2022-07-20
Attacca Lgbt e aborto. E la massa lo segue
Jordan Peterson (Getty Images)
Chi l’ha detto che per avere pubblico bisogna cedere al falso moderatismo? Lo psicologo canadese Jordan Peterson è l’esempio di un pensatore di successo che non accetta il politicamente corretto. È diventato un fenomeno sui social. E vende milioni di libri.Fin troppo spesso si sente dire che le forze di destra, onde risultare presentabili, debbano per forza «moderarsi». Ovvero - al netto della retorica - annacquare le proprie posizioni, ripulirsi sotto la doccia della correttezza politica, rinunciare a prese di posizione decise sui cosiddetti temi etici. Purtroppo, alle sirene del falso moderatismo (e vero tradimento degli ideali) sono in tanti, troppi, a cedere. Alcuni lo fanno perfino in buona fede, convinti che imbellettandosi un poco o prendendo le distanze da «presunti estremisti» risulteranno più graditi al grande pubblico. Cosa che raramente avviene. Di solito, chi cerca di spiegare quanto sia in realtà dannoso tale atteggiamento remissivo viene immediatamente sommerso da dotte analisi sulle vicissitudini politiche di Marine Le Pen o sull’isolamento a cui si condanna chi è troppo «antisistema». Ebbene, siamo in grado di esibire la prova scientifica del fatto che non sia affatto necessario recedere o temperare le idee acuminate per risultare graditi alle masse.Questa prova scientifica ha un nome e un cognome: Jordan Peterson. Classe 1962, canadese, formazione da psicologo clinico, collezionista di arte sovietica, da anni si nutre soltanto di carne bovina (per fronteggiare disturbi ereditari). Ha insegnato ad Harvard e poi all’Università di Toronto di cui è divenuto professore emerito. Nel 2018 ha pubblicato un saggio divulgativo che viene normalmente incasellato fra i volumi di self help (anche se è molto, molto di più) e si intitola 12 regole per la vita. Un antidoto al caos. Da poco, sempre per l’editore My Life, ne è uscito in Italia il seguito (Oltre l’ordine): entrambi sono stati clamorosi bestseller a livello mondiale, con milioni di copie vendute a ogni latitudine. Il punto, però, non è il successo commerciale di Peterson. O, comunque, non è solo quello. Il fatto è che lo studioso canadese è diventato un fenomeno sui social, è seguito da una marea di persone, compresi un bel po’ di ragazzini, ed è riuscito a farlo senza perdere un etto della sua credibilità accademica. Non solo: riesce a mobilitare le masse ma non ha rinunciato a un grammo di radicalità. Anzi, sono proprio le sue idee potenti a garantirgli un seguito tanto sorprendente. Intendiamoci subito. Peterson non è affatto un estremista. Anzi, per alcuni certe sue posizioni possono risultare persino eccessivamente liberali. Tuttavia, su alcuni temi, tiene il punto con decisione, non ha paura delle critiche. È moderato, sì, però nei modi, non nel pensiero. Funziona perché si esprime con chiarezza e garbo, ma non si fa mettere i piedi in testa. È documentato, preciso, non sbaglia una frase. Non è abituato a spararla grossa: per sbriciolare il politically correct gli bastano buone letture, manciate di dati e una buona aderenza alla realtà. La sua ascesa al ruolo di portabandiera del pensiero non allineato è iniziata nel 2016, quando protestò pubblicamente contro la volontà del governo canadese di imporre per legge l’uso dei pronomi «fluidi» nelle scuole. Da quel momento, Peterson è diventato il nemico numero uno della «cancel culture» e del progressismo nichilista. Si è battuto in ogni dove contro i piagnistei delle minoranze riottose e lamentose, spiegando che «per essere in grado di pensare, devi correre il rischio di essere offensivo». La sua critica al «pol.cor.» non è basata sul lamento uguale e contrario a cui troppo spesso fanno ricorso i conservatori. Anzi, egli attrae i giovani perché fornisce una visione agonistica della vita. Spinge a combattere, a non abbattersi, ad affrontare le difficoltà. «Il problema è che gli intellettuali dell’illuminismo moderno, molti dei quali sono conservatori e disprezzano il politicamente corretto, sono tutti atei e non offrono alcuna mitologia, alcuna avventura. Questo nulla nichilista fa in modo che i loro figli sentano il fascino del politicamente corretto radicale. Loro si aspettavano che questi ragazzi si accontentassero del loro razionalismo insipido», ha detto qualche tempo fa Peterson al Wall Street Journal. Ebbene, il suo approccio è di sicuro razionale, ma per nulla insipido. Egli offre una visione verticale dell’esistenza, che ovviamente non può prescindere da una notevole attenzione alla fede cristiana (non è cattolico, ma conosce a fondo la visione cattolica). Alcuni dei suoi interventi più seguiti, tanto per dire, sono commenti alla Bibbia. Attenzione, però: non c’è ombra di bigottismo nelle sue parole. Peterson riesce a essere al passo con i tempi pur facendosi portavoce di (alcune) idee tradizionali. Critico verso le adozioni gay, pronto a smontare le tesi più feroci sull’aborto, non è per nulla omofobo. Benché venga sempre dipinto come tale, Peterson non è un fascista né un esponente della destra cosiddetta estrema né un tradizionalista in stile evoliano o un cattolico di ferro. Infatti, talvolta, egli fa infuriare persino il fronte destrorso. Da un paio di giorni, ad esempio, il mondo cristiano americano è esploso per via di una conversazione che Peterson ha intrattenuto con David Rubin, omosessuale di orientamento conservatore sostenitore del matrimonio gay. I due hanno discusso di «famiglia omosessuale» e della possibilità per i gay di crescere figli. Il fatto che Peterson abbia mostrato alcune aperture sul tema ha suscitato sgomento tra i fan più religiosi dello psicologo. Ma chi conosce davvero gli scritti del dottor Jordan non dovrebbe stupirsi troppo. Egli è prima di tutto un realista, e vive in un contesto, quello americano, in cui il matrimonio gay è ormai più che sdoganato a livello mainstream. Dunque, a nostro parere, è abbastanza scontato che egli preferisca accettare questo dato di fatto per concentrarsi su altre battaglie a suo avviso più urgenti. Certo, qui qui da noi uscite del genere avrebbero certamente tutta un’altra portata. Ma, appunto, Peterson vive in una dimensione differente. E non è nemmeno definibile come «di destra». Ma il punto è proprio questo: pur avendo una visione a tratti più progressista di quella espressa da alcuni suoi fan, egli non indietreggia sulle faccende più ostiche. Quelle su cui è ancora possibile ottenere risultati concreti. Più di tutto, egli osteggia con decisione l’attivismo transgender emerso negli ultimi anni. E viene ripagato con parecchio astio e qualche censura. Qualche giorno fa, ad esempio, Twitter gli ha sospeso l’account accusandolo di spargere odio. Motivo? Peterson aveva espresso perplessità sull’abuso della parola «orgoglio» da parte della comunità Lgbt. Un tempo, sostiene lo psicologo, l’orgoglio era un peccato, oggi sembra essere una ragione di vita. Soprattutto, però, Peterson ha commentato una intervista dell’attrice Ellen Page (ora nota come Elliot Page dopo il cambiamento di sesso), definendo criminale il chirurgo che le ha rimosso i seni. Direte: una frase non molto elegante. Può essere, ma Peterson ha provocato consapevolmente. E dopo aver lanciato la pietra ha chiarito con prontezza. «Avrei lasciato Ellen Page in pace se non avesse sfoggiato i suoi nuovi addominali in una rivista di moda», ha dichiarato. A suo dire l’ex attrice ora attore «ha la responsabilità di non indurre gli adolescenti confusi a prendere una decisione catastrofica prima che abbiano la maturità per prendere quella decisione». E su questo è difficile dargli torto. Il bello è che il dottor Jordan non si è scusato, non ha fatto marcia indietro. Ha ammesso di esserci andato pesante per attirare l’attenzione, ma poi ha argomentato, e lo ha fatto con precisione... chirurgica. Ha perfino rincarato la dose con un articolo su Telegraph, accusando i medici che consentono ai minorenni di cambiare sesso di essere «macellai». E questa è solo una piccola parte delle polemiche che ha suscitato nell’ultimo mese. Tra le altre cose, ha sostenuto che bisognerebbe esaminare le ragioni storiche e politiche del conflitto in Ucraina, evitando di fomentare guerre civili in Occidente fra presunti putiniani e sostenitori di Volodymyr Zelensky (per questo lo hanno accusato di essere putiniano, manco a dirlo). Poi è finito di nuovo nel tritacarne per aver rivolto un appello ai suoi lettori musulmani invitandoli a rispettare maggiormente le altre fedi (e lo hanno accusato di islamofobia). Pensate che Peterson si diverta troppo a incendiare il dibattito? Può darsi che abbiate ragione. Tuttavia lo fa per una ragione precisa: egli vuole combattere con ogni mezzo il «totalitarismo morbido» che da tempo ha individuato come nemico principale. Egli butta benzina sul fuoco per fare emergere questioni delicate nel discorso pubblico, quindi le affronta con estrema cura, evitando insulti e semplificazioni. Non è un guru, né un modello di perfezione. Ma il suo esempio testimonia che alcuni ideali si possono portare avanti senza per forza farsi rinchiudere in una nicchia. Che si può arrivare alle masse e portare alcuni valori tradizionali senza puzzare di vecchio o fare la figura degli stramboidi. Il pensiero di Peterson rispecchia il nostro al cento per cento? No, chiaro. Ma non importa. A importare è ciò che Peterson dimostra: che esiste ancora un po’ di vita, da qualche parte. Che c’è ancora qualche possibilità di salvezza per quel magma impazzito che ci ostiniamo a chiamare Occidente.
Benjamin Netanyahu (Ansa)
Andrea Sempio e Luciano Garofano (Ansa)