2025-04-29
Se il progetto andasse a buon fine, il gruppo assicurativo potrebbe diventare vulnerabile a blitz di colossi esteri. Attesa per Orcel, impegnato sui tavoli Banco Bpm e Commerzbank. Oggi Intesa conferma Messina.Mossa azzardata quella di Alberto Nagel e di Philippe Donnet. A soli cinque giorni dall’assemblea di Generali, in cui il manager corso ha incassato la riconferma e l’ok al suo piano grazie al sostegno della lista di Mediobanca, cambiano le carte in tavola e gli equilibri dentro il Leone. La decisione di lanciare un’offerta per Banca Generali (che non può certo essere concordata con il Leone salvo incorrere in reati) scambiando carta contro carta per prima cosa fa terminare la storica partecipazione di Piazzetta Cuccia che cede così in cambio del gioiellino del risparmio gestito la propria quota. Mediobanca se ne esce di fatto e si butta su un mercato che fino a oggi la vedeva in terza fila: quello appunto del wealth management. Durante la conferenza stampa di ieri Nagel ha snocciolato numeri e stime di obiettivi descrivendosi già come leader del settore. Come reagirà Mediolanum che è a sua volta azionista di Piazzetta Cuccia? Se il progetto andasse in porto la famiglia Doris si troverebbe di fronte al consolidamento del mercato e con un concorrente più grosso. Vedremo. Perché un po’ di marketing ci sta, ma i numeri sono leggermente più ostici. Basta osservare la tabella in pagina per capire che in termini di raccolta e di professionisti all’opera c’è tanto da fare per raggiungere il gruppo Intesa. A livello di raccolta, di clientela e di agenti. A meno che si voglia vedere il piano come un tentativo di tirare in ballo la banca guidata da Carlo Messina che giusto oggi sarà riconfermato in occasione dell’assemblea e terminerà il suo semestre bianco. Tra l’altro è notizia recente l’acquisizione di un professionista proveniente dal circuito di Mediobanca che nel cambiare casacca ha portato con sé circa un miliardo di raccolta. Questo per dire che il settore è fatto di uomini, relazioni e contratti a partita Iva. E dunque si muove con una certa fluidità. Così come può essere mobile anche l’azionariato di Banca Generali (ci riferiamo al 49% non in mano al Leone) che è costituito da fondi internazionali che in più casi sono giù azionisti di Generali. Mettere sul mercato carta vale un po’ come il sentiero dell’inflazione. Potrebbe nel breve e medio termine portare a vendite sul titolo del Leone da parte di chi non desidera concentrare la propria posizione su una singola assicurazione. Se osserviamo l’operazione dal punto di vista di Mediobanca è chiaro il tentativo di rafforzare il titolo e mangiarsi un boccone come quello di Banca Generali per rendere più difficile la scalata di Mps. Tentativo che sarà al vaglio dell’assemblea per via dei cavilli imposti a chi è già sotto Ops. Ma se osserviamo l’operazione dal punto di vista di Generali si aprono una serie di osservazioni su cui il mercato dovrà dare un parere. Il Leone allocherebbe capitale a rendimento zero, trattandosi di azioni proprie, e in più dovrà rinunciare agli utili di Banca Generali con una riduzione del patrimonio di vigilanza. Inoltre, con l’uscita di scena del socio storico a chi andranno le azioni? Non ci riferiamo a quelle che finiscono nel concambio con Generali (circa il 6,6%) ma alle altre, quelle in mano ai fondi. In questo modo c’è un rischio che il Leone si esponga a operazioni da parte di colossi stranieri o anche di altre istituzioni italiane. Resta infatti fermo il blocco industriale guidato da Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri che la scorsa settimana hanno confermato tre consiglieri nel cda. Ma sul resto si apre uno scenario estremamente delicato. Sempre in occasione dell’assemblea si è pesato il voto di Andrea Orcel che ha aderito alla lista di Vm 2006 dando un segnale politico e facendo intendere che il progetto con Natixis non è poi così ben visto da Unicredit. La stessa banca si muove già su più fronti. Quello tedesco su Commerzbank e quello italiano su Banco Bpm, recentemente oggetto di un duro decreto di vincoli del comitato del golden power. Orcel è descritto come banchiere abile ad aprire i tavoli e giocarsi all’ultimo la carta vincente. Non abbiamo certo elementi per sostenere che la terza carta possa essere Generali ma torna alla mente il colloquio pubblicato poco tempo fa da Repubblica in cui Fabrizio Palenzona invocava una pax sul Leone e l’ingresso di operatori industriali. Nel senso di bancari. Chi ha letto il nome di Orcel e chi quello di Intesa. È chiaro che l’intervista era più il tentativo di dare un colpo e un messaggio a Nagel (consiglio non seguito) piuttosto che una candidatura in extremis (valida se fosse rimasto al vertice di Crt) alla presidenza di Generali. Senza scadere nella fantafinanza, un tema adesso è certo: il vortice di Ops e contro Ops dovrà trovare una sintesi. Da domani Carlo Messina inizierà a lavorare al piano industriale del prossimo quadriennio, piano che sarà presentato febbraio 2026. Sono in molti a chiedersi che cosa ci sarà dentro e se Intesa continuerà a dedicarsi al risparmio degli italiani oppure farà un passo in là magari proprio nel risparmio gestito o nelle assicurazioni. Che succederebbe se qualcuno decidesse di fare un’offerta di acquisto con soldi veri su Banca Generali? Certo per il cda del Leone sarebbe difficile dire di no. Anche se significherebbe un ulteriore colpo di scena per Mediobanca. Anche però immaginando un percorso in discesa sull’istituto guidato da Gian Maria Mossa rimane sul tavolo l’incognita di fondo. Generali è più contendibile? Come si muoverà il governo che, come tutti gli esecutivi, ha un particolare occhio di riguardo verso il risparmio e verso la massa di Btp detenuta a Trieste? Riterrà che Donnet sia diventato il «proprietario» di Generali? Tutti interrogativi da dipanare.
Elly Schlein (Ansa)
La leader Pd dice che la manovra «favorisce solo i ricchi», come se avere un reddito da 50.000 euro lordi l’anno fosse da nababbi. In realtà sono fra i pochi che pagano tasse dato che un contribuente su due versa zero Irpef. Maurizio Landini & C. insistono con la patrimoniale. Giorgia Meloni: «Con me mai». Pure Giuseppe Conte non ci sta.
Di 50.000 euro lordi l’anno quanti ne finiscono in tasca a un italiano al netto di tasse e contributi? Per rispondere è necessario sapere se il contribuente ha moglie e figli a carico, in quale regione viva (per calcolare l’addizionale Irpef), se sia un dipendente o un lavoratore autonomo. Insomma, ci sono molte variabili da tener presente. Ma per fare un calcolo indicativo, computando i contributi Inps al 9,9 per cento, l’imposta sui redditi delle persone fisiche secondo i vari scaglioni di reddito (al 23 per cento fino a 28.000 euro, al 35 per la restante parte di retribuzione), possiamo stimare un netto di circa 35.000 euro, che spalmato su tre dici mensilità dà un risultato di circa 2.600 euro e forse anche meno. Rice vendo un assegno appena superiore ai 2.500 euro al mese si può essere iscritti d’ufficio alla categoria dei ricchi? Secondo Elly Schlein e compagni sì.
Elly Schlein e Vincenzo De Luca (Ansa)
Dopo aver sfidato lo «sceriffo di Salerno» il segretario dem si rimangia tutto. E per Roberto Fico conta sui voti portati dal governatore, che impone ricompense per il figlio. Sulla partita veneta, Ignazio La Russa apre a Luca Zaia nel governo.
«Vinciamo»: il coordinatore regionale di Forza Italia in Campania, Fulvio Martusciello, capodelegazione azzurro al Parlamento europeo, lo dice alla Verità e sembra convinto. L’ennesima manifestazione elettorale di Fi al centro di Napoli è un successo clamoroso: centinaia di persone, il ritratto di Silvio Berlusconi troneggia nella sala. Allora crede ai sondaggi più ottimisti? «No», aggiunge Martusciello, «credo a quello che vedo. Siamo riusciti a entrare in tutte le case, abbiamo inventato il coordinatore di citofono, che si occupa di curare non più di due condomini. Parcellizzando la campagna, riusciremo a mandare a casa una sinistra mai così disastrata». Alla remuntada in Campania credono tutti: da Giorgia Meloni in giù. Il candidato presidente del centrodestra, Edmondo Cirielli, sente aria di sorpasso e spinge sull’acceleratore.
Matteo Zuppi (Ansa)
Il cardinale Matteo Zuppi, in tv, svela la fonte d’ispirazione della sua dottrina sociale sui migranti: gli «industriali dell’Emilia-Romagna». Ai quali fa comodo la manodopera a buon mercato, che riduce le paghe medie. Così poi la sinistra può invocare il salario minimo...
Parafrasando Indro Montanelli, viene da pensare che la Chiesa ami talmente i poveri da volerne di più. Il Papa ha appena dedicato loro un’esortazione apostolica, ma le indicazioni di politica economica ai cattolici non arrivano da Leone XIV, bensì dai capitalisti. E vengono prontamente recepite dai vescovi. Bastava ascoltare, venerdì sera, il presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi, intervistato a Propaganda live: l’immigrazione, ha insistito il cardinale su La 7, «è necessaria. Se si parla con qualsiasi industriale in Emilia-Romagna dice che non c’è futuro senza».
Il Carroccio inchioda i sindacati: «Sette mobilitazioni a novembre e dicembre. L’80% delle proteste più grosse si è svolto a ridosso dei festivi. Rispettino gli italiani».
È scontro politico sul calendario degli scioperi proclamati dalla Cgil. La Lega accusa il segretario del sindacato, Maurizio Landini, di utilizzare la mobilitazione come strumento per favorire i cosiddetti «weekend lunghi», sostenendo che la maggioranza degli scioperi generali indetti nel 2025 sia caduta in prossimità di giorni festivi o di inizio e fine settimana.





