2022-05-10
Basta con i tromboni dell’economia che fanno i soldi sui crac finanziari
Il nuovo libro di Mario Giordano: tutti quelli che salgono in cattedra per mangiarci sopra. Come la casta di consulenti che si occupano di aziende decotte e raccolgono decine di incarichi sempre ben retribuiti.Diceva un mio amico che ci sono tre modi per perdere i soldi: con il gioco, con i cavalli e con gli esperti di economia. Con il gioco è più divertente, con i cavalli è più rapido. Ma con gli esperti di economia è più sicuro. Prendete le società che fanno le revisioni dei bilanci: dovrebbero essere le sentinelle anti-crac finanziario, quelle che segnalano i problemi delle aziende prima che affondino insieme con i soldi di chi ha creduto in loro. Dovrebbero. Perché, in realtà, mai che si accorgano che qualcosa non va. Mai. I loro errori, secondo una stima di Federconsumatori, sono costati, in 15 anni, 100 miliardi di euro ai risparmiatori italiani. I quali risparmiatori forse ora si domanderanno: quei soldi avremmo fatto meglio a sperperarli al casinò o all’ippodromo anziché bruciarli fidandoci delle analisi di questi esperti? Le società che si spartiscono quasi tutto il mercato italiano (l’88% per l’esattezza) sono quattro: Deloitte, PriceWaterhouseCoopers, EY (ex Ernst Young) e Kpmg. Cercate il loro nome e lo troverete praticamente in tutti i recenti disastri economici del nostro Paese. Ogni volta che c’è un guaio, loro ci sono. E però, ecco, abbiate pazienza: non se ne accorgono.errori ripetutiNei conti della banca Carige si apre un buco? Deloitte non se ne accorge. In quelli della Popolare di Vicenza c’è una voragine? Kpmg non se ne accorge. Banca Etruria, Banca Marche e Veneto Banca vanno gambe all’aria? PriceWaterhouseCoopers non se ne accorge. Accidenti come sono distratti questi esperti: sotto i loro occhi passano i derivati Santorini e Alexandria che affossano il Monte dei Paschi di Siena, ma loro non riescono a vederli. I dati farlocchi sulle copie vendute del Sole 24 Ore? Invisibili. Il crac della Popolare di Bari? Pure. Quelli delle bioplastiche Bio-On o di Mariella Burani fashion group? Niente da fare. Sono troppo esperti per riuscire a individuare le catastrofi finanziarie. Eppure si continuano a far pagare profumatamente. Infatti, nonostante gli errori ripetuti e conclamati, i loro bilanci non fanno altro che gonfiarsi: insieme guadagnano, solo nel nostro Paese, circa 1 miliardo l’anno. «Più sbagliano, più incassano», come ha scritto Nicola Borzi sul Fatto quotidiano. E non incassano solo con la revisione dei bilanci. Macché: ci aggiungono anche consulenze, ovviamente a peso d’oro. Solo lo Stato italiano, per dire, paga a queste società, per avere i loro preziosi consigli, la bellezza di 300 milioni di euro l’anno, nonostante il fatto che ogni tanto incappino in incidenti non da poco, come la condanna da parte di Antitrust e Consiglio di Stato per una gara d’appalto vinta in modo non proprio regolare. Ma si sa, nel magico mondo degli esperti funziona così: chi sbaglia, guadagna. Il principio vale anche per Enrico Laghi. Lo conoscete? È il consulente pigliatutto, il prezzemolino dei consigli di amministrazione, l’uomo buono per ogni liquidazione. Ha 53 anni e negli ultimi venti ha avuto incarichi e poltrone in qualsiasi tipo di azienda: Alitalia, Ilva, Pirelli, Unicredit, Tim, Telecom, Nomura, L’Espresso, Raisat, Rainet, Raiclick, Raiworld, Fiorucci, Seat Pagine Gialle, Tirrenia, eccetera. È difficile trovare qualche azienda pubblica o privata in cui non abbia messo lo zampino: a un certo punto aveva contemporaneamente ben 24 incarichi. Adesso sono «solo» 16, fra i quali quella di liquidatore Air Italy, di commissario straordinario Innse cilindri, di presidente della Milano Sesto Spa e di amministratore delegato della holding dei Benetton. Non è che si sentirà poco considerato? Bisognerà integrare con qualche altro strapuntino? il prezzemolino dei cdaL’unico dubbio è come faccia a non perdersi. Per altro non si tratta mica di gestire salumerie e piadinerie, con tutto il rispetto per i salumi e per le piadine. Macché: a un certo punto aveva insieme la responsabilità dell’Ilva e dell’Alitalia (hai detto niente), oltre ad altre nove (dicasi nove) società da liquidare. Tutto nello stesso momento. Roba che ci vuole una giornata come minimo di 72 ore per riuscire a tenere il passo… Certo: nel mazzo, fra tante cose da fare, ogni tanto spuntano anche inciampi, incidenti, inchieste della magistratura, come quella sull’Ilva che nel settembre 2021 ha portato il medesimo Laghi agli arresti domiciliari. Ma non vogliamo infierire: siamo sicuri che il commissario prezzemolino riuscirà a dimostrare la sua innocenza, sconfessando i magistrati che parlano di lui come di un «regista» di operazioni sospette, per di più «regista occulto e spregiudicato». Il problema non è questo. Il problema, piuttosto, è che all’Ilva pare che Laghi guadagnasse molto bene (si è parlato di una parcella da oltre 2 milioni di euro) ma i lavoratori ci hanno guadagnato assai meno. Anche all’Alitalia lui ha guadagnato bene (si è parlato di una parcella di oltre 3 milioni di euro), ma anche lì i lavoratori ci hanno guadagnato assai meno. E non so quanto abbia guadagnato come liquidatore di Air Italy: ma so per certo che lì i lavoratori non ci hanno guadagnato proprio nulla. E allora, se io fossi uno dei dipendenti delle tante aziende in cui Laghi viene nominato commissario o liquidatore, probabilmente comincerei a preoccuparmi. E di sicuro mi farei una domanda: ma questi esperti, oltre che a farsi pagare super parcelle, in che cosa sono esperti davvero?Stiamo parlando di un piccolo gruppo di professionisti che si spartiscono tutta la ricca torta delle povertà altrui. È il club, pagato a peso d’oro, dei superesperti di disastri. Seguite i loro nomi, troverete i soldi. Ma li troverete soprattutto nelle loro tasche. Stefano Ambrosini, per esempio, 53 anni, torinese, risulta al momento in cui scrivo titolare di 34 poltrone. Dico: trentaquattro. Sette come curatore fallimentare (dalla Borsalino al Porto d’Imperia), quattro come commissario giudiziario o giudiziale (dalla Rieveracqua alla Grandi Molini), dieci come liquidatore o commissario liquidatore (dalle aerolinee Itavia all’ex Italconsult), una come semplice socio (Dabar) e dodici come commissario straordinario (dalla carrozzerie Bertone all’Alitalia). Ora può essere che anche lui sia realmente un fenomeno. E sarà sicuramente vero che le accuse che gli sono stati rivolte dai magistrati di Roma (per il suo ruolo in Astaldi) e da quelli di Torino (per i fallimenti pilotati del gruppo Mascagni) sono, come dice lui, inconsistenti. Ma fa un certo effetto vedere che negli atti di queste inchieste si parla, come se fossero bruscolini, di parcelle da 12 milioni di euro. Tanto che viene da chiedersi: ma se i compensi sono questi, all’esperto Ambrosini serve proprio fare 34 lavori contemporaneamente per guadagnarsi la pagnotta? Non sarebbe meglio rinunciare a qualcuno di essi per concentrarsi meglio sugli altri? Magari le cose andrebbero meglio. Per tutti. E non solo per il suo conto in banca.«si poteva salvare»Che i superesperti nominati commissari non sempre operino al meglio, del resto, risulta da parecchi esempi. Il più clamoroso è quello di Mercatone Uno. Ricordate? Era la catena di grandi magazzini del mobile, quasi 80 punti vendita, 3.700 dipendenti, la sponsorizzazione di Marco Pantani e gli spot in Tv. Un marchio che sembrava fortissimo e che invece è stato distrutto proprio grazie all’opera dei superesperti. Quando, nel 2015, il gruppo è andato in crisi, infatti, sono stati nominati tre commissari: il commercialista Ermanno Sgaravato, l’avvocato Stefano Cohen e l’ex presidente di Coop Italia Vincenzo Tassinari. E loro, essendo esperti, che hanno fatto, oltre che autoassegnarsi compensi per 7,2 milioni di euro? Hanno ceduto Mercatone Uno a una società appena nata, la Shernon, controllata da una misteriosa finanziaria maltese e amministrata da un signore, Valdero Rigoni, con alle spalle già un fallimento. Una scelta non proprio oculata. Infatti il signor Valdero nel dicembre 2021 è stato condannato per bancarotta fraudolenta: ha spolpato l’azienda e poi ne ha chiesto il fallimento, con inevitabile licenziamento di tutti i lavoratori. «Il dissesto era evitabile», scrivono i magistrati nella sentenza. In effetti: era evitabile. Quando l’hanno presa in gestione i commissari l’azienda stava ancora in piedi. Aveva i magazzini pieni di materiale. Aveva ordini. Aveva clienti. Si poteva salvare. Anche i posti di lavoro si potevano salvare. Anche il marchio si poteva salvare. Bastava decidere di non cedere tutto quanto (azienda, marchio, lavoratori) a un imprenditore già fallito che si nascondeva dietro finanziarie maltesi e società appena nate con capitale sociale da 10.000 euro, come invece hanno fatto i tre commissari, mentre si autoassegnavano compensi da 7,2 milioni di euro. Forse bastava essere un po’ meno esperti.
(Totaleu)
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