed anche all’interno del movimento, Boccioni ha sempre conservato dei tratti e delle caratteristiche proprie: per esempio, a differenza dei suoi «colleghi », è stato quello meno interessato al motivo dell’auto e della velocità ed il più attento al tema di un canto universale ,capace di trasfigurare ed innalzare la realtà a valori più alti e sublimi. La mostra allestita alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Tarversetolo, racconta tutto questo. A partire dal titolo: Boccioni. Prima del Futurismo.
La mostra
Articolata in 3 grandi sezioni, ognuna dedicata alle città che hanno rivestito un ruolo particolarmente importante nella vita e nella formazione dell’artista - Roma, Venezia e Milano - l’esposizione (curata da Virginia Baradel, Niccolò D’Agati, Francesco Parisi, Stefano Roffi ) offre al visitatore un ampio corpus di opere di Boccioni, messe in relazione, sala dopo sala, ai lavori di altri grandi artisti, che ne influenzarono, alcuni più di altri, vita e arte: Giacomo Balla innanzitutto, ma anche Giovanni Segantini, Gino Severini, Roberto Basilici, Gaetano Previati, Mario Sironi, Carlo Carrà e Giovanni Sottocornola.
Particolarmente interessante , proprio perché rivela un aspetto di Boccioni poco conosciuto, direi quasi inedito, è la parte dedicata ai lavori a tempera (realizzati per fini commerciali) e alle illustrazioni, indici di una sperimentazione che va dalle primissime prove romane sino agli esiti più compiuti e artisticamente complessi degli anni milanesi.
Ad emergere, in modo particolare nella parte veneziana, anche il feeling di Boccioni per i simbolisti della Venezia gotica e misteriosa. E non poteva essere altrimenti, visto che, pur essendo un grande amante della città lagunare (luogo in cui, insieme alla vicina Padova, aveva trascorso parte dell’infanzia e dell’adolescenza), non ne amava né gli ori né gli sfarzi. E, di conseguenza, gli eccessi artistici di molti pittori della Serenissima.
Una sezione fondamentale quella dedicata a Venezia, che permette al visitatore di comprendere appieno le inclinazioni e le predilezioni estetiche di Boccioni, artista che deplorava verismo e sentimentalismo in nome di un’arte che recasse «un’impronta nobilissima di aspirazione a una bellezza ideale», come scrisse lui stesso commentando (alla Biennale di Venezia del 1907) la Sala dell'arte del Sogno. A riguardare il periodo veneziano anche un focus sull’attività incisoria di Boccioni, iniziata appunto a Venezia (sotto la guida dell’artista di origine greche Alessandro Zezzos) e proseguita poi a Milano: ed è proprio in occasione di questa mostra che vengono presentate - per la prima volta - alcune lastre metalliche incise da Boccioni e recentemente ritrovate.
Se Roma e Venezia, come abbiamo visto, sono state tappe cruciali per la maturazione artistica di Boccioni, è a Milano che diventa più evidente la svolta verso una più articolata e complessa frangia sperimentale, che da naturalismo iniziale, passando per l’Impressionismo e il Divisionismo (è nel capoluogo lombardo che entrò in contatto con i maggiori esponenti del divisionismo locale, da Lomgoni a Previati), lo condusse al Futurismo. In questa sezione, esposti capolavori particolarmente significativi, quelli in cui è più evidente – soprattutto nell’uso della luce, del trattoe del colore - il graduale cambio di rotta di questo grande artista. Emblematici, in questo senso, il Ritratto dell’Avvocato Carlo Manna (1907), Autoritratto (1908) e lo splendido Ritratto di Fiammetta Sarfatti (1911).
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Nella suggestiva cornice della Fondazione Magnani Rocca di Traversetolo, Parma, una mostra racconta (sino al 10 dicembre 2023) la vita e la formazione artistica di Umberto Boccioni prima del Futurismo. In un percorso «geografico» che si snoda attraverso Roma, Venezia e Milano, esposte quasi 200 opere, tra cui spiccano alcuni capolavori assoluti dell’artista, come il famoso Autoritratto del 1908 in prestito dalla Pinacoteca di Brera.Quando si parla di Umberto Boccioni (1882-1916) , il collegamento con il Futurismo è immediato. O quasi. E subito si pensa a quello scatto famoso che immortala cinque uomini eleganti, con tanto di bombetta, che guardano dritti dritti l’obiettivo: i cinque uomini si chiamano Filippo Tommaso Marinetti (al centro), Luigi Russo, Carlò Carrà, Gino Severini e Umberto Boccioni e sono gli artisti italiani presenti all’inaugurazione della prima mostra futurista, organizzata a Parigi nel 1912. Ma se è giusto e sacrosanto collocare Boccioni fra gli esponenti di spicco di questo movimento artistico d’avanguardia, in totale rottura con gli accademismi e le « pedanterie » del passato, è altrettanto vero che Boccioni non nasce futurista, ma, nella sua breve vita - lunga solo 33 anni – passa anche da altre esperienze artistiche: illustratore per «necessità» (come molti altri artisti suoi contemporanei), le sue opere - soprattutto quelle giovanili – partono dal naturalismo, mostrano chiare influenze impressioniste, post impressioniste e divisioniste, sino a quando è il colore a prendere il posto della rappresentazione figurativa e diventare forza espressiva. La «discesa» di Boccioni verso il futurismo è stata quindi lenta e graduale ed anche all’interno del movimento, Boccioni ha sempre conservato dei tratti e delle caratteristiche proprie: per esempio, a differenza dei suoi «colleghi », è stato quello meno interessato al motivo dell’auto e della velocità ed il più attento al tema di un canto universale ,capace di trasfigurare ed innalzare la realtà a valori più alti e sublimi. La mostra allestita alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Tarversetolo, racconta tutto questo. A partire dal titolo: Boccioni. Prima del Futurismo. La mostraArticolata in 3 grandi sezioni, ognuna dedicata alle città che hanno rivestito un ruolo particolarmente importante nella vita e nella formazione dell’artista - Roma, Venezia e Milano - l’esposizione (curata da Virginia Baradel, Niccolò D’Agati, Francesco Parisi, Stefano Roffi ) offre al visitatore un ampio corpus di opere di Boccioni, messe in relazione, sala dopo sala, ai lavori di altri grandi artisti, che ne influenzarono, alcuni più di altri, vita e arte: Giacomo Balla innanzitutto, ma anche Giovanni Segantini, Gino Severini, Roberto Basilici, Gaetano Previati, Mario Sironi, Carlo Carrà e Giovanni Sottocornola.Particolarmente interessante , proprio perché rivela un aspetto di Boccioni poco conosciuto, direi quasi inedito, è la parte dedicata ai lavori a tempera (realizzati per fini commerciali) e alle illustrazioni, indici di una sperimentazione che va dalle primissime prove romane sino agli esiti più compiuti e artisticamente complessi degli anni milanesi.Ad emergere, in modo particolare nella parte veneziana, anche il feeling di Boccioni per i simbolisti della Venezia gotica e misteriosa. E non poteva essere altrimenti, visto che, pur essendo un grande amante della città lagunare (luogo in cui, insieme alla vicina Padova, aveva trascorso parte dell’infanzia e dell’adolescenza), non ne amava né gli ori né gli sfarzi. E, di conseguenza, gli eccessi artistici di molti pittori della Serenissima. Una sezione fondamentale quella dedicata a Venezia, che permette al visitatore di comprendere appieno le inclinazioni e le predilezioni estetiche di Boccioni, artista che deplorava verismo e sentimentalismo in nome di un’arte che recasse «un’impronta nobilissima di aspirazione a una bellezza ideale», come scrisse lui stesso commentando (alla Biennale di Venezia del 1907) la Sala dell'arte del Sogno. A riguardare il periodo veneziano anche un focus sull’attività incisoria di Boccioni, iniziata appunto a Venezia (sotto la guida dell’artista di origine greche Alessandro Zezzos) e proseguita poi a Milano: ed è proprio in occasione di questa mostra che vengono presentate - per la prima volta - alcune lastre metalliche incise da Boccioni e recentemente ritrovate.Se Roma e Venezia, come abbiamo visto, sono state tappe cruciali per la maturazione artistica di Boccioni, è a Milano che diventa più evidente la svolta verso una più articolata e complessa frangia sperimentale, che da naturalismo iniziale, passando per l’Impressionismo e il Divisionismo (è nel capoluogo lombardo che entrò in contatto con i maggiori esponenti del divisionismo locale, da Lomgoni a Previati), lo condusse al Futurismo. In questa sezione, esposti capolavori particolarmente significativi, quelli in cui è più evidente – soprattutto nell’uso della luce, del trattoe del colore - il graduale cambio di rotta di questo grande artista. Emblematici, in questo senso, il Ritratto dell’Avvocato Carlo Manna (1907), Autoritratto (1908) e lo splendido Ritratto di Fiammetta Sarfatti (1911).
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
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