2023-03-03
Il voto sull’auto verde verso un nuovo rinvio
La pronuncia del Coreper sullo stop ai motori a benzina, in calendario oggi e già rimandata una volta, potrebbe slittare ancora. Italia, Bulgaria e Polonia contro, Germania in bilico. Telefonata fra Matteo Salvini e il suo omologo tedesco. Adolfo Urso: «Tuteliamo le imprese».Gianclaudio Torlizzi in audizione all’Europarlamento: «La nostra dipendenza dalla Cina crescerà». Lo speciale contiene due articoli.La Germania non ha ancora deciso la sua posizione definitiva sullo stop alla immissione nel mercato dal 2035 di auto e furgoni a diesel e benzina, e quindi si va verso un nuovo rinvio della discussione sul punto al Coreper, l’organismo che riunisce i rappresentanti dei 27 Stati membri della Ue. Il «no» dell’Italia e della Polonia, l’astensione della Bulgaria e la titubanza di Berlino avevano già provocato lo slittamento del voto, previsto in origine per il 1° marzo e poi fissato per oggi, ma 48 ore non sono bastate alla Germania per prendere una posizione definitiva sul punto, poiché il governo tedesco vede al suo interno posizioni differenti, con i Verdi che sono per l’ok e i Liberali che invece hanno molti dubbi, e chiedono in particolare che anche dopo il 2035 sia consentita la vendita di motori a combustione alimentati con gli efuel, combustibili liquidi o gassosi, di origine sintetica, che non emettono anidride carbonica nell’atmosfera. Ricordiamo che l’approvazione del regolamento deve avvenire a maggioranza qualificata, con due condizioni che devono verificarsi contemporaneamente: il 55% degli Stati membri, ovvero 15 su 27, deve votare a favore, e gli Stati che appoggiano la proposta devono rappresentare almeno il 65% della popolazione totale della Ue. Il meccanismo della «minoranza di blocco» prevede inoltre che se quattro membri del Consiglio europeo votano contro, la proposta non passa. Con Italia, Bulgaria e Polonia che hanno già annunciato che non voteranno il regolamento, un «no» della Germania sarebbe la pietra tombale sulla misura, e dunque meglio rinviare tutto: «È probabile», ha detto ieri a La Presse una fonte diplomatica europea, «che anche domani (oggi, ndr) il punto alla riunione degli ambasciatori Ue sullo stop alle auto inquinanti dal 2035 venga rimandato, come successo mercoledì. Sembrerebbe, infatti, che i tedeschi non riescano a risolvere la questione nelle prossime 24 ore e senza certezza della posizione tedesca, la presidenza di turno svedese del Consiglio Ue non ha alcun interesse a portare il punto al Coreper», ha aggiunto la fonte, «perché si troverebbe a forzare una votazione in cui il risultato sarebbe probabilmente una bocciatura». Salvo clamorosi imprevisti, dunque, se ne riparlerà nei prossimi giorni: il provvedimento, dopo il passaggio al Coreper, dovrebbe essere votato al Consiglio Ue del 7 marzo, classificato come argomento di tipo A, che non richiede ulteriori negoziati. Ieri Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture, e il suo omologo tedesco Volker Wissing hanno parlato al telefono: durante il colloquio è stata ribadita la forte intesa sul principio di neutralità tecnologica per evitare lo stop dal 2035 per i motori a combustione. Un tema molto importante riguarda anche le batterie che alimentano le auto elettriche: non solo la Cina è il maggior produttore al mondo, ma sulla discussione europea pesa anche la legge americana sulla riduzione dell’inflazione: «Abbiamo ricevuto», ha spiegato ieri il ministro svedese dell’Energia, delle imprese e dell’industria, Ebba Busch, «alcuni rapporti preoccupanti sui possibili effetti della legge Usa sulla riduzione dell’inflazione sull’industria delle batterie all’interno dell’Unione europea. Potrebbe portare fino a un aumento dei prezzi o a un divario del 40%. Dobbiamo trovare una risposta comune, dobbiamo trovare una risposta ora». «Abbiamo bisogno di batterie per l’industria automobilistica e per l’accumulo di energia rinnovabile», ha ribadito il vicepresidente della Commissione europea, Maros Sefcovic, «dobbiamo lavorare insieme come europei per assicurarci di avere una parità di condizioni a livello globale, perché abbiamo visto che alcune delle principali economie stanno facendo pressione con politiche industriali molto assertive». «Non mettiamo in dubbio le date del 2035 o del 2050», ha sottolineato il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, «ma chiediamo che ci sia una riflessione sulla base dei dati concreti che sono sotto gli occhi di tutti, e che hanno portato le associazioni di imprese europee a chiedere un cambio di passo alla Commissione europea. Noi tuteliamo l’impresa e il lavoro italiano ed europeo, e credo che sia questo uno dei punti fondamentali di un’Europa che voglia essere solidale e competitiva a livello globale. Per questo», ha aggiunto Urso, «chiediamo che siano modificate le tappe e le modalità per giungere a quegli appuntamenti, affinché siano sostenibili. Per esempio, non vediamo perché debba essere considerata soltanto l’elettricità, che non è una religione, ma una tecnologia come altre. Se le tecnologie, per esempio pensiamo ai biocombustibili, possono permetterci di raggiungere lo stesso obiettivo, perché non dobbiamo utilizzarle?». I biorcarburanti sono derivati dagli scarti delle coltivazioni agricole. «L’Italia voterà contro», ha aggiunto Urso, «come segnale per quanto riguarda tutte le attività che la Commissione e le istituzioni europee metteranno in campo, e che faremo insieme a loro nei prossimi mesi e che riguardano gli altri dossier che sono ancora aperti, il packaging o l’eco tessile. Dossier sui quali noi chiediamo ragionevolezza». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/auto-verde-verso-un-rinvio-2659494046.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-materie-prime-sempre-piu-care-per-colpa-delle-ecopolitiche-dellue" data-post-id="2659494046" data-published-at="1677795119" data-use-pagination="False"> «Le materie prime sempre più care per colpa delle ecopolitiche dell’Ue» «Rimodulare le politiche climatiche rappresenta un passaggio necessario sia per affrancarsi da una pericolosa dipendenza su metalli e gas nei confronti di Pechino ma sia anche per allentare la crisi inflazionistica». Con queste parole Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, ieri ha stroncato le scelte Ue durante un’audizione congiunta delle commissioni Commercio internazionale e Mercato interno del Parlamento europeo degli esperti del settore. Un intervento che ha messo in luce gli errori del Green deal spinto da Ursula von der Leyen, che aumenterà la nostra dipendenza dalla Cina e sosterrà la corsa dei prezzi delle materie prime, non legata solo alla guerra in Ucraina. Infatti il primo shock al sistema economico globalizzato è arrivato con Covid e lockdown: l’immissione di un’enorme liquidità nei mercati ha innescato un «ciclo rialzista delle commodities», che erano in fase ribassista dal 2010/2012, ha esordito Torlizzi. Ma anche se, dopo i rialzi dei tassi, ora i prezzi delle materie prime hanno iniziato a raffreddarsi rispetto ai picchi massimi toccati nelle prime fasi del conflitto, sarebbe un errore pensare che la tendenza si sia invertita. «È lecito», ha spiegato l’esperto, «ritenere come la discesa dei prezzi nel secondo semestre 2022 non rappresenti altro che una pausa all’interno di un superciclo rialzista delle materie prime e dell’energia. E questo non solo in ragione delle attese di riaccelerazione dell’economia cinese. Ma soprattutto in ragione del deficit derivante dall’implementazione delle politiche climatiche. Politiche che, ruotando esclusivamente sull’elettrificazione, comportano un forte aumento dei consumi di acciaio e metalli». In sintesi, «il Green deal rappresenta un driver rialzista dei prezzi delle commodities non solo perché comporta un forte aumento dei consumi di metalli necessari per accelerare il processo di elettrificazione ma anche perché disincentiva gli investimenti in capacità produttiva che saranno ancora necessari». A pesare, poi, anche i prezzi dei certificati di emissione di CO2 in favore dei settori energivori. «Proprio il raggiungimento del prezzo della CO2 intorno ai 100 euro/t è uno dei driver che contribuisce a mantenere il prezzo dell’elettricità in Francia, Germania e Italia sopra i 100 euro MWh»: una politica che incentiva la fuga delle aziende dal Vecchio continente.Ma i problemi provocati dalla transizione non si fermano qui: le tecnologie verdi aumenteranno esponenzialmente la nostra dipendenza dalla Cina, politica autolesionistica come ha mostrato la crisi del gas. Tanto più che Pechino si sta avvicinando e Mosca mentre i rapporti con gli Usa, fra dazi e sostegno a Taiwan, sono sempre più tesi. Da questo punto di vista, la dipendenza dal Dragone per terre rare e metalli necessari all’elettrificazione è pressoché totale sia per l’estrazione, sia per la raffinazione. Le forniture, ha sottolineato Torlizzi, sono concentrate «in Cina sia direttamente come nel caso delle terre rare e della grafite ma sia anche indirettamente. Con una quota di mercato superiore al 60%, la Repubblica Democratica del Congo (Rdc) domina la produzione di cobalto seguita dall’Indonesia. Tuttavia, le società cinesi ora possiedono 15 delle 17 miniere di cobalto nella Rdc e controllano il 97% delle forniture indonesiane. Anche nel nichel, la Cina mantiene una posizione di leadership, incidendo circa per il 45% dell’offerta globale di miniere di nichel attraverso la sua proprietà delle operazioni in Indonesia». E mentre noi ci dissanguiamo per seguire il mantra emissioni zero, Pechino sfugge all’inflazione grazie al «massiccio utilizzo del carbone come fonte energetica. Gli enormi sforzi che oggi dunque vengono richiesti a imprese e famiglie europee rischiano di finire completamente vanificati dalla politica energetica cinese», sottolinea Torlizzi. Un approccio meno ideologico e più pragmatico è quindi d’obbligo perché «è in ballo il futuro dell’Europa».
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)