2023-09-09
Il «ricatto» Bce sulle aziende non ecologiche
Secondo gli stress test climatici dell’Eurotower, rifiutare la «transizione accelerata» porta all’aumento di rischi di credito e di crac. Ma Francoforte poi ammette che ci saranno maggiori costi per famiglie e imprese nel breve periodo. Colpa dei prezzi dell’energia.A Francoforte sono un po’ fissati con gli stress test. Con i voti, le pagelle. E anche con la pressione psicologica. Lo si è visto nel caso del sistema bancario ma lo stesso copione si ripete con la spinta alla transizione green. Giovedì scorso il Sole 24 Ore ha pubblicato in apertura un articolo che lanciava l’allarme: «Banche e ambiente, stress test Bce: più default se la transizione è lenta». Vi si riportavano i risultati di un secondo stress test climatico (il primo era stato fatto nel settembre 2021 ma analizzando tempi, contesti macro e rischi diversi), condotto da un gruppo di economisti della Banca centrale europea e focalizzato sul rischio di transizione verde nell’arco dei prossimi otto anni. Il rapporto, anzi il «paper occasionale», è stato intitolato The road to Paris, la strada verso Parigi. Molto simile al titolo dell’intervento firmato da Luis De Guindos, il vice di Christine Lagarde, sul blog della Bce: «Need for speed on the Road to Paris», ovvero «C’è bisogno di accelerare sulla strada verso Parigi».Partiamo dal rapporto che non ha finalità dirette per la vigilanza bancaria ma analizza tre possibili scenari focalizzati sulla sola transizione verde - accelerata, differita e ritardata - e i loro impatti sulle famiglie attraversi i mutui ipotecari residenziali, sulle imprese attraverso i prestiti, sulle banche e sugli investitori istituzionali (principalmente per lo spread). L’esito del test è il seguente: una transizione accelerata fornirebbe significativi benefici per le imprese, le famiglie e il sistema finanziario, rispetto a uno scenario di transizione tardiva. Il rischio di credito aumenterebbe durante la transizione in tutti gli scenari, e in particolare in caso di azioni tardive e brusche. Mentre la transizione accelerata comporterebbe maggiori costi per le famiglie e le imprese nel breve periodo a causa dei rapidi e forti aumenti dei prezzi dell’energia, nel medio termine ridurrebbe i rischi finanziari grazie a una più rapida riduzione dei prezzi dell’energia. Allo stesso tempo, un inizio precoce della transizione consentirebbe alle banche di beneficiare sia di un minor rischio di credito, sia di un maggior fabbisogno di investimenti. Morale: più la transizione verso un’economia a zero emissioni in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi viene rallentata e rinviata, più aumenta il rischio di credito e la probabilità di default. Insomma, chi non investe nel green rischia di fallire o di perdere soldi. Ad aumentare lo stress del risultato del test, ecco l’intervento pubblicato sul blog lo scorso 6 settembre da De Guindos: «Il passaggio alla neutralità del carbonio nel modo più rapido e coraggioso possibile è di gran lunga il modo migliore per rallentare il cambiamento climatico», scrive il vicepresidente della Bce. «Può richiedere uno sforzo maggiore nel breve periodo, ma nel lungo periodo costerà complessivamente meno. Dobbiamo raggiungere la neutralità del carbonio per evitare rischi esistenziali alla natura, alle persone e alle nostre economie. E dobbiamo iniziare a cambiare presto. Procrastinare può essere più facile e meno costoso oggi, ma significa che pagheremo un prezzo più alto domani. Quanto prima e più velocemente completeremo la necessaria transizione verde, tanto minori saranno i costi e i rischi complessivi». Lo stress test climatico e l’annesso intervento di De Guindos sono la conferma di quanto la Bce stia aumentando il pressing (o il ricatto?) economico sulla transizione, soprattutto in termini di dirottamento delle risorse finanziarie. Proprio mentre la Banca centrale Usa e quella inglese si stanno posizionando su un fianco opposto rispetto a Francoforte. «Non siamo e non saremo dei policymaker del clima», ha detto il presidente della Federal reserve, Jerome Powell. Questo perché la Fed dopo una serie di sbandate sembra aver compreso che il compito da perseguire è quello della «massima occupazione e della stabilità dei prezzi». Non solo. Con l’inflazione alle stelle e l’aumento dei tassi, i colossi della gestione del risparmio come Blackrock e Vanguard hanno capito che insistere con gli investimenti sostenibili in società che seguono i cosiddetti criteri Esg (su ambiente, sociale e buon governo dell’impresa) non fa più guadagnare, anzi. Rischiano di rimetterci, considerando anche il rischio di incappare in chi fa greenwashing, ovvero spaccia progetti e prodotti come ad alto standard ambientale quando non lo sono. L’epoca del «whatever it takes» con cui le Banche centrali portarono i tassi sotto zero e resero negativi i rendimenti di migliaia di miliardi di dollari in bond è finita, e i due big di Wall Street hanno ingranato la retromarcia. La squadra della Lagarde, invece, continua a tirare dritto verso il cortocircuito logico (che nasconde un mandato politico): transizione spinta e uso del rialzo dei tassi per smontare la ricchezza posseduta e far transitare aziende e famiglie verso nuovi modelli economici e sociali. Un vero e proprio circolo vizioso che sta mietendo le prime vittime anche in Italia. Chiudiamo con una nota a margine: quando giovedì il Sole 24 Ore ha pubblicato in prima pagina l’articolo sui test climatici della Bce, a pagina 21 dello stesso quotidiano si poteva leggere un altro articolo sui prezzi dei certificati verdi che sono più che raddoppiati in due anni. Per una tonnellata di CO2 oggi un credito costa 82 euro contro i 4 del 2013. E le imprese, anche quelle che credono nella decarbonizzazione, protestano perché devono fare i conti con una tassa ideologica, poco tecnica, che non ha effetti positivi, e rischia di provocare una forte delocalizzazione, favorendo una produzione in posti dove non c’è.
Getty Images
Le manifestazioni guidate dalla Generazione Z contro corruzione e nepotismo hanno provocato almeno 23 morti e centinaia di feriti. In fiamme edifici istituzionali, ministri dimissionari e coprifuoco imposto dall’esercito mentre la crisi politica si aggrava.
La Procura di Torino indaga su un presunto sistema di frode fiscale basato su appalti fittizi e somministrazione irregolare di manodopera. Nove persone e dieci società coinvolte, beni sequestrati e amministrazione giudiziaria di una società con 500 dipendenti.