I cittadini preferiscono riparare che acquistare veicoli green. Giro d’affari da 1 miliardo, il doppio del 2016
I cittadini preferiscono riparare che acquistare veicoli green. Giro d’affari da 1 miliardo, il doppio del 2016Lo chiamano «effetto Cuba», perché nell’isola di Fidel Castro, sottoposta a embargo, si continuavano a riparare le vetture americane degli anni Cinquanta. In Italia non siamo a questo punto, ma le auto nuove costano care, i tempi di consegna sono lunghi, le limitazioni ecologiche disorientano i clienti, gli stipendi restano bassi, gli incentivi si esauriranno in pochi mesi e così gli italiani si tengono le auto che hanno, le riparano, le usano magari meno di prima, ma non le rottamano. Se poi ci mettiamo provvedimenti come quello di Bologna a 30 all’ora, città che da «la Grassa» è divenuta «la Lenta», è anche difficile creare nuove generazioni di automobilisti. Tra decisioni europee (e nazionali) scellerate e una situazione internazionale difficile, sul settore automobilistico pare permanere la tempesta. Impossibile negare che ci sia anche una nuova difficoltà di reperire componenti a causa delle guerre in corso, fenomeno che ha costretto alcune case a fermare le produzioni con impatti sui tempi di consegna.Secondo Unrae (Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri), in Italia da gennaio a ottobre 2023 il mercato italiano dell’usato è aumentato dell’8,7%, acquisendo quindi un’importanza rilevante sul totale delle transazioni. Nel 2023 ci sono stati 3.631.312 passaggi di proprietà.Secondo una ricerca di Carfax, operatore specializzato nella ricerca dati dei veicoli usati, gli italiani cercano soprattutto auto usate di 8-10 anni dalla prima immatricolazione, un’età più bassa di poco rispetto alla media del parco circolante, che stando alle statistiche dell’Automobile club italiano è di 12 anni e mezzo. Carfax dice anche che un’auto usata su cinque può aver presentato un problema come essere stata danneggiata (14% dei casi) o incidentata (9%), e questo aumenta il mercato dei ricambi. L’acquisto di vetture nuove in Italia non è fermo, ma nell’anno appena finito ci sono state 1.566.448 nuove immatricolazioni, +19% rispetto al 2022 ma ancora -18,3% sul 2019. Disastro (annunciato) per le elettriche, con il 4,2% del totale. Fa quindi notizia che Asconauto, l’Associazione dei concessionari che si occupa anche di distribuzione dei ricambi in Italia (con Asconauto logistica, con quasi l’80% dei rivenditori associato suddiviso in 37 distretti), abbia comunicato numeri che dimostrano la volontà degli automobilisti italiani di tenersi l’automobile che hanno e, nel caso sia necessario, di ripararla: il volume del giro d’affari 2023 delle parti di ricambio ha superato il valore di un miliardo (con esattezza 1.004.000.750 euro), con una crescita a doppia cifra pari a +18,37% sul risultato economico dell’anno precedente e del +37,72% sul 2021, raggiungendo questo traguardo con due anni di anticipo sui tempi previsti dal consiglio di amministrazione di Asconauto, il cui presidente Roberto Scarabel spiega: «Siamo molto soddisfatti, siamo riusciti a realizzare l’obiettivo che ci eravamo posti per fine mandato. Il risultato assume ancora più importanza se analizziamo quanto fatto in precedenza, infatti eravamo riusciti a raggiungere i 507 milioni di euro nel 2016. In uno scenario globale molto perturbato stiamo adattando sempre di più il nostro modello logistico legato al ricambio originale a esigenze di mercato che si evolvono molto velocemente».Vero è che le autovetture di 8-10 anni d’età, le più ricercate da chi sceglie un usato, soprattutto se modelli dai produttori definiti «premium», sono già evolute e dotate di sistemi elettronici, quindi le riparazioni sono più complesse (ma meno di quelle sulle auto nuove, zeppe di dispositivi di ausilio alla guida, gli Adas), e comportano l’installazione di un numero maggiore di componenti, così il lavoro del riparatore risulta in rapida evoluzione: diminuiscono i meccanici generalisti e aumentano gli specialisti. Continua Scarabel: «Oggi un meccanico è più simile a un tecnico elettronico e informatico, è specializzato e lavora in un ambiente molto più pulito e tecnologico rispetto alle generazioni precedenti. Ma ciò comporta più formazione e continuo aggiornamento».Oltre al prezzo, pesano la varietà della scelta e un deprezzamento più lento rispetto al nuovo,Un ulteriore vantaggio dell’usato moderno risiede nel fatto che la manutenzione calendarizzata e tracciata garantisce qualità, anche delle parti sostituite; inoltre eventuali richiami delle case o difetti dei modelli sono già stati corretti, rendendo i mezzi affidabili. E poi c’è Internet, che propone recensioni e segnalazioni su ogni modello esistente, permettendo così di conoscere in anticipo pregi e difetti. Scarabel puntualizza: «Le auto nuove sono tutte uguali, mentre quelle usate diventano esemplari unici per come sono state utilizzate. Per questo motivo va premiata, sul valore, la manutenzione di qualità fatta presso la rete ufficiale, considerando anche che, per la legge comunitaria, l’usato deve essere garantito un anno sulla conformità. La domanda di vetture di 8-10 anni, più richieste rispetto a quelle entro i 4 anni per ragioni economiche, non è però un bel segnale per la riduzione dell’inquinamento che i governi vorrebbero. Probabilmente aumenterà ancora questa quota di mercato, mentre caleranno i prezzi. C’è timore per quanto concerne le forniture di parti a causa dei conflitti nel mondo che complicano la circolazione delle merci, ma i concessionari sono sempre più riferimento per il futuro del settore. E per il 2024 stimiamo ancora una crescita percentuale delle componenti di ricambio a doppia cifra».
Quest’anno in Brasile doppio carnevale: oltre a quello di Rio, a Belém si terrà la Conferenza Onu sul clima Un evento che va avanti da 30 anni, malgrado le emissioni crescano e gli studi seri dicano che la crisi non esiste.
Due carnevali, quest’anno in Brasile: quello già festeggiato a Rio dei dieci giorni a cavallo tra febbraio e marzo, come sempre allietato dagli sfrenati balli di samba, e quello - anch’esso di dieci giorni - di questo novembre, allietato dagli sfrenati balli dei bamba che si recheranno a Belém, attraversata dall’equatore, per partecipare alla Cop30, la conferenza planetaria che si propone di salvarci dal riscaldamento del clima.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.









