2018-10-23
Bankitalia smonta la fuga farlocca dei fondi stranieri dai titoli italiani
«Il Sole»: 17 miliardi ritirati ad agosto. Ma l'emergenza non c'è. Ogni estate il Mef riduce le emissioni, e i player esteri si adeguano. L'unico mese in cui questi deflussi trovano contropartita contabile netta solo nelle passività della Banca d'Italia verso l'eurosistema (il famigerato «Target 2») è maggio.Avete per caso letto nell'ultimo fine settimana sul Sole 24 Ore di “fuga" degli investitori esteri dall'Italia? Avete qualche dubbio sulla effettiva consistenza di questa fuga, e avete voglia di capire cosa sia realmente accaduto? Andiamo con ordine. Venerdì 19 il Bollettino economico, pubblicato trimestralmente dalla Banca d'Italia, tra i tanti dati ne mostrava uno: in agosto gli investitori stranieri (i «non residenti» nel linguaggio dei banchieri centrali) hanno diminuito i loro investimenti in titoli pubblici italiani per circa 17 miliardi di euro.Da qui l'immediata partenza di un tam tam finalizzato, ancora una volta, a dare l'immagine di un Paese che non riscuote fiducia, sull'orlo del baratro. Ora, giova ricordare che diffondere informazioni relative ai mercati ed a tutti gli strumenti finanziari è un'operazione da eseguire con molta cura, poiché è elevato il rischio della profezia autoavverante. Cioè prospettando il timore che accada qualcosa (la fuga dei capitali), si concorre proprio all'avveramento di quell'evento e si dà il via ad un circolo vizioso potenzialmente inarrestabile. Andando direttamente alle fonti, il quadro che emerge è molto più articolato. Infatti, il dato di agosto citato, fonte principale di tutto il clamore mediatico, è simile a quello registratosi in agosto di tutti i 5 anni precedenti (nel 2017 disinvestimenti per 22 miliardi, solo per citare un caso). Banca d'Italia spiega che ad agosto, ogni anno, l'emissione di titoli è inferiore ai rimborsi e quindi è abbastanza probabile che chi investe dall'estero abbia diminuito la consistenza dei titoli detenuti. In altre parole, in agosto al Tesoro vanno al mare e gli stranieri hanno pochi titoli da comprare poiché ricevono prevalentemente rimborsi dei titoli in scadenza. Quindi nessuna fuga. Solo variazioni dovute alla stagionalità nelle emissioni di titoli.Nell'ansia di creare clamore, si lascia emergere un fatto, quello sì davvero preoccupante. In agosto lo spread è aumentato di circa 40 punti (da 240 a 280) e tale aumento è stato proprio attribuito a queste vendite estere. Ed allora perché nell'agosto degli anni precedenti, di fronte a vendite simili, lo spread non si è mosso? Forse c'entra il fatto che c'era una Banca centrale a comprare e che, quest'anno, gli acquisti della Bce si sono ridotti a 30 miliardi? Torna quindi al centro della scena il problema principale: come è possibile che il mercato del terzo debito pubblico al mondo sia lasciato senza il presidio di una Banca centrale? Il lavoro dell'investitore o risparmiatore è quello di fare scelte, legittime, di acquisto o vendita per ottenere i migliori rendimenti, ma è opportuno che un mercato così ampio e delicato per l'economia di uno Stato possa rimanere senza un compratore di ultima istanza? O dobbiamo attendere che si arrivi di nuovo come nel luglio 2012, con spread oltre 500, per capire che il «Whatever it takes» pronunciato da Mario Draghi, che fece scendere rapidamente lo spread, deve essere permanente?Avendo la curiosità di capire cosa fosse accaduto anche a maggio (disinvestimenti pari a 25 miliardi di euro) e giugno (33 miliardi), si può scoprire che in giugno quei deflussi sono stati in gran parte compensati da «raccolta netta delle banche italiane sul mercato interbancario estero, fortemente aumentata in giugno», come scrive testualmente Banca d'Italia. In altre parole, dall'estero hanno disinvestito in titoli pubblici e hanno parcheggiato la corrispondente liquidità presso le banche italiane. Se ci fosse stata sfiducia nel Paese, come si vuole far credere, gli stranieri avrebbero lasciato tutti quei miliardi presso le banche italiane, il cui attivo è peraltro pieno di titoli pubblici? Se proprio si vuole parlare di fuga, l'unico mese in cui questi deflussi trovano contropartita contabile netta solo nelle passività della Banca d'Italia verso l'eurosistema (il famigerato «Target 2») è maggio. Non è questa la sede per addentrarsi sulla natura di queste passività: basti ricordare che questa è una delle caratteristiche dell'euro: lo sbilancio tra i flussi in entrata ed uscita dal Paese per pagamenti/incassi di merci, servizi, strumenti finanziari, non viene regolato, ma «si segna», e il saldo Target 2 è il contatore di questi flussi. Da notare che, da fine marzo 2017 a fine marzo 2018, i titoli di Stato detenuti da non residenti sono passato da 728 a 790 miliardi, poi a fine giugno 2018 sono scesi a 706 miliardi, poco al di sotto del livello di partenza. Mettendo le cose in prospettiva, si può ragionevolmente concludere che gli stranieri erano arrivati alla vigilia delle nostre elezioni un po' troppo carichi e si sono alleggeriti. Normali scelte di allocazione di portafoglio, come accade tutti i giorni in tutti i mercati del mondo, senza destare particolari allarmi. Ma i numeri di Banca d'Italia riservano anche altre sorprese: la fuga in atto non è quella degli stranieri dai titoli italiani, ma quella degli italiani verso i titoli stranieri. Infatti, da marzo 2015 (inizio del Quantitative easing) ad agosto 2018, ben 349 miliardi sono stati investiti dagli italiani prevalentemente in titoli e fondi comuni esteri. Ora sappiamo dov'è finita tutta la liquidità «stampata» con cui la Bce ha comprato i titoli pubblici dell'eurozona (circa 2.900 miliardi, di cui circa 360 direttamente nel bilancio della Banca d'Italia): è stata usata per imbottirci di fondi comuni esteri. Ma questo è sconveniente dirlo: non è funzionale alla narrazione dominante, perché è un fenomeno in atto ormai da 3 anni e quindi non è spendibile da chi vorrebbe dimostrare che la fuga (improbabile) è un'altra.Dottore commercialista
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo