2023-07-30
Beppe Sala spegne le luci a San Siro e fa fuggire Milan e Inter dalla città
Lo stadio Meazza. Nel riquadro, Beppe Sala (Ansa-IStock)
Dopo anni di melina il Comune si rassegna: «Soprintendenza verso il vincolo». Un fallimento che farà entrare il sindaco nella storia per aver sfrattato i club. Lasciando al capoluogo uno stadio che costa 10 milioni l’anno.Il progetto ForestaMi prevede la messa a dimora di 3 milioni di piante entro il 2030. Ma è solo facciata: nessuno le cura e muoiono. Oppure vengono gettate via nei prati.Lo speciale contiene due articoli. San Siro non si tocca, Milan e Inter se ne vanno e Giuseppe Sala passerà alla storia come il sindaco che ha fatto scappare i due club da Milano. È la sintesi di una partita infinita, ormai chiusa sullo 0-0 dopo cinque anni di catenaccio dell’amministrazione di centrosinistra. Ed è la conferma che al di là del marketing politico la metropoli lombarda non si discosta dal resto del Paese: immobile, incapace di progettare un futuro che non sia dipinto dal verde acido di Zerocalcare. La mossa del Comune è arrivata venerdì sera come un sospiro, quasi a liberare le due società da promesse, impegni, equivoci, camicie di forza procedurali. «In merito al futuro di San Siro, il Comune fa sapere che non è ancora pervenuta una comunicazione ufficiale da parte della Soprintendenza, ma sembrerebbe ormai acclarata la scelta per un vincolo culturale semplice. Vincolo che di fatto impone, in concreto, che lo stadio rimanga lì dov’è. Si ricorda, ancora una volta, che il progetto di un nuovo stadio presentato dai due club contemplava l’abbattimento dell’attuale impianto». È la pietra tombale sulla Cattedrale progettata da Milan e Inter (investimento da 1,2 miliardi), che appunto prevedeva la distruzione dello storico stadio edificato nel 1926 per realizzare una nuova, ipermoderna cittadella dello Sport. Poiché nel 2025 saranno 70 anni dalla realizzazione del secondo anello, il vincolo si profilava da tempo come impedimento assoluto, evocato dal sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, e in via di concretizzazione da parte della soprintendente Emanuela Carpani per la felicità della giunta green che vede profilarsi il successo del «niet» dopo un catenaccio anni Sessanta.La seconda parte del comunicato sembra scritta direttamente dal sindaco: «Se confermata, la decisione avrebbe conseguenze gravi non solo per il futuro dello stadio e per la sua sostenibilità economica, ma anche perché ridurrebbe di molto le possibilità che le squadre restino a Milano con un nuovo impianto». Il borgomastro ha colto il problema, da domani gli 8 milioni all’anno d’affitto (fin qui garantiti dai club) svaniranno e i 2 di manutenzione di una struttura affascinante e obsoleta - cercare un bagno è un viaggio nel tempo, si arriva dentro lo stadio Lenin di Mosca degli anni Novanta - saranno a carico dell’amministrazione. Il Milan ha già cominciato il lungo addio. La società di Gerry Cardinale, che negli Stati Uniti gestisce impianti sportivi, ha opzionato l’area San Francesco a San Donato chiedendo una variante urbanistica per poter costruire la nuova casa. Un minuto dopo l’uscita del Comune anche l’Inter ha annunciato di aver acquisito «il diritto di esclusiva» fino al 30 aprile 2024 dell’area di Rozzano di proprietà dei gruppi immobiliari Bastogi e Brioschi per approfondire la possibilità di realizzare lo stadio e le funzioni accessorie.Luci spente a San Siro, ma il totem resta in piedi. È la vittoria dei comitati civici, soprattutto di chi ha come priorità la salvaguardia del monumento del calcio milanese. Porta a casa il risultato innanzitutto Luigi Corbani, anima del comitato «Sì Meazza» che dal primo minuto è favorevole «alla ristrutturazione dell’esistente» e accusa Sala di essersi piegato agli interessi speculativi delle proprietà straniere dei due top club italiani. Anche l’Uefa, designando Milano per la finale di Champions 2026 o 2027, gli ha di fatto dato ragione. «L’idea di abbattere il Meazza era sbagliata e tutti hanno perso anni attorno a progetti inesistenti. La tutela architettonica è prevista in automatico, fino al 2026 non si poteva comunque toccare perché sede della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi invernali». L’ex vicesindaco migliorista dell’era Dc-Psi-Pci non teme il rischio che il simbolo sportivo di Milano si trasformi in un rudere abbandonato. «San Siro può essere utilizzato per lo sport e lo spettacolo, basterebbe fare una gara internazionale, ammodernarlo e darlo in gestione a una società. Non esiste che si abbatta, è un impianto unico, un’icona nel mondo».Per Sala, che ha tenuto il piede in tutte le scarpe scambiando tattica per strategia, è una disfatta assoluta. In un primo tempo ha deciso di non decidere, poi si è appiattito sulle richieste dei club in contrasto con gli interessi del Comune (volumetrie, aree commerciali, consumo di suolo), infine si è lasciato travolgere dall’ostruzionismo dei partner verdi. Qualche mese fa, quando ha colto le conseguenze dello stallo, ha alzato voce contro la sua maggioranza: «In due anni non avete fatto mezza proposta, siete stati capaci solo di dire no». Con un dettaglio non evidenziato: il responsabile politico delle (non) scelte è lui. Come sottolinea il segretario milanese della Lega, Samuele Piscina: «La partita è finita, tergiversando per 12 anni, Sala e la sinistra hanno cacciato Milan e Inter dalla città. E lo stadio diventerà terra di nessuno». Adriano Galliani, che sull’erba dell’astronave di cemento ha vinto cinque Champions, non ha mai cambiato parere: «Andava abbattuto. Ciascuno di noi è romanticamente affezionato alle case delle nonne per i ricordi. Ma poi va a vivere altrove». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/beppe-sala-san-siro-2662589766.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="milano-e-il-cimitero-dei-nuovi-alberi" data-post-id="2662589766" data-published-at="1690703945" data-use-pagination="False"> Milano è il cimitero dei nuovi alberi Quello che si è venduto come il sindaco più ambientalista possibile per Milano inanella uno scivolone dietro l’altro proprio sul verde. Per Beppe Sala sono giorni di fuoco, anche se è di acqua che si sta parlando. Perché le polemiche alimentate negli ultimi giorni dalla cattiva gestione delle piante a Milano, alla base del crollo di alberi in tutta la città in occasione della tempesta di vento e ghiaccio di inizio settimana (Palazzo Marino ha trovato l’assassino perfetto nell’ormai onnipresente cambiamento climatico, anche se gli indizi di colpevolezza portano dritti a una manutenzione parecchio scarsa), hanno messo la sordina a un’altra spina dolente nel fianco green di Sala. Quella relativa al progetto ForestaMi. Si tratta di un piano sbalorditivo: da qui al 2030 saranno piantati 3 milioni di nuovi alberi a Milano e nei comuni della Città metropolitana. Nato da una ricerca del Politecnico di Milano, sostenuto (tra gli altri) da Regione, Parco Nord, Fondazione Falck e Fs Sistemi urbani, ForestaMi vanta nientepopodimeno che Stefano Boeri nel suo comitato scientifico. Che sarà mai fare un bosco in orizzontale per lui è che è riuscito a costruirne uno in verticale? Non è proprio così. Perché a rumoreggiare contro il progetto sono cittadini e movimenti ambientalisti che hanno sostenuto la candidatura di Sala in passato. E che adesso si trovano a guardare sbalorditi una grande operazione, certo, ma di facciata. Perché piantare gli arbusti è facile, mantenerli e farli crescere è difficile. E a Milano neanche ci provano. Dai dati ufficiali presentati alla fine della passata stagione agronomica, nel 2022 ben 16.000 alberi, tra adulti e neo piantati, sono morti. La colpa è stata data all’ondata di caldo della scorsa estate che aveva provocato settimane di intensa siccità. «Quando c’è moria di alberi, noi ripiantamo», aveva pomposamente annunciato mesi fa Sala. Ma per cercare la vera causa dell’ecatombe green a Milano, forse il sindaco dovrebbe guardarsi allo specchio. O, meglio, dovrebbe guardare in direzione dei propri uffici comunali. Perché a detta di residenti e attivisti, a mancare non è stata (solo) l’acqua piovana ma (soprattutto) la manutenzione e la cura. Tanto che, a ForestaMi, fanno da contraltare due movimenti nati spontaneamente dall’iniziativa dei milanesi: BagnaMi, che vede i cittadini impegnati a dare l’acqua di propria iniziativa alle povere piante abbandonate al proprio destino, e ForestaMi e poi DimenticaMi, che mette in fila e documenta il lato oscuro di ForestaMi. Sui social questi guardiani degli alberi sono molto attivi, producono dossier anche fotografici con le criticità del progetto da 3 milioni di alberi, raccontando «una storia diversa rispetto alla narrazione ufficiale dell’infallibile piano ForestaMi, di cui siamo bombardati attraverso i media». E nei cahier de doleances green c’è di tutto: impianti di irrigazione che non funzionano, autobotti insufficienti o «fantasma», annunci di bagnature anticipate definite «bluff», visto che dovrebbero essere garantite tutto l’anno e non solo nei mesi più caldi. «Le piante sono morte per incapacità, non per la siccità», ha tuonato a inizio anno lo storico consigliere ambientalista Carlo Monguzzi, «Milano è seduta su una falda che straborda, mungiamo ogni anno 60 milioni di litri dalla falda per non allagare la metropolitana. È un controsenso». C’è talmente così tanta sciatteria nel progetto ForestaMi, definito una delle più grandi operazioni di greenwashing (ovvero, ecologismo di facciata) attivate in Italia che, per il secondo anno consecutivo, a maggio, in zona Bovisasca, un cittadino ha scoperto decine di alberi pronti per essere piantati ma abbandonati in un campo. Morti, stecchiti: un vero e proprio cimitero. Nel 2022 una scoperta simile era stata fatta in zona San Siro. Chissà che ne pensano i munifici sponsor di questo progetto. Chissà che ne pensano i 70.000 milanesi che l’assessore Pierfrancesco Maran ringraziava per aver sostenuto, lo scorso anno, con una donazione, ForestaMi. I «pacchetti» contributo partono da 30 euro e arrivano fino ai 100. Certo, c’è anche l’importo libero. Parte di quei soldi è stata gettata al vento.
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