2024-12-04
Barnier è ormai appeso a un filo ma Macron non perde la spocchia
Se oggi la Marine Le Pen sostiene la mozione di censura della sinistra, come annunciato, il governo cade. Il presidente, tuttavia, ostenta sicurezza: «Quel voto non ci sarà. Dimettermi? Fantapolitica, resterò fino all’ultimo secondo».Le mozioni di censura contro Michel Barnier e il suo esecutivo saranno discusse e votate dall’Assemblea Nazionale francese a partire dalle 16. Entro stasera dunque, la Francia potrebbe non avere più un governo. Il condizionale è usato solo per prudenza, visto che è quasi certo che Barnier dirà addio al suo incarico. Questo perché il Rassemblement national, come ha confermato ancora ieri la sua leader Marine Le Pen, è pronto a votare non solo la propria mozione, ma anche quella presentata dalla coalizione di estrema sinistra del Nouveau Front Populaire. Sulla carta, queste forze politiche contano 322 voti su 577. Molti di più della maggioranza minima di 288 deputati. Il destino di Barnier sembra quindi essere già scritto, sebbene qualche deputato Nfp (7 su 192) non abbia firmato la mozione di censura presentata dai presidenti dei quattro partiti che compongono la coalizione di sinistra.Eppure, Emmanuel Macron ostenta sicurezza. Dall’Arabia Saudita, dove è in visita ufficiale, ha dichiarato di «non credere al voto di censura» contro Barnier e denunciato il «cinismo» del Rn e la «perdita di riferimenti» da parte dei socialisti. A chi gli chiedeva delle richieste di dimissioni ha replicato: «Fantapolitica. Non ha senso. Sono stato eletto due volte dal popolo francese, voglio restare fino all’ultimo secondo».In attesa del voto di questo pomeriggio, ieri si è assistito a una serie di botta e risposta tra gli esponenti macronisti e dei Républicains (Lr) ma anche tra i rappresentanti Rn e Nfp. Renaud Muselier, il presidente macronista della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, ha detto che «votare la censura significa accettare il caos» nel Paese «in nome degli interessi personali di Marine Le Pen». Come ricorderanno i lettori della Verità, quest’ultima sarà giudicata il 31 marzo prossimo nell’ambito del processo sulle presunte assunzioni fittizie di assistenti parlamentari nell’emiciclo Ue. Anche il ministro dell’Interno Bruno Retailleau (Lr) ha attaccato la Le Pen chiedendole come potesse «accettare di unire i propri voti a quelli dell’estrema sinistra che, pochi giorni fa, presentava un testo per abrogare il reato di apologia del terrorismo». Dal canto suo, Marine Le Pen ha contestato la formulazione della mozione Nfp perché in essa si parlava di «estrema destra». La leader Rn ha detto di «pensare che la sinistra e l’estrema sinistra non vogliano veramente che il Rassemblement national voti questa censura» presentata dal Nfp. Parole che potrebbero lasciar pensare che, alla fine, i deputati Rn voteranno solo la propria mozione, permettendo quindi al governo Barnier di rimanere in carica. Invece le dichiarazioni di altri esponenti lepenisti hanno raffreddato le attese e accusato nuovamente Emmanuel Macron di essere all’origine di questa crisi. «Quando si sbaglia la dissoluzione dell’Assemblea Nazionale bisogna andarsene», ha dichiarato il deputato Rn Jean-Philippe Tanguy. L’uscita del collega di partito di Jordan Bardella ricorda le parole pronunciate da Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise (Lfi) primo partito della coalizione Nfp, due giorni fa. Secondo quest’ultimo «Macron è il solo responsabile della crisi finanziaria e politica», per questo «deve andarsene e restituire la parola al voto dei francesi». Non bisogna però dimenticare che, soprattutto a causa delle sue uscite ai limiti dell’antisemitismo e una certa vicinanza con ambienti islamici, Mélenchon ha perso consensi anche a sinistra. Quindi per lui, come per Le Pen per i motivi sopra citati, sarebbe meglio se venissero convocate delle elezioni presidenziali anticipate. Delle elezioni che Mélenchon potrebbe anche vincere, sfruttando le alleanze del secondo turno che hanno impedito al Rn di ottenere la maggioranza assoluta alla Camera bassa lo scorso luglio. A quel punto, stando alle dichiarazioni e i programmi proposti da Mélenchon negli ultimi mesi, la Francia potrebbe diventare una specie di Venezuela europeo. In ogni caso, i partiti di sinistra non sembrano essere poi così uniti anche in questa fase di crisi. Da un lato ci sono dei pezzi da novanta di Lfi, come Eric Coquerel, che invitano «i compagni socialisti» a tornare a quella che secondo loro è l’unica opzione possibile, ovvero un governo a guida Nfp. Dall’altra però, c’è chi, come il capogruppo socialista alla Camera bassa francese, Boris Vallaud, che qualche giorno fa ha proposto ai «presidenti di gruppo al Senato e all’Assemblea nazionale dell’arco repubblicano (quindi Rn escluso ma compresi i Républicains, ndr) di porre le condizioni di non censura». Il problema è che se stasera la Francia rimarrà senza governo e invischiata in una storica crisi istituzionale, sarà proprio a causa di quel «fronte repubblicano» che le sinistre, i macronisti e i repubblicani hanno imbastito prima dei ballottaggi delle legislative di luglio. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, dice un proverbio. Dopo anni passati a fare i maestrini d’Europa, i governanti francesi, con Macron in testa, meriterebbero l’applicazione di questa massima della saggezza popolare. Il problema è che se la Francia dovesse implodere politicamente e finanziariamente, anche per l’Italia e l’Ue sarebbero problemi.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
iStock
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci