2024-06-16
Berlino blocca le sanzioni sul gas. L’Occidente in retro sul conflitto
La Germania teme per l’export delle sue imprese, l’Ue negozia per i flussi di metano che passano dall’Ucraina. Dopo la frenata ai 40 miliardi l’anno per Kiev e la legnata a Macron, ecco un’altra prova che votare è servito. Al via il summit elvetico senza Russia (che sta vincendo sul campo) e Cina. Il Dragone: «Dovete incontrarvi a metà strada». Il Sud Globale snobba l’iniziativa, assente Biden. Lo speciale contiene due articoli.Nonostante tutto, votare è servito. Non ci credete? Gustatevi il bagno di realtà che è toccato ai bellicisti.Il cancelliere Olaf Scholz aveva riempito gli ucraini di contraeree e ha pure rinunciato al veto sui bombardamenti nel territorio russo. Alle Europee, i tedeschi hanno mazzolato il Partito socialdemocratico, superato da Alternative für Deutschland. E ora il suo governo sta tirando di nuovo il freno, opponendosi alle sanzioni contro il gas russo.La notizia l’ha data Politico: alla vigilia della conferenza di pace in Svizzera, i rappresentanti permanenti dell’Ue non sono riusciti a trovare un accordo su un pacchetto di provvedimenti economici, che avrebbe colpito anche il settore del gas naturale liquefatto, attraverso il divieto, imposto ai singoli Paesi, di riesportare il Gnl russo dai porti europei e di finanziare i terminali artici e baltici. Per via del niet di Berlino, la presidenza belga del Consiglio ha dovuto dividere in due tronconi la discussione, che includeva interventi per prevenire il transito di merci attraverso la Bielorussia. L’obiettivo di Bruxelles era di impedire a Vladimir Putin di continuare a comprare tecnologia occidentale, che viene impiegata nell’industria bellica. I teutonici, ha scritto la testata d’informazione, sono però preoccupati «per l’ampliamento di una misura che costringerebbe le aziende dell’Ue a garantire che i loro clienti non possano vendere beni sanzionati a Mosca». Berlino, in sostanza, «teme che le sue piccole imprese soffrano se», dopo il Gnl, «la misura verrà estesa a prodotti di uso civile come quelli chimici o le attrezzature per la lavorazione dei metalli». «Una volta si diceva che fosse sempre colpa dell’Ungheria», ha commentato un diplomatico, «e adesso invece la colpa è della Germania».Scholz ha provato a sdrammatizzare: «No, non stiamo bloccando le sanzioni, come per tutti gli altri pacchetti stiamo lavorando intensamente con tutti gli altri e vogliamo garantire che tutto venga gestito modo più pragmatico possibile». Ha poi respinto il paragone con Viktor Orbán, spiegando che intende solo proteggere l’economia nazionale, fondata sull’export. E in fondo ha ragione: bisogna essere realisti. Al di là della promessa di restare al fianco di Volodymyr Zelensky fino alla vittoria, al di là dello sprezzo con cui i leader del mondo libero snobbano l’idea di trattare con lo zar.Qualche trattativa, per la verità, è in corso. L’Europa, ha rivelato qualche giorno fa Bloomberg, sta negoziando affinché sia assicurato il transito del gas dalle infrastrutture che passano per l’Ucraina, anche se allo studio c’è l’ipotesi di immettere nei tubi russi metano azero. L’intesa oggi in vigore scade a dicembre, però diverse nazioni dell’Est dipendono ancora dagli approvvigionamenti di Mosca. E da questo dato non si può prescindere. Né si possono ignorare i vincoli di finanza pubblica sui quali, venerdì, è andato a schiantarsi l’ambizioso piano di Jens Stoltenberg, che avrebbe voluto costringere i membri della Nato a stanziare 40 miliardi l’anno per gli ucraini. È stato il nostro ministro della Difesa, Guido Crosetto, a mettersi di traverso, facendo notare che Roma ha già difficoltà a raggiungere il 2% del Pil per le spese militari, previsto dalle clausole dell’Alleanza. Pertanto, non riuscirebbe a far fronte a ulteriori impegni finanziari. Alla fine, persino il G7, pur concordando sui 50 miliardi per la resistenza, da sottrarre ai proventi degli asset russi congelati, ha partorito un’iniziativa al ribasso, che ha posto un argine alle pretese americane.Sì, votare è servito. Non ci credete? Pensateci bene. In Italia, gli elettori hanno sommerso di preferenze il «putiniano» Roberto Vannacci. Hanno confermato la loro fiducia in Giorgia Meloni, ma nel frattempo il governo, pur risolutamente atlantista, si era smarcato da alcune delle iniziative più oltranziste, opponendosi all’invio di truppe sul terreno, oltre che all’impiego delle armi inviate da Roma per i raid all’interno dei confini della Federazione.Il pesante verdetto delle urne, intanto, ha costretto Emmanuel Macron a concentrarsi sul fronte interno. Solo poche settimane fa, il Napoleoncino di Parigi aveva disposto l’invio di istruttori militari francesi nella parte occidentale dell’Ucraina e aveva destinato all’aviazione di Zelensky i Mirage in dismissione, ancorché equipaggiati in modo che non potessero bombardare l’oblast di Belgorod. In questo momento, invece, l’inquilino dell’Eliseo è alle prese con la grana dello storico successo di Marine Le Pen. E, pur di arginare l’ascesa del Rassemblement national alle legislative del 30 giugno, è costretto ad appiccicare insieme un’ammucchiata «antifascista».La Nato, la Germania, la Francia, le sanzioni, le armi, gli aiuti… Magari votare non basterà a salvarci dalla terza guerra mondiale. Ma per ora, a qualcosa è servito. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/berlino-blocca-sanzioni-sul-gas-2668533368.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pechino-stronca-la-yalta-svizzera" data-post-id="2668533368" data-published-at="1718517976" data-use-pagination="False"> Pechino stronca la «Yalta» svizzera Ha preso il via ieri la conferenza di pace sulla guerra in Ucraina, che andrà avanti fino a oggi nei pressi del lago dei Quattro Cantoni, in Svizzera. A partecipare, insieme a Volodymyr Zelensky, sono oltre 50 capi di Stato e di governo, per un totale di un centinaio di delegazioni internazionali. «Si sta facendo la storia», ha detto il presidente ucraino, che, secondo la Cnn, punta al ritiro delle truppe russe, al ripristino dei confini prebellici e all’istituzione di un tribunale per perseguire i crimini di guerra perpetrati dalle forze di Mosca. Sicuramente Zelensky si è avviato al vertice forte del comunicato finale del G7 in Puglia: un documento in cui è stato ribadito significativo sostegno a Kiev. Tuttavia, il vero punto interrogativo che aleggia sulla conferenza svizzera è quello delle assenze. A evitare di prendervi parte, infatti, non è stata soltanto la Russia ma anche Pechino. «La Cina ha sempre insistito sul fatto che una conferenza internazionale di pace dovrebbe essere approvata sia dalla Russia che dall’Ucraina», aveva detto a fine maggio il ministero degli Esteri cinese, mentre ieri il Dragone ha esortato «Mosca e Kiev a incontrarsi a metà strada e ad avviare tempestivamente i colloqui di pace per raggiungere un cessate il fuoco e la fine della guerra».Kiev aveva espresso rammarico per la scelta di Pechino, accusandola inoltre di aver effettuato pressioni su alcuni Paesi per spingerli a non partecipare al summit svizzero. Un altro aspetto significativo risiede nel fatto che Joe Biden non prenderà parte all’evento: in sua vece, è infatti presente Kamala Harris (che ha annunciato ieri aiuti energetici e umanitari da 1,5 miliardi di dollari a Kiev). Ora, non è un mistero che, in questi anni, la numero due della Casa Bianca si sia rivelata piuttosto impalpabile nei vari consessi internazionali a cui ha partecipato. L’assenza di Biden potrebbe quindi essere interpretata come una scarsa convinzione da parte sua della possibilità che il vertice svizzero porti a qualche svolta concreta. Una sensazione che circola probabilmente anche al Cremlino, visto che venerdì Vladimir Putin ha proposto delle condizioni per un cessate il fuoco che equivalgono sostanzialmente alla richiesta di una resa incondizionata: il presidente russo non ha preteso soltanto che l’Ucraina non entri nella Nato ma ha anche affermato che Kiev dovrebbe rinunciare alle province di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia.Il nodo che aleggia sul summit svizzero è duplice. Innanzitutto, Biden non sembra ancora riuscire a ripristinare la capacità di deterrenza degli Usa nei confronti di Mosca: prova ne è la spavalderia delle recenti parole di Putin. È ben difficile che si possano fare passi avanti nella risoluzione politico-militare della crisi ucraina, se la deterrenza americana non viene prima ristabilita come precondizione a un negoziato che non voglia trasformarsi in appeasement (non è forse un caso che lo zar abbia rinunciato ad aggredire l’Ucraina durante i quattro anni dell’amministrazione Trump).Il secondo nodo riguarda il Sud Globale. Secondo l’Associated Press, l’India e il Sudafrica hanno inviato al summit svizzero soltanto dei funzionari di basso rango, mentre i leader di Arabia Saudita e Turchia sono rappresentati dai loro ministri degli Esteri. Esponenti del governo di Pechino hanno inoltre riferito a Reuters che «molti Paesi in via di sviluppo sono allineati con le sue opinioni sulla conferenza». Ecco, il problema è proprio questo: parte consistente del Sud Globale non è al momento troppo ostile alla Russia. E la Cina non ha alcuna intenzione di lasciare all’Occidente l’iniziativa politico-diplomatica sull’Ucraina. Quel ruolo il Dragone vuole ritagliarselo per sé, con l’obiettivo di ridurre l’influenza euroatlantica, rafforzare la sua presa sullo stesso Sud Globale e rendere ancora di più Mosca il proprio junior partner. Ne consegue che, per scardinare la strategia cinese, l’Occidente dovrebbe rispolverare il principio reaganiano della «pace attraverso la forza», rilanciando al contempo il proprio soft power in Africa, Medio Oriente e America Latina.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.