2023-01-14
La Camera Usa vuole vedere le carte segrete di Biden. E i dem gridano al complotto
Il presidente sfugge ancora alle domande sullo scandalo. Mentre la sua portavoce non dice se verranno resi noti i nomi di chi ha visitato l’abitazione al centro del caso.Nonostante gran parte della stampa abbia dato la notizia un po’ sottotono, è una burrasca degna del film di Otto Preminger, Tempesta su Washington, quella che sta investendo la Casa Bianca. Una burrasca scatenatasi dopo che, l’altro ieri, il procuratore generale degli Stati Uniti, Merrick Garland, aveva annunciato la nomina di Robert Hur a procuratore speciale, per indagare sui documenti classificati, risalenti all’amministrazione Obama, che erano stati rinvenuti in un vecchio ufficio di Joe Biden a Washington e nel garage della sua abitazione privata di Wilmington. È in questo quadro che ieri il presidente della commissione Sorveglianza della Camera, James Comer, ha chiesto alla Casa Bianca di consegnare «tutti i documenti classificati recuperati dagli assistenti o dagli avvocati di Biden in qualsiasi luogo». E sempre ieri, è stata avviata un’indagine del presidente della commissione Giustizia della Camera, Jim Jordan. Dall’altra parte, i dem stanno facendo quadrato attorno al presidente. In particolare, il deputato Hank Johnson - noto per aver paragonato Donald Trump ad Adolf Hitler nel 2019 - ha ipotizzato che gli incartamenti classificati potrebbero essere stati messi apposta nel garage dell’inquilino della Casa Bianca. Nel mezzo della battaglia politica, emerge intanto un aspetto significativo: l’opacità di un’amministrazione che nel 2021 aveva promesso il ripristino della trasparenza. Peccato che le cose non siano andate esattamente così. Biden ieri è tornato a ignorare le domande sui documenti classificati, mentre appare piuttosto istruttiva la timeline degli eventi, che hanno portato Garland a nominare un procuratore speciale. La scoperta della prima tranche degli incartamenti di Biden risale al 2 novembre scorso: i legali del presidente informarono quindi gli Archivi nazionali, che acquisirono il materiale il giorno successivo. Il 4 novembre gli Archivi informarono a loro volta il Dipartimento di Giustizia. Ricordiamo che l’8 novembre si sarebbero tenute le elezioni di metà mandato e che, se fosse uscita, questa notizia avrebbe probabilmente danneggiato i dem. Non a caso, vari giornalisti stanno pressando da giorni la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, per capire se la scoperta dei documenti sia stata tenuta segreta in considerazione di calcoli elettorali. Domande più che legittime, a cui la Jean-Pierre ha sempre risposto, trincerandosi dietro il fatto che ci fosse un processo di revisione degli incartamenti in corso. Il 14 novembre Garland incaricò il procuratore federale John Lausch di valutare se occorresse la nomina di un procuratore speciale per indagare sui documenti di Biden. Il 5 gennaio Lausch diede parere positivo, probabilmente anche in considerazione del fatto che il 20 dicembre erano stati rinvenuti ulteriori incartamenti nel garage di Wilmington. Solo il 9 gennaio la notizia che Biden aveva trattenuto documenti classificati iniziò a essere resa pubblica: insomma, non proprio il massimo della trasparenza. Tutto questo, mentre l’altro ieri è stata notificata la scoperta di un altro documento (rinvenuto sempre a Wilmington). Ma i nodi non si fermano qui. Nelle scorse ore, la Jean-Pierre si è infatti rifiutata di dire se la Casa Bianca renderà pubblici i registri con i nomi delle persone che Biden ha ricevuto nella sua casa di Wilmington in questi due anni di presidenza. Del resto, il tema non è nuovo. A ottobre, i repubblicani erano andati su tutte le furie, dopo che il servizio di sicurezza delle abitazioni private del presidente disse di non possedere alcun registro dei visitatori. Insomma, per Biden le cose non si stanno mettendo benissimo. E a dimostrarlo ci sono i precedenti storici. A finire sotto procuratore speciale fu Donald Trump nel 2017 con Robert Mueller (la cui indagine durò due anni e costò 32 milioni di dollari), oltre a Richard Nixon nel 1974 con Archibald Cox e Leon Jaworski. Una sorte simile toccò a Bill Clinton con Ken Starr, che era però un procuratore indipendente. La sostanza tuttavia cambia poco, visto che la differenza principale tra le due figure risiede nel fatto che il procuratore speciale viene nominato dal Dipartimento di Giustizia e quello indipendente da una corte. Come che sia, in tutti e tre i casi il procuratore di turno ha prodotto un rapporto, che è stato poi trasmesso alla Camera dei rappresentanti, la quale -a sua volta - ha preso in considerazione l’avvio di un processo di impeachment contro il presidente. Nel 1974, Nixon si dimise appena prima che il procedimento venisse avviato. Nel 1998, Clinton fu invece messo in stato d’accusa, mentre nel 2019 i deputati dem discussero l’eventualità di intentare un impeachment contro Trump sulla base del rapporto di Mueller: uno scenario che alla fine non si concretizzò (l’impeachment presidenziale di quell’anno si fondò infatti su una controversa telefonata tra lo stesso Trump e Volodymyr Zelensky, anziché sull’indagine del procuratore speciale). Insomma, con la nomina di Hur, le probabilità che Biden possa finire in stato d’accusa sono aumentate: un fattore che potrebbe pesare su una sua eventuale ricandidatura presidenziale. Certo: la mole di documenti trattenuti da Biden è più piccola di quella di Trump. Così come va ricordato che anche Trump, da novembre, è sotto la lente del procuratore speciale Jack Smith. Tuttavia il futuro del presidente si avvia verso un mare in tempesta. Al di là del rischio di impeachment, Biden è azzoppato dal cortocircuito sulla trasparenza. Senza poi dimenticare che proprio lui, a settembre, aveva accusato Trump di essere stato «totalmente irresponsabile» per essersi portato a casa dei documenti classificati. Una dichiarazione che, riletta oggi, suona paradossale. Per non dire ipocrita.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
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Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.