
Un tentativo di irruzione in una fattoria a Maaloula ha fatto allontanare 80 famiglie. Ci sono 80 famiglie cristiane su 325 in fuga. È la sintesi di quello che, in Siria, sta succedendo in questi giorni a Maaloula, la storica città cristiana che si trova a 50 km a nord di Damasco e che nel 2013 - per nove mesi, subendo forti devastazioni - finì nelle mani dei jihadisti dell’allora Jabhat al Nusra, oggi Hay’at Tahrir al-Sham, (Hts), la stessa milizia di opposizione che ha preso in mano il Paese costringendo alla fuga Bashar Al Assad. Undici anni dopo la comunità cristiana locale sembra rivivere lo stesso incubo, con in sostanza un quarto di essa che ha deciso di andarsene. A determinare quest’esilio - numericamente forse contenuto, ma simbolicamente molto pesante, visto che si tratta di uno dei pochi villaggi al mondo dove il 90% degli abitanti è battezzato e soprattutto dove ancora si parla la lingua di Gesù Cristo, l’aramaico - è il degenerare della situazione, con crescenti pressioni e minacce ai danni dell’incolumità e delle proprietà dei cristiani. Fonti della chiesa hanno reso noto che già quattro abitazioni sarebbero state sequestrate ai cristiani, che sarebbero pure stati disarmati; di qui la decisione delle 80 famiglie poc’anzi citate di andarsene.Quello che sta accadendo in questi giorni a Maaloula, naturalmente, non è casuale e non riguarda neppure in modo diretto il nuovo leader della Siria Ahmad al-Sharaa; al contrario, affonda le sue radici nelle tensioni che nella comunità locale si sono accese circa dieci anni fa, quando, da una parte, il regime di Assad liberò il villaggio e, dall’altra parte, ad alcuni musulmani - ritenuti responsabili d’aver dato manforte agli islamisti, durante l’occupazione durata da settembre 2013 a maggio 2014 - fu impedito di farvi ritorno. A far precipitare la situazione in questi giorni, fino ad indurre alla fuga molte decine di famiglie, come si diceva poc’anzi, sono stati alcuni episodi, per lo più scontri individuali presto trasformatisi in un conflitto tra musulmani e cristiani. La goccia che di più di altre ha fatto traboccare il vaso è l’episodio avvenuto la mattina del 26 dicembre, quando tale Abdel Salam Diab ha tentato, insieme al figlio Sarkis, d’irrompere in una fattoria di proprietà di un cristiano, Ghassan Zakhem con l’obiettivo di rubare; ne è scaturito uno scontro armato culminato con l’uccisione di Abdel Salam. Un incidente, per quanto grave, che sarebbe passato in sordina, se non fosse stato subito presentato come prova d’un conflitto religioso, coi cristiani descritti come aggressori che odiano i musulmani; a poco se non a nulla è dunque servito il fatto che Ghassan Zakhem, dopo la morte di Abdel Salam Diab, si sia consegnato a padre Fadi Barakil, il quale lo ha sua volta consegnato alle autorità competenti di Damasco per evitare che la situazione peggiorasse. Va tuttavia anche detto che, anche prima di questo episodio, a Maaloula le tensioni non mancavano, nel senso che già i cristiani della città risultavano colpiti - oltre che dalla confisca dei loro terreni agricoli - da numerose minacce di morte e richieste di sgombero dalle loro case; per esempio, proprietà della famiglia di tale Bashar Shaheen sono state sequestrate delle autorità nonostante perfino alcuni musulmani abbiano cercato di difenderle. Un prete non è poi per poco morto in una sparatoria mentre distribuiva i doni di Natale e altri cristiani si sono beccati insulti e sputi. Di qui l’appello delle autorità ecclesiastiche locali ad Hayat Tahrir al Sham affinché riporti stabilità nella cittadina; sempre che voglia farlo.
Mattia Furlani (Ansa)
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