2023-10-24
Clandestini liberati, il governo fa ricorso
Nel riquadro, Iolanda Apostolico (Ansa)
L’Avvocatura generale dello Stato impugna le ordinanze dei giudici salva migranti: «Le direttive Ue prevedono i controlli alla frontiera e il pagamento della cauzione. E se lo straniero viene da un Paese sicuro, sta a lui dimostrare di essere a rischio».Le ordinanze con le quali i giudici di Catania Iolanda Apostolico e Rosario Maria Annibale Cupri hanno negato la convalida del trattenimento di stranieri irregolari (tutti tunisini) disapplicando il decreto Cutro sono state impugnate dall’Avvocatura generale dello Stato davanti ai giudici della Corte di Cassazione. I ricorsi, per la novità e il rilievo della materia, fanno sapere da Palazzo Chigi, sottopongono alla Suprema corte l’opportunità di decidere a sezioni unite e affrontano quelli che vengono definiti «punti critici» nelle motivazioni delle ciclostilate ordinanze catanesi che hanno ritenuto violata la direttiva Ue numero 33 del 2013, ovvero le norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. In sostanza, la vulgata delle posizioni giuridiche anti Cpr sostiene che il richiedente non possa essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda. La procedura di frontiera, inoltre, andrebbe svolta nel luogo di sbarco, dove il migrante ha manifestato la volontà di chiedere protezione. Mentre il pagamento di una somma a garanzia per evitare il trattenimento sarebbe incompatibile con la direttiva Ue del 2013 che, secondo i giudici dei rigetti, sarebbe già stata interpretata dalla giurisprudenza: il trattenimento sarebbe previsto soltanto, ove necessario, sulla base di una valutazione caso per caso, salvo che non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive. I decreti dei prefetti sono quindi diventati carta straccia e i tunisini sono tornati liberi di circolare e di rendersi irreperibili. L’Avvocatura dello Stato, che punta a smontare le interpretazioni tecniche delle toghe, invece, sostiene che «a differenza di quanto sostenuto nelle ordinanze, la direttiva per decidere sulla ammissibilità della domanda di protezione internazionale prevede procedure specifiche alla frontiera o in zone di transito se il richiedente non ha documenti e proviene da un Paese sicuro». La stessa direttiva, poi, «stabilisce alternativamente il trattenimento o il pagamento di una cauzione, e quindi non vi è ragione per disapplicare i decreti del questore che fissano l’uno o l’altro». Inoltre, «la direttiva contempla, ancora, la possibilità che il richiedente sia spostato in zona differente da quella di ingresso se gli arrivi coinvolgono una quantità significativa di migranti che presentano la richiesta». Infine, «in caso di provenienza del migrante da un Paese qualificato come sicuro deve essere il richiedente a dimostrare, nella specifica situazione, il contrario, senza improprie presunzioni da parte del giudice». I ricorsi vanno a colpire tutti gli elementi giuridici puntualmente interpretati nei 14 provvedimenti dei due giudici della sezione immigrazione del Tribunale civile di Catania, ai quali si è poi accodato il giudice del Tribunale di Potenza Filippo Palumbo, che come i due colleghi non ha convalidato il trattenimento di un tunisino nel Cpr di Palazzo San Gervasio. E mentre le toghe provano a minare gli argini posti con il decreto Cutro, il governo accelera sulle espulsioni: salgono a 56 i rimpatri adottati nei confronti di stranieri ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale. Gli ultimi due, un tunisino un kosovaro ritenuti «fortemente radicalizzati», sono stati rispediti nei loro Paesi d’origine domenica. Il tunisino è stato attenzionato durante un periodo di detenzione nel carcere di Piacenza. Nella sua cella fu trovata la foto di un combattente armato di mitra con alle spalle la bandiera dell’Isis. Il tunisino aveva anche assunto il ruolo di leader tra gli altri detenuti. Scarcerato nel 2020 è stato colpito più volte da provvedimenti di espulsione rimasti, però, tutti ineseguiti. È stato rintracciato a fine settembre ed è finito nel Cpr di Gradisca d’Isonzo. Con il via libera delle autorità consolari tunisine è stato rimpatriato. Il kosovaro, invece, era monitorato dal 2016 e, dopo essere finito in alcune indagini antiterrorismo, aveva ricevuto un decreto d’espulsione. Il 14 ottobre scorso è stato rintracciato in provincia di Trieste e arrestato per violazione del divieto di reingresso sul territorio nazionale. Condannato per direttissima a Trieste a 8 mesi di reclusione è stato accompagnato al Cpr di Gradisca d’Isonzo per il rimpatriato. Quest’estate, invece, erano stati espulsi altri due stranieri indicati come potenzialmente pericolosi: il primo aveva mantenuto contatti con un complice dell’attentato del 2016 a Berlino e aveva «avviato un percorso di adesione ideologica all’estremismo terrorista», mentre il secondo, un tunisino sbarcato a Lampedusa, era stato segnalato per reati connessi al terrorismo internazionale. Salgono così a 56 i rimpatri eseguiti: uno per ordine del ministro dell’Interno, 42 dei prefetti, undici dell’autorità giudiziaria e due per la violazione del testo unico dell’immigrazione. Guidano la classifica degli espulsi i tunisini, ben 36, seguiti dai marocchini (otto). Gli albanesi rimpatriati sono due, come gli algerini. Uno per nazionalità, invece, i radicalizzati afghani, gambiani, ghanesi, kosovari, macedoni, nigeriani, pakistani e senegalesi.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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