2024-03-30
Momi El Hawi, fondatore di «Io Apro», scagionato in Cassazione. Aveva ricevuto 36 multe, mai pagate. «Il mio sindaco Nardella mi ha perseguitato, mi aspetto le scuse».«Per particolare tenuità del fatto», a maggio dello scorso anno venne assolto dall’accusa di aver tolto 18 volte i sigilli al suo locale durante i lockdown e di aver continuato a lavorare. La Cassazione ha confermato l’assoluzione per Mohamed «Momi» El Hawi, che si era opposto alle chiusure. «Mi sembrò giusto farlo, avevo 35 dipendenti che non ricevevano la cassa integrazione e non potevo fallire. Adesso che tutto si è concluso, mi aspetto delle scuse dal sindaco Dario Nardella che tanto mi ha perseguitato», commenta con forte accento toscano il trentottenne titolare del ristorante pizzeria «da Tito», in via Baracca a Firenze. Figlio di egiziani, nato in Italia, da 15 anni si occupa di uno dei tre locali aperti dal padre. Non tenne conto dei divieti che mandarono sul lastrico tanti imprenditori (molti si suicidarono per la disperazione), finì sotto processo, il procedimento penale nei suoi confronti si concluse il 10 maggio 2023 con l’assoluzione da parte del giudice del Tribunale di Firenze, Paola Belsito. Il magistrato ritenne Momi «non punibile per particolare tenuità del fatto», ma il pm Gianni Tei ricorse direttamente al supremo organo di giustizia ordinaria. «Saltò la Corte d’appello, impugnando la sentenza in Cassazione per una questione di diritto, per far valere “vizi di motivazione”, ovvero che la tenuità non si poteva applicare a un reato continuato di violazione dei sigilli. Però il procuratore entrò nel fatto, inserendo nel ricorso “una evidente critica alla motivazione della sentenza del Tribunale”, e la Cassazione che non entra nel merito di una vicenda ha giudicato il ricorso inammissibile», spiega l’avvocato Lorenzo Nannelli. Gli ermellini hanno bacchettato la Procura di Firenze, la sentenza di primo grado doveva essere impugnata davanti ai giudici d’appello.Il legale è molto soddisfatto della conferma dell’assoluzione. «Momi ha avuto una grande forza d’animo proprio perché è sempre stato convinto di aver fatto la cosa giusta e di aver rispettato la Costituzione, confidando nella giustizia e la giustizia per fortuna è stata dalla nostra parte». Quando nell’ottobre del 2020 un nuovo dpcm dell’allora premier Giuseppe Conte impose orari assurdi per la ristorazione, obbligando a chiudere alle 18, il titolare del locale «da Tito» in via Baracca decise di ribellarsi. «Come se il virus a pranzo non fosse in circolazione, mentre a cena sì», esclama. «Avevo distanziato i tavoli, con 600 metri quadrati di locale era tutto in sicurezza, avevo sistemato le barriere di plexiglass, ridotto i coperti da 300 a 100, eppure avrei dovuto chiudere. Chiesi il parere del mio avvocato, spiegò che sarebbe stata dura per le reazioni che avrei scatenato, ma che mi avrebbe difeso». Il ristoratore spiega che a convincerlo a tenere aperto fu soprattutto la situazione in cui si trovavano i dipendenti. «Chiedevano piccoli anticipi, avevano problemi a far la spesa, a dar da mangiare ai figli. Pensai che non era giusto, era una questione di sopravvivenza». Adesso che tutto si è concluso anche con la sentenza della Cassazione, Momi ammette che non immaginava di finire così perseguitato. «Ogni due tre giorni venivano a contestarmi l’apertura, in sette mesi mi hanno elevato 36 multe da 400 euro l’una. Mai pagate, nove sono già state annullate dai giudici di pace», elenca il ristoratore. «Un giorno di febbraio del 2021 si presentarono 39 agenti con nove auto. Chiesi loro se erano così tanti anche quando avevano arrestato Totò Riina». Mettevano i sigilli, sistematicamente violati dall’imprenditore che apriva a dipendenti e clienti. Intanto, aveva dato vita al movimento IoApro, coinvolgendo titolari di esercizi commerciali in tutta Italia danneggiati da assurdi quanto illegittimi dpcm, e offrendo supporto legale in caso di sanzioni.Decidendo per l’assoluzione di Mohemed «Momi» El Hawi, il giudice Paola Belsito sottolineava che ci si trovava «in presenza di situazioni e comportamenti “eccezionali” […] comportamenti che sono nella maggior parte dei casi la diretta conseguenza delle gravi problematiche, di salute, di lavoro, di vita, ma forse meglio di sopravvivenza, che si sono poste all’indomani dell’emergere della pandemia e dei provvedimenti adottati per fronteggiarla che, se miravano a garantire per quanto possibile dalla diffusione del virus, nel contempo impedivano l’esercizio di molti diritti fondamentali, ivi compreso quello a lavorare per vivere».Evidenziava che la pandemia aveva colpito «duramente moltissime categorie di lavoratori, in maniera certamente durissima i commercianti […] tanto che molti di loro si sono trovati disperati, sul lastrico, nella impossibilità di mantenere il posto di lavoro ai propri dipendenti o comunque di pagarli adeguatamente». Momi si è opposto, per fortuna ha trovato un avvocato e un giudice in grado di riaffermare diritti che gli sono stati calpestati.
2025-10-19
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