2024-01-06
Blinken prova a sedare il caos mediorientale
Il segretario di Stato americano Antony Blinken (Ansa)
Il segretario statunitense in tour nella regione per trovare l’accordo su ostaggi, aiuti a Gaza ed evitare l’espandersi del conflitto, dopo la ricomparsa di Daesh. Il futuro dei palestinesi spacca il gabinetto di Benjamin Netanyahu. Gli Usa contrari al trasferimento forzato.Hassan Nasrallah torna a parlare: «Combattiamo per allentare la pressione sulla Striscia».Lo speciale contiene due articoli.«Saranno i palestinesi a governare la Striscia di Gaza, non gli israeliani», ha detto ieri ai giornalisti il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant poco prima dell’inizio della riunione del gabinetto di guerra che, secondo alcune indiscrezioni, si è svolto in un clima pesantissimo con alcuni membri che hanno lasciato in anticipo la riunione. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha incaricato Gallant di formulare una soluzione politica per il post-conflitto che, dopo alcune settimane di studio ha presentato al gabinetto il piano denominato «quattro angoli». Secondo questo piano, la Striscia di Gaza rimarrebbe sotto il controllo palestinese, non più sotto Hamas, ma non è chiaro se l’Autorità nazionale palestinese assumerà un nuovo ruolo politico-amministrativo, data la sua debolezza, corruzione e le critiche palestinesi, oppure se verrà creato un nuovo organismo nei prossimi mesi. Gallant ha affermato che «saranno gli organismi palestinesi ad essere responsabili, a condizione che non vi siano azioni ostili o minacce contro Israele». La sicurezza, invece, resterebbe sotto il controllo di Israele. La proposta è stata resa pubblica il 4 gennaio, ma al momento non ha ricevuto pareri espliciti dagli Stati arabi. Tuttavia, è probabile che l’idea di affidare la gestione della sicurezza a Israele non sarà accettata dai palestinesi. Recentemente è stata respinta un’altra proposta a tre fasi formulata dall’Egitto, mentre si attende il piano che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan starebbe elaborando. Il piano di Gallant non ha ottenuto il sostegno unanime dei ministri, come Ben Gvir e Smotrich, posizionati più a destra, che propongono la deportazione dei palestinesi in altri paesi (ad esempio il Congo), e la ricostruzione di Gaza con nuovi insediamenti per i coloni. Questa proposta è stata respinta dalle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti e dai paesi arabi. La riunione del gabinetto di guerra si è svolta dopo le rivelazioni del programma televisivo Uvdà (Il fatto) condotto da Ilana Dayan su Canale 12, che ha mostrato un documento classificato di 27 pagine che prova come un anno prima del 7 ottobre l’intelligence militare israeliana aveva tutte le informazioni circa i piani di Hamas per un attacco imponente da Gaza. Durante la riunione diversi ministri del Likud e altri legati ai partiti di estrema destra hanno criticato aspramente il capo di stato maggiore, Herzi Halevi, che ha disposto un’indagine interna sulle inspiegabili falle nella sicurezza del 7 ottobre. Halevi è stato accusato di «mancanza di focalizzazione sulla guerra e di scarsa professionalità», considerando il momento delicato in cui il conflitto vede coinvolti altri attori oltre ad Hamas, vedi gli Hezbollah che anche ieri hanno lanciato missili contro Israele, gli Houthi, il prepotente ritorno sulla scena dell’Isis con l’attacco in Iran, e le milizie pro-Iran dell’Iraq che dallo scorso 7 ottobre hanno attaccato 123 volte le basi Usa in territorio iracheno. Ieri la Resistenza islamica in Iraq, coalizione di milizie sciite filoiraniane, ha effettuato attacchi con dei droni contro le due basi militari statunitensi di al-Rukban, nel sud, e di Al Omar, nel nord della Siria. In un comunicato, la Resistenza islamica ha affermato: «Prendere di mira entrambe le basi è stata la risposta ai massacri israeliani contro i residenti della Striscia di Gaza». A proposito dell’Isis: ieri il «Servizio di deterrenza per la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata» della Libia ha reso noto l’arresto a Tripoli di Hashim Bousidra, noto come «Khabib», considerato il leader dell’Isis in Libia. Il già incandescente clima in Iraq è peggiorato dopo che giovedì scorso un drone americano a Baghdad ha incenerito Moshtaq Talib al-Saadi e un suo collaboratore mentre viaggiavano in un veicolo nella parte orientale di Baghdad. L’uccisione mirata del leader di una milizia sostenuta dall’Iran rappresenta il primo caso da parte dell’amministrazione Biden. Al-Saadi, noto anche come Moshtaq Jawad Kazim al-Jawari, era un membro di Harakat al-Nujaba, un gruppo iracheno sostenuto dall’Iran che gli Stati Uniti ritengono responsabile negli attacchi alle forze americane in Iraq e Siria e che è designato come organizzazione terroristica. «Al-Saadi aveva sangue americano sulle sue mani», ha detto un funzionario americano. Per il Wall Street Journal «questo evento segna un tentativo più aggressivo di fermare gli attacchi in corso contro le forze statunitensi nella regione». Il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller ha risposto alle preoccupazioni che l’omicidio possa acuire le tensioni nella regione: «Naturalmente, vogliamo evitare che il conflitto si estenda ma parte di questo implica che le persone devono smettere di attaccare i nostri soldati, e se attaccano i nostri soldati, faremo ciò di cui abbiamo bisogno per proteggerci, come farebbe qualsiasi paese». Nel contesto di questi sviluppi con la variante Isis che è imprevedibile, il Segretario di Stato statunitense Antony Blinken sta tornando nella regione per la quarta volta dal 7 ottobre. La sua visita include tappe in cinque paesi arabi: Egitto, Giordania, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati, Israele, Cisgiordania, nonché Grecia e Turchia, dove è arrivato ieri. Gli obiettivi sono ambiziosi: trovare l’accordo per una tregua con conseguente liberazione degli ostaggi, l’aumento degli aiuti umanitari a Gaza, così come ci si aspetta che Blinken ribadisca a Netanyahu la ferma opposizione degli Stati Uniti a qualsiasi proposta di trasferimento forzato dei palestinesi da Gaza verso paesi terzi al fine di creare nuove colonie.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/blinken-prova-sedare-caos-mediorientale-2666882569.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="hezbollah-risponderemo-al-nemico-lisis-e-uno-strumento-americano" data-post-id="2666882569" data-published-at="1704492423" data-use-pagination="False"> Hezbollah: «Risponderemo al nemico. L’Isis è uno strumento americano» Come annunciato mercoledì scorso, il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è tornato a parlare in un discorso trasmesso in diretta tv da una località segreta: «Non rimarremo in silenzio, risponderemo all’attacco israeliano su Beirut», ha detto ieri il leader sciita, riferendosi al raid in Libano del 2 gennaio in cui è stato ucciso Saleh al-Arouri, esponente di spicco di Hamas e fondatore del braccio armato, le Brigate Ezzedin al-Qassam. «Sarebbe più pericoloso rimanere in silenzio che affrontare le ripercussioni di una nostra risposta. Sarà il campo di battaglia a parlare. E il terreno di battaglia non può aspettare», ha continuato Nasrallah, «A chi ci chiede perché stiamo combattendo siamo tenuti a rispondere. Gli obiettivi sono due: esercitare pressione sul nemico e sul suo governo affinché cessi l’aggressione contro Gaza e allentare la pressione sulla resistenza a Gaza». Infatti, per il leader libanese, il mancato intervento della milizia si tradurrebbe in una ulteriore espansione dello Stato ebraico: «Se Israele sconfigge Gaza, il Libano del Sud sarà il prossimo. La battaglia di oggi non riguarda solo la Palestina». La guida del «Partito di Dio» ha commentato nuovamente l’attentato del 3 gennaio scorso a Kerman, in Iran, nel quale sono morte decine di persone che stavano commemorando la morte del generale iraniano Qasem Soleimani, ucciso nel 2020 a Baghdad dagli Stati Uniti. La strage di mercoledì è stata rivendicata dall’Isis, «usato dagli Stati Uniti come loro strumento», secondo Nasrallah. Il quale accusa Israele anche di mentire sulle perdite militari: «Il nemico non ammette le perdite e i feriti tra le sue fila. Questo fa parte della sua strategia. Le cifre che fornisce non sono esatte», rivendicando che «Dall’8 ottobre abbiamo compiuto centinaia di operazioni contro postazioni militari israeliane, colpendo veicoli blindati e carriarmati. Per la prima volta nella storia della guerra con Israele, è il nemico che è costretto a creare una zona di sicurezza all’interno del suo territorio e non in territorio libanese. Come è possibile che non abbiano soldati feriti o uccisi? Perché Israele si è trincerata dietro a un assoluto silenzio mediatico». Tornando al raid del 2 gennaio nella periferia di Beirut, ieri il Libano ha presentato una denuncia formale al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La denuncia, depositata su istruzione del ministro degli Esteri libanese Abdallah Bou Habib, definisce l’attacco, «l’escalation più pericolosa dal 2006», sottolineando che «ha preso di mira specificamente una zona residenziale densamente popolata» e costituisce quindi «una chiara violazione della sovranità del Libano, dell’integrità territoriale e della sicurezza della popolazione civile e dell’aviazione».
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Iil presidente di Confindustria Emanuele Orsini (Ansa)