2018-05-29
Bail in anticipato e crac delle venete. La tutela del credito dimenticata
Il Colle ha approvato svariati decreti non ritenendoli in contrasto con l'articolo 47.Con un atto senza precedenti il presidente della Repubblica si è rifiutato di nominare un ministro non perché non possa adempiere «con disciplina ed onore» il proprio mandato come richiesto dalla Costituzione, ma in quanto avrebbe idee sull'Europa che non collimano con quelle del Quirinale. E questo, sempre a dire di Sergio Mattarella, avrebbe determinato «rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane». A quanto pare il presidente giustificherebbe la propria scelta di non nominare Paolo Savona sulla base dell'articolo 47 della Costituzione che prescrive come «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». Cosa quanto mai curiosa, visto che Savona ha addirittura presieduto il Fondo interbancario per la tutela dei depositi e del risparmio.Ma in passato il Quirinale era stato chiamato a controfirmare decreti legge che determinavano un risultato immediato e concreto: l'azzeramento del risparmio di nostri concittadini e famiglie.È il 23 novembre 2015 e Mattarella, dopo quasi 300 giorni di soggiorno al Quirinale, controfirma un decreto legge che di fatto consente l'applicazione del cosiddetto bail in su quattro banche in difficoltà: Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara. La decisione anticipa di circa un mese l'entrata in vigore della procedura di risoluzione delle banche in crisi voluta e votata nel Consiglio Ue. Una «tortura» non ancora obbligatoria, ma che i nostri governanti di allora hanno ritenuto legittimo anticipare. Il risultato è devastante ancorché sottovalutato in quei primi giorni: il salvataggio delle banche avviene azzerando i risparmi di circa 130.000 obbligazionisti ed azionisti. Nella sola Toscana circa 35.000 risparmiatori hanno perso tutto. Inceneriti 300 milioni di azioni e obbligazioni con una perdita media di 15-20.000 euro. Dopo di allora molta altra acqua sotto i ponti è passata. All'indomani del referendum costituzionale rovinosamente perso da Matteo Renzi, il neo insediato premier Paolo Gentiloni firma un impegno di spesa di 20 miliardi principalmente destinato a Banca Mps. Si voleva evitare che gli obbligazionisti subordinati di Rocca Salimbeni facessero la stessa fine toccata a quelli delle quattro banche. Nessuna copertura finanziaria per un decreto controfirmato in fretta e furia dal Quirinale. Che tuttavia non sembra far tesoro dell'esperienza passata di lì a pochi mesi quando Banca Intesa acquista per un euro due banche venete: Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Un contratto di 124 pagine ampiamente illustrato a più riprese su scenarieconomici.it. Guarda caso, lo stesso blog che ha pubblicato in anteprima ed in esclusiva alcune dichiarazioni di Paolo Savona che domenica hanno fatto il giro delle agenzie per arrivare sul tavolo di Mattarella.Era tecnicamente un contratto di cessione di azienda. Firmato dal liquidatore Fabrizio Viola. In precedenza amministratore delegato delle due banche dopo aver trascorso qualche anno in Banca Mps. L'oggetto del contratto sono certe attività, passività e rapporti giuridici, diciamo in linea con i desiderata di Banca Intesa. Il corrispettivo è da caffè in bar di periferia: un euro, da dividersi equamente in 50 centesimi per Banca popolare di Vicenza e 50 centesimi per Veneto Banca. Il crac delle banche venete è stato particolarmente duro dal momento che ha interessato migliaia di azionisti praticamente obbligati ad acquistare azioni delle banche a valori prestabiliti dal momento che le azioni non erano quotate e quindi senza un prezzo di mercato trasparente. Troppo spesso un imprenditore o un consumatore che bussava alla porta della banca per avere uno scoperto di conto o un mutuo si sentiva dare una risposta simile a: «Devi essere socio della banca, altrimenti non puoi avere un credito». Non venivano certo richieste cifre simboliche. Tutt'altro. Spesso anche 20.000 euro a fronte di un credito di 100.000. E se il malcapitato non aveva fondi nessun problema. Li prestava la banca. Erano le cosiddette «operazioni baciate». Peccato che una volta distrutto il capitale di queste banche al cliente rimaneva l'intero debito da pagare ma senza più le azioni in portafoglio. Tutto questo cosa c'entra con il Quirinale? Il decreto legge 99 del 25 giugno 2017 che consentiva la cessione delle due banche ad un euro all'articolo 3 lettera b) disponeva che tutti quei crediti che gli ex azionisti stavano cercando di far valere di fronte ad un giudice non finivano in capo a Intesa. Ma rimanevano in pancia alla vecchia banca che non aveva più in portafoglio tutto il ben di Dio ceduto per un euro. Pure questo è stato controfirmato dal Quirinale. E l'articolo 47 della Costituzione?
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)