2023-01-06
Pier Francesco Bernacchi: «Collodi era un patriota convinto ma il suo Pinocchio si rivolge a tutti»
Andrea Balestri in Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini (1972). Nel riquadro, Pier Francesco Bernacchi (Getty Images)
Parla il presidente della fondazione dedicata allo scrittore: «Era un mazziniano, ha fatto due guerre di indipendenza. Le bugie del burattino? Solo quattro: noi siamo peggio di lui. Per non parlare dei politici».Solo chi deve ancora nascere non sa chi è Pinocchio. E, giacché la straordinaria storia del burattino di legno diventato bambino è la più tradotta nel mondo dopo Bibbia e Corano, appare arduo imbattersi in una pur sperduta comunità che ne ignori l’esistenza. È leggibile in oltre 300 tra lingue e dialetti e, quanto alle vendite complessive, si contende il primato con Il piccolo principe di Saint-Exupéry.Ebbe genesi dalla scoppiettante fantasia di Carlo Lorenzini, nato e dipartito a Firenze (1826-1890), che la firmò con lo pseudonimo di Carlo Collodi. Con il borgo di Collodi, oggi frazione del Comune di Pescia, provincia di Pistoia, il giornalista e scrittore ebbe molti legami e per alcuni periodi vi abitò. Il padre, Domenico, e la madre, Angiolina Orzali, si conobbero e si sposarono essendo dipendenti presso gli aristocratici Garzoni Venturi, a Collodi, e Ginori, a Firenze, questi ultimi noti per la presenza nella Richard-Ginori, porcellane griffate. Le due famiglie, infatti, solevano scambiarsi il personale. I Ginori finanziarono gli studi di Lorenzini in seminario, ma la via del sacerdozio non faceva per lui. Lavorò per La Nazione e altri giornali, occupandosi di critica di musica e teatro. La prima parte del libro che gli diede celebrità, apparve nel 1881, in 8 puntate, sul Giornale per i bambini, supplemento del Fanfulla. Lorenzini, all’epoca cinquantacinquenne, lo definì «una bambinata», scritta con l’esplicito fine di guadagnar denaro. Poi si stancò e decise di chiudere la storia con l’impiccagione del burattino. Dai lettori giunse una valanga di lettere. Ne invocavano la prosecuzione. L’autore fu convinto a comporne il resto e il volume completo uscì nel 1883 dall’editore Paggi, di Firenze, per il quale tradusse varie fiabe, come Il gatto con gli stivali. Titolo: Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Il successo fu immediato. Delle vicissitudini di Pinocchio, Geppetto, la Fata Turchina, Mangiafuoco, il Gatto e la Volpe, Lucignolo, si occuparono critici letterari come Italo Calvino, storici delle religioni come Elémire Zolla, intellettuali come Giovanni Spadolini, alti prelati come Giacomo Lercaro e Giacomo Biffi. Ne intravidero simbolismi religiosi o laici o esoterici. Rileggendo, viene certo da chiedersi se il passo in cui Pinocchio, in fuga dagli assassini, bussa alla casa della bambina morta dai capelli turchini («il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto») che poi diventa fata, sia una memoria di alcune sorelline dello scrittore, decedute da piccole. Nel 1940, la storia fu trasposta in un film di animazione dalla Disney, che s’impadronì dei diritti sul personaggio. Molto amato, in Italia, fu lo sceneggiato Rai di Luigi Comencini del 1972, con Andrea Balestri (Pinocchio), Nino Manfredi (Geppetto), Gina Lollobrigida (Fata Turchina), Franchi e Ingrassia (il Gatto e la Volpe). Nel 2023 ricorrono i 140 anni dalla prima edizione del libro e la fondazione Collodi, istituita nel 1962, ha in programma numerose iniziative. Ne parliamo con il presidente, Pier Francesco Bernacchi, 82 anni, toscano, che la segue dal 1978. Pinocchio è anche una fiaba per adulti? «È un libro che va bene per tutte le età, religioni, civiltà, un modello di crescita. Forse è ancor meglio leggerlo da grandi, perché di Pinocchio i bambini percepiranno il 2 per cento. Lorenzini l’ha scritto con l’esperienza di una vita».Che ritratto traccerebbe della figura dell’autore?«Certamente nel mondo è più conosciuto il suo personaggio, Pinocchio. Ma lo scrittore è noto in Italia anche per altre opere. Giovanni Spadolini l’ha rivalutato come importante figura del Risorgimento. Lorenzini ha fatto due guerre d’indipendenza, è stato un giornalista e grande critico teatrale. Non si è mai sposato, aveva un rapporto molto particolare con la madre e si narra avesse tanti rapporti con le donne. Ha vissuto intensamente la sua vita».Politicamente come si collocava?«Era un mazziniano convinto». Scrisse la storia di Pinocchio verso la fine della sua vita. Si arricchì con questo libro?«Non ne trasse un arricchimento. Benestante lui non è mai stato, perché i soldi che guadagnava se li spendeva tutti». Dove è sepolto?«Nel famoso cimitero di San Miniato, sulle colline di Firenze, nella cappella della famiglia Lorenzini». Sono riconoscibili, nella fiaba, elementi del paesaggio toscano?«La Fondazione da tempo ha smesso di dire che quanto narrato fosse riferito per buona parte all’abitato di Collodi e dintorni. Ciò perché ogni bambino del mondo colloca la storia nel paesaggio che vede. Nella foresta amazzonica non ci sono le querce e un bambino mi portò a vedere l’albero dove era stato impiccato Pinocchio, uno di quei grandissimi ficus… E allora viva la fantasia del libro. Ma la Grande Quercia esiste, è a Collodi ed è l’emblema degli alberi storici da preservare in Italia, ha un diametro di rami di 48 metri».Lorenzini da dove prese il nome Pinocchio?«Tocca un tasto difficilissimo. In un Comune toscano c’era un podere che si chiamava “Pinocchio”. Allora i cittadini di quel posto dicono: “L’ha preso da noi”. Altri invece dicono che viene dalla pigna del pino, il critico Sigfrido Bartolini l’ha legato al pinolo… Lorenzini non ha mai detto perché scelse il nome Pinocchio». Ma l’allegoria del naso che si allunga quando si mente, diventata universale, l’ha inventata lui?«Sì, è un’idea sua… Forse l’avrà sentito dire magari da un vicino di casa, come si può saperlo?, ma è stato il primo a scriverlo». Le avventure di Pinocchio è un libro religioso, laico o esoterico?«Le racconto un episodio. Quando dirigevo le terme di Montecatini, per una manifestazione culturale, un martedì chiamai il cardinal Lercaro e Giovanni Spadolini, il primo religioso, il secondo ateo dichiarato. Li misi insieme, due uomini di grande spessore che hanno trattato Pinocchio visto dalla loro prospettiva. Dibattito interessante, applaudito, ma ciascuno dei due è rimasto della propria idea. Poi, alle 7, offrii loro una cena all’Osteria del Gambero rosso, vicino a Collodi. Spadolini amava molto i fagioli di Solana. Ne fu ordinato un fiasco e fra fagioli, vino rosso e il resto, le discussioni, sul piano amicale, tra Spadolini e il cardinale, furono divertenti. Si fecero le 23 e 30 e uscirono abbracciati. Pinocchio rimise insieme anche loro e con i fagioli fecero pace». Lorenzini era religioso?«Nel libro ci sono anche elementi religiosi. La madre di Lorenzini era religiosissima. Lui non voleva mai fare dispetto alla madre, anche se religioso non mi sembra proprio che fosse». Da quando i diritti sul libro cessarono, la traduzione ne divenne libera… «Negli anni ’40 se li prese la Disney. Scaduti i diritti, uno, il libro lo può ripubblicare quando vuole. Ma la Disney, che stava già lavorando al film, depositò nei registri internazionali il nome Pinocchio per 6 categorie commerciali, per cui per tutte le attività commerciali legate a Pinocchio dovevi pagare i diritti alla Disney».Anche voi della Fondazione dovevate farlo? «Questo è durato fino a pochi anni fa perché noi volevamo depositare dei nostri loghi e la Disney disse “no, i diritti sono nostri”. Abbiamo ricorso e sempre perso. Poi, nell’anno della cultura italiana negli Stati Uniti, il 2013, il governo americano fece un bando rivolto all’Italia per proporre manifestazioni. Alla Scala di Milano mettemmo su uno spettacolo con voce narrante che presentammo a Washington. L’ambasciatore mi propose di parlare con Hillary Clinton. Stava finendo l’incarico di segretario di Stato e dopo iniziò la sfortunata scalata alla Casa Bianca. Lei venne, ci parlammo e su mia richiesta telefonò alla Disney. Poi ci siamo incontrati con la Disney e abbiamo risolto i problemi. Ci ha lasciato depositare i nostri marchi. Ora in California lavoriamo anche con la Disney e questa mi sembra una bella cosa». Quanto possono valere, in denaro, le copie superstiti della prima edizione del libro?«Ne furono stampati 1.000 esemplari, al mondo ne è conosciuta l’esistenza di 8, noi ne abbiamo 2. L’ultima venduta, è stata battuta all’asta a New York a 68.000 dollari».Tra i film fatti su Pinocchio quale il migliore secondo lei?«Anche ora c’è un regista italiano che vuole rifare il Pinocchio. Ma quello che ancor oggi riteniamo abbia trattato più profondamente e in maniera più aderente al vero il personaggio è il film di Comencini. Poi ciascuno ci fa sopra le sue ideologie, c’è anche l’ultimo di Guillermo del Toro». Anche Carmelo Bene ci fece un’opera teatrale, riflettendo su sé stesso. «Una delle più belle interpretazioni, anche piuttosto fedele. Noi, nel magazzino dei ricordi, abbiamo i suoi costumi di scena e anche la Balena di Comencini». Progetti del 2023?«Abbiamo in corso oltre 500 iniziative culturali nel mondo, stiamo facendo un parco in Corea, uno in Cina e molto altro. A Collodi stiamo realizzando un nuovo parco culturale, il Parco policentrico Collodi-Pinocchio, fatto da quello esistente con la villa Garzoni, il Paese dei Balocchi cui stiamo lavorando, la villa e il giardino Garzoni, una fattoria didattica, una biblioteca virtuale. Da qui a poco saranno 100 ettari».Entità finanziaria del progetto? «Abbiamo vinto due bandi Pnrr. Il valore complessivo del parco complessivo finito si aggira tra i 110 e i 120 milioni di euro, di cui 60 milioni già realizzati».Vero che siamo tutti un po’ Pinocchi?«Nella sua vita Pinocchio ha detto quattro bugie e ciascuna volta ha rimediato. Nella vita di oggi, lasciamo perdere il mondo della politica, io credo che ognuno di noi ne racconti molte di più di quattro».
Getty Images
Le manifestazioni guidate dalla Generazione Z contro corruzione e nepotismo hanno provocato almeno 23 morti e centinaia di feriti. In fiamme edifici istituzionali, ministri dimissionari e coprifuoco imposto dall’esercito mentre la crisi politica si aggrava.
La Procura di Torino indaga su un presunto sistema di frode fiscale basato su appalti fittizi e somministrazione irregolare di manodopera. Nove persone e dieci società coinvolte, beni sequestrati e amministrazione giudiziaria di una società con 500 dipendenti.