2025-06-24
Bezos a Venezia fa piangere i cattocomunisti
La sinistra protesta contro le nozze in Laguna del miliardario. Ma i progressisti, capeggiati dal rettore Montanari, ignorano che senza mecenati e super ricchi l’arte non sarebbe esistita. La stessa miopia che fa diventare «razzista» il cocktail Negroni.La sinistra quella dura e, forse, pura è invecchiata male e con sprezzo del ridicolo. Una ventina d’ anni fa Rifondazione comunista fece un manifesto: ritraeva un panfilo di lusso con scritto «anche i ricchi piangano». I compagni salutavano l’approdo al ministero delle Finanze, nel secondo governo Prodi, di Tommaso Padoa Schioppa che ebbe a dire «le tasse sono bellissime». Ieri un altro Tomaso, con una m di meno e non è particolare trascurabile, di cognome Montanari, il prototipo del cattocomunista, si è prodotto sul Fatto Quotidiano per accodarsi al coro dei detrattori di Jeff Bezos - il terzo uomo più ricco del mondo, sua è Amazon ovvero tutto ciò che è comprabile - che ha prenotato Venezia da giovedì a sabato prossimi per impalmare Lauren Sánchez. Il professor Montanari, rettore dell’Università per Stranieri di Siena, sostiene che «il sultano Bezos uccide Venezia, una città che bell’è morta schiava del dio denaro e di quel concetto di esclusività che vuol dire esclusione». Ieri Greenpeace ha steso uno striscione in piazza San Marco per denunciare che il «padrone» di Amazon protegge gli inquinatori e durante il flash mob a vantaggio di telecamere hanno gridato: «Se puoi affittare Venezia puoi pagare più tasse». Il riferimento è al fatto che con i soldi prelevati a Bezos si può avviare la transizione energetica. Inciso: a Venezia è attraccata la nave di Greenpeace che promuove la transizione energetica; l’Artic Sunrise è mossa da tre motori per circa 3.000 cavalli alimentati a nafta pesante! È più o meno la contraddizione in cui cade Montanari che dipinge mister Amazon - citando Tommaso, pure lui, Cacciari detto il nipote, il primo a sollevare l’antagonismo anti-Bezos - come il portatore di ogni male: ha distrutto il commercio, protegge gli inquinatori, appoggia Donald Trump, vende prodotti israeliani e dunque è uno sponsor del genocidio di Gaza, censura i giornalisti del suo Washington post ed è un sostenitore dell’internazionale nera. Perciò bene fa l’Anpi, il tabernacolo delle idealità di Montanari, a partecipare alla protesta anti Bezos. La resistenza ora si fa contro i ricchi. E poi c’è la massima colpa: volersi sposare nella chiesa della Misericordia, che una volta era un lazzaretto e perciò ecco il contrappasso, e consentire alla signora Sánchez ben 27 cambi d’abito. Montanari è anche sfortunato: Bezos, date le tensioni, si sposerà e terrà il banchetto nell’Arsenale che si difende molto meglio. Il professore di belle arti sostiene che a contestare Bezos tra le calli e i canali veneziani ci saranno quei ragazzi che lui ingaggia per la sua festa da 10 milioni di dollari restituendo così finalmente la città al popolo. Popolo che si mette in tasca la paga di Bezos mentre Venezia avrà uno spot planetario: al banchetto è attesa mezza Casa Bianca e tutta Hollywood. Ma il cinema che piace al dotto rivoluzionario è quello promosso dal suo mentore, l’ex ministro della cultura Dario Franceschini (Pd): quello che con il tax credit ha finanziato film mai fatti, compreso quello del killer di villa Pamphili. A Montanari sfugge un particolare: senza le nozze dei ricchi la materia che lui insegna e che gli frutta un non trascurabile reddito personale non ci sarebbe. Per dirne una: è stato presidente della Fondazione museo Richard Ginori - il ministro Alessandro Giuli lo ha mandato a casa perché la collezione è ancora tutta da allestire e lui ha gridato al fascismo - e forse ignora che il successo di quelle ceramiche fu decretato anche dai servizi di nozze per nobili e ricchi. Montanari ha cercato vanamente di diventare direttore degli Uffizi con annesso Giardino di Boboli che prese l’attuale fisionomia dopo le nozze di Margherita de' Medici e Odoardo Farnese e quelle di Ferdinando II de' Medici. Il professor sottutto e tutto censuro, storico del Barocco, dovrebbe sapere che le Nozze di Cana di Pietro Veronese, il banchetto di Antonio e Cleopatra del Tiepolo tanto per stare in Veneto, sono opere nuziali, così come la Primavera e la Nascita di Venere di Alessandro di Filipepi detto il Botticelli - massimo vanto degli Uffizi a Firenze - sono rinascimentale dono per le nozze di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, cugino del Magnifico. Peraltro a Venezia, in epoca barocca, a palazzo Ducale si firmavano i contratti di matrimonio seguiti da fasti sontuosi. Dunque, il professor Montanari, senza le nozze dei ricchi sarebbe oggi un intellettuale disoccupato. Fa riflettere questa ondata anti-ricchi che Flavio Briatore a più riprese ha denunciato, indicando come questo atteggiamento deprima il turismo a cui l’Italia affida parte delle speranze per risollevare il Pil. E certo questo populismo nasce da una certa ignoranza. Forse non è il caso di Montanari che comunque si dimentica di mettere in relazione ricchezza e mecenatismo che hanno consentito l’enorme sedimento d’arte di cui oggi lui gode, ma è di certo la causa di quanto successo in un bar di Pordenone. Un ignaro avventore ha rischiato di essere massacrato di botte perché ha ordinato un Negroni. Un gruppo di extracomunitari lo ha assaltato sostenendo che li aveva insultati. Non sanno questi a cui Pd e Cgil volevano dare la cittadinanza veloce che si chiama così l’Americano (vermouth rosso, soda e Campari) che il conte Camillo Negroni ordinava al caffè Casoni, oggi Giacosa, nel cuore di Firenze sostituendo la soda col gin. Fu creato così il Negroni cocktail. Ma vallo spiegare ai woke e a Montanari! Ps: Mr. Bezos auguri e già che ci siamo: figli maschi!
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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