Mentre si riaccende il timore dello spread, i progetti di revisione del Patto di stabilità occhieggiano al ricorso al micidiale Salvastati. E il prodigioso Recovery in due anni all’Italia ha portato bus elettrici e poco altro. Nei 51 progetti approvati, proroga del Superbonus, interventi alla Pa e riforme sulla carta. Zero innovazione. Manca il visto Ue.
Mentre si riaccende il timore dello spread, i progetti di revisione del Patto di stabilità occhieggiano al ricorso al micidiale Salvastati. E il prodigioso Recovery in due anni all’Italia ha portato bus elettrici e poco altro. Nei 51 progetti approvati, proroga del Superbonus, interventi alla Pa e riforme sulla carta. Zero innovazione. Manca il visto Ue.Premessa sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Pnrr, presentato lo scorso aprile alla Commissione Ue, vorrebbe rilanciare il Paese dopo la crisi pandemica, stimolare la transizione ecologica e digitale, favorire un cambiamento strutturale dell’economia combattendo «le diseguaglianza di genere, territoriali e generazionali». Il progetto costerà alle tasche degli italiani 191,5 miliardi. Nel dettaglio 122,6 miliardi sono debito, 68,9 prestiti che saranno ripagati con le nuove tasse europee (sul carbone, sul Web). Ci sono poi altri circa 40 miliardi di fondi europei e governativi. Nel complesso si tratta di 134 investimenti e 63 riforme pubbliche. In pratica, il governo ha così avviato il pilota automatico per i prossimi esecutivi (fino al 2026). Qualunque altro progetto al di fuori di quelli sottoscritti sotto l’ombrello del Pnrr non sarà di fatto realizzabile per il semplice motivo che non ci saranno fondi. Un grande racconto di rilancio celebrato dal governo e da tutti i vertici di Bruxelles. Soprattutto da Ursula von der Leyen che ha elogiato l’Italia come esempio virtuoso. In realtà, al di là dell’anticipo di 24 miliardi incassato ad agosto, i soldi veri non si sono visti. Lo si capisce dal report pubblicato la vigilia di Natale e firmato dalla cabina di regia del Pnrr. Il governo ha messo nero su bianco che i 51 obiettivi per il 2021 sono stati raggiunti. A quel punto in primavera l’Ue valuterà lo stato dell’arte e in caso di esito positivo sgancerà i fondi. Saranno al massimo 21 miliardi (va detratta la quota di anticipo dello scorso giugno), praticamente 12 in meno di quelli stanziati dalla manovra votata ieri dalla Camera. Lo stesso report contiene finalmente l’elenco completo e definitivo dei 51 obiettivi-investimenti messi a terra nel 2021. Quelli per cui saremmo il vanto dell’Europa. Duole dire che su 51 punti, di innovativo non c’è praticamente nulla. Dieci sono fondi erogati nell’ambito dell’export e del turismo. Linee di credito che già esistevano in precedenza, come nel caso delle Pmi in scia a Simest. Spicca la proroga del Superbonus, che come dice il termine stesso esisteva già. E certo non c’era bisogno che finisse nelle erogazioni di fondi Ue, per giunta sotto il monitoraggio di Bruxelles.Altre 36 voci sono relative alle riforme della pubblica amministrazione, piuttosto che della giustizia penale e civile. Ma anche delle norme con cui il pubblico deve approcciare il Pnrr o assumere il personale che si occuperà dei progetti insiti nel Pnrr stesso. Per carità, ben vengano le riforme. Ma al momento s’ha da andare sulla fiducia secondo il classico schema keynesiano. Investo nel pubblico e sul pubblico sperando che si rialzi il Pil. Ad esempio gli obiettivi numero 47 e 48 sono mirati a «rafforzare la creazione di capacità per l’attuazione del Pnrr». Una autoreferenzialità che dovrebbe far alzare le antenne. Tanto più che, implicitamente, lo ammette la stessa cabina di regia. «I traguardi e gli obiettivi compresi nella rata del 31 dicembre 2021 prevedono l’adozione di atti di normativa primaria e secondaria o di atti amministrativi, contenenti indicazioni spesso propedeutiche alla realizzazione degli impegni per le scadenze delle rate future», si legge nel documento, «Il loro conseguimento è una prima importante dimostrazione della capacità del Paese di attivare i processi di riforma e di investimento previsti dal piano». Pur prendendo per buono che questa enorme attività di preambolo dia i frutti sperati, visto che l’obiettivo è la ripresa dalla pandemia ci saremmo aspettati anche interventi infrastrutturali più decisi. Invece no. Spiccano l’ammodernamento del parco tecnologico degli ospedali e il finanziamento dei bus elettrici. Quest’ultimo porta dritto alla ex Irisbus, oggi Industria italiana autobus, partecipata da Leonardo e dall’Invitalia ancora guidata da Domenico Arcuri. Innovativo, per usare un eufemismo, anche l’obiettivo numero 22 che prevede la tutela e la valorizzazione del verde urbano. Molto bene l’accelerazione dell’iter di assegnazione dei contratti ferroviari. Resta invece un grande punto di domanda l’obiettivo numero 36: «Creazione di imprese femminili». Che significa? Dare soldi a pioggia purché l’amministratore delegato della società beneficiaria sia donna? Chissà quando lo scopriremo. Forse presto. Nel frattempo restano gli altri interrogativi di fondo. Se questo, con l’arrivo di Mario Draghi, doveva essere l’anno di maggiore slancio del Pnrr, che cosa dobbiamo aspettarci di concreto dal 2023 in avanti? Chi suggeriva l’idea che dal vincolo esterno si potesse passare al vincolo interno, da adesso in avanti avrà qualche motivo in più per sostenerlo.
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Il leader colombiano Petro, che sullo scandalo delle armi non collabora, attacca l’azienda: «Mi offende, faccio causa».
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Il giudice De Moraes revoca i domiciliari all’ex leader: «Pericolo di fuga durante la veglia di preghiera organizzata dal figlio». Atteso il ricorso sul tentato golpe.
Bruxelles ha stanziato 11 miliardi ai Paesi sub-sahariani: fondi finiti a chi non aveva bisogno. Corte dei Conti: «Zero controlli».
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Per la prima volta nella storia, quasi l’intera Assemblea francese ha bocciato la legge finanziaria. C’è la concreta possibilità di arrivare a una sorta di proroga che costerebbe 11 miliardi. Nelle stesse ore Moody’s migliorava il giudizio sul debito italiano.
C’era una volta l’Italia pecora nera dell’Europa. Era il tempo in cui Parigi e Berlino si ergevano a garanti della stabilità economica europea, arrivando al punto di condizionare la vita di un governo e «consigliare» un cambio della guardia a Palazzo Chigi (come fu la staffetta tra Berlusconi e Monti con lo spread ai massimi). Sembra preistoria se si guarda alla situazione attuale con la premier Giorgia Meloni che riceve l’endorsement di organi di stampa, come l’Economist, anni luce distante ideologicamente dal centro destra e mai tenero con l’Italia e, più recente, la promozione delle agenzie di rating.





