2018-03-30
Bankitalia è gonfia di miliardi, diamoli ai truffati
Mentre i risparmiatori piangono, la Banca d'Italia ride. Il governatore di via Nazionale ieri ha infatti comunicato i dati di bilancio del 2017, annunciando - udite udite - che lo scorso anno l'istituto ha ottenuto «il risultato più elevato mai raggiunto prima». In soldoni fanno 3,9 miliardi di utile netto, mica spiccioli. Facendo la ruota come un pavone, Ignazio Visco ha spiegato che «il margine d'interesse è quasi raddoppiato rispetto al 2008, sfiorando gli 8 miliardi». L'anno scelto per il confronto ovviamente non è casuale: essendo stato nominato nel 2011, in piena crisi economico-finanziaria, all'epoca il numero uno della banca non era ancora al timone dell'ente che governa sugli istituti di credito, ma ricopriva l'incarico di semplice capo dell'ufficio studi. Traduzione del messaggio: da quando c'è lui l'utile è esploso. Certo, il governatore ha precisato che «le misure di politica monetaria di natura straordinaria hanno determinato un aumento consistente del reddito della banca, nonostante i bassi tassi di interesse», ma il risultato non cambia. Nonostante sia il frutto straordinario del quantitative easing, ovvero dell'immensa liquidità pompata da Mario Draghi nel sistema, l'utile se lo intesta chi firma il bilancio, cioè Visco. Dell'utile boom sarà particolarmente grato il governo, perché la Banca d'Italia staccherà al ministero dell'Economia una sostanziosa cedola. Già, gran parte dell'utile se lo papperà lo Stato sotto forma di dividendi (circa 3,3 miliardi) e tasse. In totale fanno quasi 5 miliardi, 1,5 in più rispetto allo scorso anno, quando via Nazionale registrò un risultato da record. Mettendo insieme le cifre in positivo conseguite dal 2015 a oggi, si scopre che l'istituto guidato da Visco ha collezionato utili per un valore di quasi 10 miliardi. Mica noccioline. Questo mentre i risparmiatori che hanno investito il loro denaro negli istituti di credito li hanno visti sparire in una voragine che si è allargata sempre di più. Mps, Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti, Cariferrara, Veneto Banca, Popolare di Vicenza, il buco che ha inghiottito i soldi di molti italiani ha lasciato senza speranza chi aveva sottoscritto azioni e obbligazioni. Eppure fino a pochi anni fa, dal ministero dell'Economia e anche dalla Banca d'Italia arrivavano messaggi tranquillizzanti. I nostri istituti di credito sono più sicuri degli altri, ripetevano a raffica: a differenza delle banche straniere, non hanno spinto l'acceleratore sull'internazionalizzazione e nemmeno si sono lanciate in operazioni finanziarie spericolate, con strumenti complessi. Dunque, concludevano, possiamo dormire sonni tranquilli.Quanto ci fosse di vero negli appelli rasserenanti lo abbiamo scoperto di lì a poco, quando le banche - piccole e grandi - hanno cominciato a cadere come birilli. Anche senza essersi spinti all'estero (forse per la cronica carenza di dirigenti che sapessero leggere e conversare in inglese), anche senza essersi avventurati in investimenti a rischio, gli istituti di credito si sono trovati con il fiato corto a causa dei parametri imposti dalla Bce e dai molti prestiti fatti ad amici degli amici senza alcuna garanzia.Risultato, in tre anni sono andati in fumo 4,3 miliardi investiti in obbligazioni, 18 miliardi di valore azionario e il salvataggio allo Stato, cioè a tutti i contribuenti, è costato la bellezza di 22 miliardi. Insomma, un disastro. Da cui certo la Banca d'Italia non può chiamarsi fuori lavandosene le mani. Per quanto Ignazio Visco abbia cercato di autoassolversi durante le audizioni disposte dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sui crac degli istituti di credito, le colpe della vigilanza sono evidenti. Se una banca occulta le perdite nelle pieghe di bilancio, i soli a poterlo sapere sono gli ispettori di via Nazionale, non certo i risparmiatori. Se i banchieri fingono di rafforzare il patrimonio finanziando senza garanzia chi compra le loro azioni, gli unici che hanno la possibilità di scoprirlo sono i funzionari di Visco, non i clienti. Dunque, se si sono bruciati tutti quei soldi le responsabilità vanno adeguatamente ripartite fra chi sedeva in consiglio di amministrazione, fra i politici che tenevano bordone ai banchieri, ma anche tra chi, per dovere, doveva tenere gli occhi aperti e invece li ha chiusi. Per questo credo che quei 3,9 miliardi di utile conseguiti dalla Banca d'Italia non dovrebbero essere spartiti fra i soci sotto forma di dividendo ma, almeno in parte, dovrebbero essere restituiti ai 400.000 risparmiatori che hanno perso tutto e non hanno ottenuto niente, se non le briciole. Visco non può celebrare l'utile record raggiunto da via Nazionale senza ricordare il record in negativo della liquidità bruciata sotto la sua gestione. Quindi, metta mano al portafogli. Altrimenti, se non vuole, metta mano alla penna per firmare le scuse e sparire.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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