2021-08-12
È di nuovo battaglia politica sulla Corte Suprema Usa
True
Da ormai diverso tempo, il giudice Stephen Breyer è finito sotto pressione da parte di varie associazioni di sinistra (come Demand Justice) e di alcuni parlamentari dem (come il deputato Mondaire Jones), che lo stanno esortando a dimettersi per permettere a Joe Biden di nominare un nuovo togato più giovane di orientamento progressista. Va ricordato, a questo proposito, che – oltre all'intangibilità del trattamento economico – i giudici godano dell'inamovibilità: quindi – fatto salvo processo di impeachment – non possono essere sollevati dal loro incarico. In tal senso, o si dimettono spontaneamente oppure muoiono in carica. Nominato da Bill Clinton al massimo organo giudiziario statunitense nel 1994, Breyer ha al momento ottantadue anni. Ora, la motivazione che ha portato alcune frange della sinistra a invocare un suo passo indietro è il timore che possa ripetersi quanto accaduto con Ruth Ginsburg. Anche nel suo caso, si registrarono varie pressioni nel 2014 per spingerla a dimettersi e consentire così all'allora presidente, Barack Obama, di nominare un sostituto progressista più giovane. La giudice rifiutò tuttavia un passo indietro e, dopo la sua scomparsa l'anno scorso, Donald Trump l'ha rimpiazzata con la togata originalista (e quindi invisa alle frange progressiste) Amy Coney Barrett. Insomma, parte della sinistra dem teme che con Breyer possa verificarsi tra qualche anno un caso similare. Ciononostante – a metà luglio – il diretto interessato ha fatto sapere di non avere ancora deciso che cosa fare del suo futuro. Tutto questo, mentre il sito Axios ha rivelato lo scorso 3 agosto che la Casa Bianca risulterebbe non poco irritata per le richieste di dimissioni di Breyer da parte degli attivisti. Va detto che Biden non abbia mai gradito troppo la linea dura del suo partito sulla Corte Suprema. Senza poi trascurare che, per il presidente, nominare un giudice in questa fase risulterebbe particolarmente rischioso, visti i numeri al Senato e i probabili malumori dell'ala democratica centrista. Tuttavia la questione è sul tavolo e – c'è da giurarci – le pressioni su Breyer proseguiranno soprattutto con l'avvicinarsi delle prossime elezioni di metà mandato (previste per il novembre del 2022): elezioni in cui i repubblicani sembrerebbero avere la possibilità di riconquistare la maggioranza della camera alta. Uno scenario – questo – che azzopperebbe qualsiasi eventuale nomina di Biden per la Corte Suprema. Ma il caso Breyer non è l'unico ad agitare le acque su questo fronte. Ricordiamo infatti che l'attuale inquilino della Casa Bianca abbia dato il via, lo scorso aprile, a una commissione che deve occuparsi di potenziali progetti di riforma della Corte Suprema. L'istituzione di questo organo è avvenuta dietro pressione di ampi settori del Partito democratico, favorevoli ad estendere il numero dei supremi giudici, così da annacquare il peso dei togati di nomina repubblicana (che sono attualmente sei contro tre). Un progetto, quest'ultimo, che non ha mai convinto fino in fondo Biden, il quale deve tuttavia fare i conti con un partito spaccato e non può quindi permettersi posizioni troppo nette. Tutto questo, senza trascurare la pericolosità di un simile progetto, che renderebbe la Corte sempre più ostaggio delle dinamiche di natura partitica. Senza poi contare che, anche in questo caso, per eventuali modifiche si registrerebbe lo scoglio della maggioranza parlamentare risicata: ricordiamo infatti che il numero dei supremi giudici sia fissato dal Judiciary act del 1869. Ragion per cui una riforma di questo tipo necessiterebbe di una solida maggioranza al Congresso. La domanda che sorge è quindi se, visto il crescente clima di polarizzazione che attraversa il panorama politico americano, sia veramente necessaria l'ennesima battaglia ideologica sulla Corte Suprema. La risposta è: probabilmente no.