2025-06-10
Blackout, il telefono inchioda il fotovoltaico
Un quotidiano spagnolo pubblica le conversazioni intercorse tra il gestore della rete nazionale e gli operatori, che chiedevano lumi sulle sovratensioni del sistema elettrico. Sono state provocate dal ricorso alle rinnovabili che ha innescato oscillazioni anomale.Si alza la tensione, è il caso di dire, sul blackout spagnolo del 28 aprile scorso. A 43 giorni dall’evento non c’è ancora una spiegazione ufficiale di quanto è successo, con il governo di Madrid che, a tutta prima, aveva parlato di un attacco hacker e poi aveva negato che il problema fosse legato all’energia nucleare e alle rinnovabili. Dalle pieghe delle inchieste in corso spuntano, però, le registrazioni delle telefonate intercorse tra la sala controllo del gestore della rete nazionale Red Eléctrica (Ree) e alcuni operatori delle reti locali di distribuzione.Il quotidiano online El Debate ha riportato in esclusiva alcuni brani di conversazioni registrate che fanno parte del materiale consegnato da Ree alle autorità. Vi sono almeno tre inchieste in corso: una del governo spagnolo, una della commissione nazionale per i Mercati e la concorrenza (Cnmc) e una dell’organo europeo che riunisce i gestori di reti elettriche, Entso-E. La testata ha pubblicato stralci di conversazioni che gettano nuova luce su quanto accaduto. Il contenuto delle telefonate è clamoroso. Già diversi giorni prima del blackout vi erano state delle sovratensioni nel sistema elettrico spagnolo e, alla domanda di spiegazioni, Ree aveva risposto che «c’era poca o nessuna energia nucleare nel sistema», il che significa che era stato lasciato molto spazio alla produzione fotovoltaica rendendo il sistema privo dell’inerzia sufficiente a gestire le oscillazioni di frequenza. Il giorno stesso del blackout, ancora un operatore della rete di distribuzione locale chiamava Ree per chiedere conto delle oscillazioni anomale: «Sì, è l’energia solare, che va e viene a causa dei prezzi e problemi di adeguamento», è stata la risposta di Ree. Le trascrizioni pubblicate riguardano sia il giorno del blackout, il 28 aprile, sia un giorno precedente.Nella conversazione tra un capoturno di un’azienda di distribuzione di energia e Ree, avvenuta il 16 aprile alle 11.14, il capoturno afferma: «Buongiorno, chiamo per chiedere se questo problema riguarda tutta la rete. Abbiamo appena avuto un’impennata di tensione, è salita alle stelle e abbiamo dovuto regolare praticamente tutte le sottostazioni. Non so se sia successo qualcosa o se ci sia sembrato un po’ strano, non lo so…» Al che l’operatore di Ree risponde: «Beh, il fatto è che nel sistema è praticamente assente l’energia nucleare. Quindi ovviamente è che qualsiasi...». «Tutto è molto instabile», dice il capoturno. E ReeE risponde: «È molto instabile, sì, sì, sì. È già successo ieri pomeriggio e ogni volta pensi che succederà... Voglio dire... Dai, non è un caso isolato, capisci?» Nella telefonata del 28 aprile alle 11.47, quaranta minuti prima del blackout, un altro capoturno della distribuzione (o forse il medesimo, non è chiaro) telefona a Ree: «Cosa sta succedendo, e sa qualcosa della tensione? Perché le dico che sta succedendo... ma è una fluttuazione, non è una cosa che dura un’ora; ci è successo cinque o sei volte in un’ora».Ree risponde: «Sì, niente, sì, è solo che... succede la stessa cosa a noi, andiamo con le reattanze verso l’interno, verso l’esterno, verso l’interno, verso l’esterno...». Portavoce dell’operatore: «Ma... si sa il motivo? È un problema di generazione? O...». Ree: «Sì, è l’energia solare, che va e viene a causa dei prezzi e... problemi di adeguamento e...». Portavoce dell’operatore: «Okay, okay, no, stavo per ricominciare a regolare, ma vedo che hai fatto una manovra, ovvero hai abbassato di nuovo la tensione». Ree: «Certo, ed è proprio questo il problema...». Il contenuto delle trascrizioni non è stato smentito e El Debate ne garantisce l’autenticità. Secondo un articolo del 6 giugno del quotidiano spagnolo ABC, il governo del socialista Pedro Sánchez temeva che le registrazioni audio potessero trapelare e avrebbe nominato persone vicine al governo nelle varie commissioni di inchiesta.Se confermate, le trascrizioni dimostrerebbero che il blackout è arrivato dopo una serie di anomalie nello stesso giorno, notate dagli operatori (alle 10.31, alle 10.48, alle 11.08, alle 11.48, alle 12.02, alle 12.19, alle 12.29 e alle 12.33). Dimostrerebbero, soprattutto, che Ree sapeva che la riduzione ai minimi termini della generazione sincrona (a gas, carbone e nucleare) per lasciare spazio al fotovoltaico generava instabilità nel sistema. Una instabilità notata sia dai produttori sia dai distributori di energia elettrica e che viene ribadita da Ree nella seconda telefonata: «È l’energia solare che va e viene a causa dei prezzi e problemi di adeguamento». La grande massa di produzione fotovoltaica non appariva gestibile poiché mancavano adeguati sistemi di regolazione della frequenza. Il punto in questione è, dunque, se il sistema elettrico sia stato spinto oltre il limite di sicurezza pur di fare posto alle energie rinnovabili.Al momento del blackout in Spagna vi era oltre il 70% di potenza da rinnovabili in rete, con pochissima generazione sincrona, quella in grado di assorbire le oscillazioni della frequenza grazie all’inerzia dei sistemi rotanti. Dopo il blackout, invece, e ancora fino a ieri, il mix di produzione che Ree utilizza vede drastici tagli alla produzione fotovoltaica e un costante, robusto apporto di generazione a gas e nucleare per mantenere stabile il sistema. I costi del sistema elettrico spagnolo sono aumentati del 59,4% a maggio rispetto ad aprile a causa delle misure adottate da Ree dopo il disastro. Il che evidenzia che la sicurezza del sistema ha un costo e che nasconderlo porta ai blackout.Intanto, le aziende del settore energetico spagnolo stanno analizzando se il caos ferroviario accaduto in Spagna il 22 aprile sia stato dovuto allo stesso problema che avrebbe innescato il blackout, cioè le sovratensioni. Quel giorno, un problema di alimentazione elettrica aveva fermato 31 treni e bloccato 10.000 persone nell’area di Madrid. Se fosse vero, sarebbe un nuovo colpo alla credibilità del governo, già compromessa su molti fronti.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
Continua a leggereRiduci
Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
Continua a leggereRiduci
Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
Continua a leggereRiduci